Questo articolo è dedicato all’arco lungo inglese, il longbow, l’arco da guerra del medioevo europeo per eccellenza, e si concentra sulle performance dell’arma piuttosto che sulla storia evolutiva. Non contiene lezioni di tiro con l’arco, né informazioni sul tiro sportivo (niente dettagli sugli ancoraggi nell’arco nudo o nell’arco olimpico o su come si mira: non sono cose che conosco abbastanza e non sono l’argomento dell’articolo!), né informazioni sugli archi compositi asiatici o sui moderni archi compound, né descrizioni dettagliate delle principali battaglie in cui gli archi lunghi hanno avuto un ruolo determinante e nemmeno parla del ruolo sociale dell’arco lungo.

Il testo di riferimento per questo articolo è The Great Warbow di Matthew Strickland e Robert Hardy. Ulteriori testi che val la pena citare sono The Medieval Archer di Jim Bradbury e English Longbowman (1330-1515) di Clive Bartlett. Per i test sulle armature, oltre ai dati forniti nel libro di Strickland e Hardy, ho usato anche i valori suggeriti da Alan Williams in The Knight and the Blast Furnace (il libro utilizzato per la mia serie di articoli sull’efficacia protettiva delle armature, ricordate?). Per la parte “fisica” ho utilizzato The Physics of Medieval Archery di Gareth Rees. Ci sono stati naturalmente anche altri articoli e brani tratti da libri meno interessanti di quelli sopra indicati, ma si è trattato solo di materiale confermativo che non merita di essere citato. Infine vi segnalo un interessante articolo in formato pdf sulla fisica dell’arco lungo, Longbow e Fisica Elementare, scritto da Dario D’Alù e Marco Dubini (è in italiano e contiene un maggior numero di informazioni rispetto a quello di Gareth Rees).

L’arco lungo, informazioni fisiche preliminari

L’arco è formato da due flettenti che vengono messi in tensione tirando la corda che li unisce. La corda è inserita nella cocca all’estremità di ogni flettente, mantenendo l’arco in leggera tensione (quando l’arco non è in uso per periodi prolungati la corda andrebbe tolta per permettere al legno di tornare in posizione di riposo). Quando la corda viene rilasciata i flettenti dell’arco tornano in posizione e la freccia agganciata alla corda viene inviata verso il bersaglio. Molto semplice, tanto che già nella preistoria si fabbricavano archi piatti (flat-bow in inglese: arco simile al longbow, ma più piatto e largo, meno spesso) e altri archi monolitici (self-bow in inglese: arco prodotto con un solo pezzo di materiale, corda e cocche escluse, come il longbow che è prodotto con una sola doga di legno). L’arco in sé è semplice, il problema è come ottenerne uno che sia il migliore possibile.

longbow

Un arco perfetto dovrebbe trasmettere alla freccia tutta l’energia immagazzinata nell’atto del tendere. Questo è l’obbiettivo “ideale” a cui tende il fabbricante, ma è impossibile conseguirlo dato che, non esistendo materiali inestensibili, sia il legno che la corda sprecheranno parte dell’energia messa dal tiratore. Quello che però il fabbricante può fare è trovare un’approssimazione il più vicina possibile alla perfezione, sfruttando i migliori materiali disponibili (come accade per gli archi degli olimpionici).

Più un arco è potente e più distante può lanciare le sue frecce e più pesanti possono essere le frecce che può lanciare alla stessa velocità. La potenza dell’arco (libbraggio, draw weight) è il peso trattenuto momentaneamente dall’arciere quando la corda è stata tirata fino al massimo allungo (draw length) permesso dalla lunghezza della freccia impiegata, subito prima di rilasciare la corda. Il libbraggio si misura tradizionalmente in libbre-forza (lbf), ma può essere convertito senza problemi in newton, l’unità di forza ufficiale del Sistema Internazionale: 1 lbf equivale a 4,448 N, ovvero 1 libbra convertita in kg e moltiplicata per l’accelerazione di gravità standard (9,8 m/s²).
L’allungo non dipende solo dalla lunghezza dell’asta della freccia, ma anche dalla conformazione corporea dell’arciere e dal punto di ancoraggio scelto, ovvero il punto verso cui l’arciere direzione la cocca della freccia inserita sulla corda quando tende l’arco. Il punto di ancoraggio può essere l’angolo della mandibola o l’orecchio o qualche altro punto famigliare sul collo o sulla testa.

Perché è tanto importante il libbraggio in un arco? Perché poter scagliare frecce più pesanti con la stessa velocità con cui un arco più debole ne lancia di più leggere, significa ottenere un vantaggio in termini di energia cinetica inviata sul bersaglio. Se vi ricordate l’energia cinetica cresce proporzionalmente con la massa e quadraticamente con la velocità. Poter inviare una freccia di massa 2M a velocità V con un arco più potente garantisce il doppio dell’energia cinetica di una freccia di massa M inviata a velocità V con l’arco più debole.
Questo è il vantaggio principale, soprattutto se l’arco, come avviene nell’ambito militare, deve aspettarsi di affrontare nemici in armatura contro cui 20 joule in più o in meno possono fare la differenza tra una buona ferita e un graffio.

Un arco ideale non è un arco che si apre senza sforzo per poi indurirsi di colpo negli ultimi centimetri di allungo, ma deve essere duro fin da principio e aumentare gradualmente lo sforzo richiesto di centimetro in centimetro. Un arco da 100 libbre a 30 pollici non dovrebbe averne 40 a 28 pollici (bam, improvvisamente diventa durissimo negli ultimi cinque centimetri), ma dovrebbe averne 93 circa (100*28/30). In tal modo la corda potrà accompagnare la freccia per tutta la lunghezza dell’allungo con una spinta uniforme, senza sbalzi.

L’arco deve essere non solo graduale, ma anche elastico per rilasciare nella freccia l’energia accumulata dai flettenti. Se quando si rilascia la freccia si sentono forti vibrazioni lungo tutto il corpo attraverso il braccio, allora l’arco è poco elastico: l’energia che doveva essere trasmessa alla freccia è invece finita in stress strutturali del legno e vibrazioni, procurando microfratture ai flettenti e una sensazione molto fastidiosa all’arciere. E lo spreco di energia in vibrazioni ha reso la freccia meno veloce e quindi meno letale.

Come è possibile far convivere archi monolitici più duri con il bisogno di elasticità e di gradualità? La soluzione degli inglesi fu di allungare l’arco. Un arco più lungo può avere lo stesso allungo con uno stress minore per il legno perché i flettenti sono costretti a piegarsi di meno. Un arco di successo è un arco che lavora poco. E quanto è lungo un longbow inglese? Più o meno come il proprietario, 170-180 cm, ma può anche essere maggiore. Il peso varia dal mezzo kg di un arco da 60 libbre al kg circa di uno da 150. Sulle lunghezze torneremo dopo, quando parleremo dei reperti estratti dalla Mary Rose, tutti di notevoli dimensioni.

L’arco, come visto, è una molla e come tale può essere descritto in termini fisici. Si può quindi analizzare partendo da concetti della meccanica classica quali la conservazione dell’energia e simili. Immaginiamo che l’arco sia una molla ideale semplice: in tal caso accumulerebbe energia potenziale proporzionale alla forza antagonista applicata e all’allungo. L’energia potenziale (Eid) sarebbe pari alla forza dell’arco all’allungo x (Fid) per l’allungo (x), diviso due.

molla ideale semplice

L’arco però non è una molla perfetta. La forza necessaria per tenderlo non è direttamente proporzionale all’allungo, per quanto ci si avvicini, e da metà dell’allungo in poi interverrà un maggiore indurimento. Per calcolare l’energia accumulata dall’arco in funzione dell’allungo bisognerebbe introdurre gli integrali a complicare il discorso, per cui è meglio semplificare il tutto utilizzando un coefficiente d’efficienza “e” al loro posto per distinguere l’arco ideale da quello reale. Il coefficiente “e” negli archi di tasso (il legno usato di norma nei longbow) è circa 0,8-0,9 e diminuisce progressivamente con l’incremento dell’allungo.

molla arco reale

Ma tutto questo discorso sulle molle a cosa serve? Semplice: a capire perché l’allungo è importante. Intuitivamente si può immaginare che un allungo maggiore, permettendo di spingere più a lungo la freccia, sia migliore di uno minore, ma ora avete anche la prova fisica grazie all’equazione dell’energia potenziale della molla. Se un arciere può tendere un arco fino a 150 libbre è meglio che scelga, tra due archi graduali, uno che vi arrivi dopo otto pollici o uno che vi arrivi dopo trenta pollici? Quello da trenta sarà migliore, perché la spinta durerà di più.
Questo concetto è fondamentale per capire come mai una balestra da 450 libbre che usi un tipico dardo da 10-12 pollici avrà prestazioni simili in termini di velocità del proiettile a quelle di un arco lungo da 120 libbre che impieghi una freccia militare con l’asta da 30 pollici. La balestra è molto più dura proprio perché, per mantenere le ridottissime dimensioni e la portabilità come arma da tiro, deve rinunciare all’allungo, ma non può permettersi di rinunciare alla forza di penetrazione dei suoi dardi che, anzi, sono spesso più pesanti e massicci di quelli degli archi (soprattutto nelle balestre da 700+ libbre a 8 pollici). Per raggiungere quei libbraggi mostruosi in ridotte dimensioni, perfino di 1200+ libbre nelle balestre da difesa usate negli assedi (bestioni di otto kg con caricamento a leve e carrucole), venivano usati spessi archi d’acciaio, meno elastici delle lunghe aste in legno di tasso.

arco grafico forza

Talvolta gli arcieri parlano di pollici-libbra (soprattutto quando fanno paragoni arco-balestra-moschetto), ovvero dichiarano la potenza del loro arco moltiplicando il libbraggio ottenuto a X pollici di allungo per gli X pollici stessi. Questo permette loro di fare valutazioni incrociate “spicciole” tra armi di differente libbraggio e differente allungo (come appunto un arco e una balestra).

Per ulteriori spiegazioni e per le formule matematiche sulla velocità d’uscita della freccia, il trasferimento dell’energia e la dissipazione vi rimando all’ottimo Longbow e Fisica Elementare di Dario D’Alù e Marco Dubini.

Gli archi della Mary Rose

Di archi da guerra inglesi originali non ce ne sono molti in giro, anzi, per dirla tutta prima che venissero ripescati dalla Mary Rose c’era ben poco di concreto su cui basarsi perché vi erano solo cinque longbow inglesi in “buono stato” che fossero stati sicuramente utilizzati in battaglia nel Basso Medioevo o nel Cinquecento. Quattro su cinque erano da 70-90 libbre e l’ultimo (che secondo i proprietari partecipò alla battaglia di Hedgeley Moor del 1464) era da 60 libbre, ma bisogna considerare che col passare dei secoli il legno si era deteriorato. Inoltre non era possibile dire con certezza che fossero proprio archi da guerra e non piuttosto archi meno potenti utilizzati per le esercitazioni.
Lo studio di Hardy e Strickland, volendosi basare su dati concreti, non può che partire dalle scoperte fatte dai ricercatori che hanno analizzato le decine di reperti recuperati dalla Mary Rose.

La Mary Rose: box storico

La Mary Rose era una caracca da battaglia inglese, costruita a Portsmouth nel 1509-1510. Il nome le venne da “Mary”, la sorella di Enrico VIII, e dalla rosa simbolo dei Tudor. La Mary Rose era una nave da 500 tonnellate, lunga quasi 39 metri e larga una dozzina, con un equipaggio di 200 marinai, 185 soldati e 30 artiglieri e armata con ben 78 cannoni.
Fu la nave ammiraglia prima di Sir Edward Howard e poi di Sir Thomas Howard. Era grande, potente, maestosa: l’orgoglio di Enrico VIII. Nel 1536 venne riattrezzata con 91 cannoni e un nuovo ponte. Il dislocamento complessivo passò da 500 a 700 tonnellate (+40%).

La Mary Rose raffigurata nell'Anthony Roll
La Mary Rose come appariva nel 1545

Il 19 luglio 1545 la nave affondò durante la battaglia contro le flotta di invasione francese di Francesco I, scomparendo nelle acque sotto gli occhi dello stupefatto Enrico VIII che si godeva la battaglia navale dalla costa.
Probabilmente fu la perdita di stabilità dovuta alla maggiore altezza dell’opera morta (ovvero di ciò che sta sopra la linea di galleggiamento) a causarne l’affondamento: la nave sbandò per le brusche manovre di combattimento sul mare agitato e il ponte inferiore scese coi sabordi (le finestre quadrate da cui sparano i cannoni, aperte per via dei combattimenti) sotto il filo dell’acqua.
Si capovolse e colò a picco con tutto il suo contenuto: uomini, armi, cannoni, archi, bracciali di cuoio da arciere, armature… una disgrazia terribile per i 700 uomini a bordo (meno di 40 riuscirono a fuggire), ma un patrimonio storico immenso per noi, paragonabile solo a quello della nave svedese Vasa (1628).

Nella Mary Rose, secondo i documenti dell’epoca, vi erano 250 archi in legno di tasso (“bow of yew”), 864 corde (6 grosse) e 400 faretre di livery arrows (frecce standardizzate per uso militare, segnate con vernice verde secondo alcuni per indicare che erano proprietà del Re), per un totale di 9600 frecce.

Dal 1979, quando ripresero i lavori di recupero del relitto, vennero portate alla luce più di 3500 frecce e 137 archi lunghi, oltre ad attrezzature varie, cannoni e scheletri di arcieri in ottime condizioni. La lunghezza degli archi andava dai 6 ai 7 piedi (182-213 cm). Le frecce avevano lunghezze dell’asta tra i 24 e i 32 pollici, ma la maggioranza era lunga 30 pollici (76 cm). I legni impiegati nelle frecce erano pioppo, frassino, faggio e nocciolo, a differenza di quello degli archi recuperati che erano tutti in tasso (anche se altre navi del periodo indicano presenze limitate di longbow in nocciolo –John Baptist– o in olmo –Rose-). Aggiungendo la testa in metallo, lunga dai 5 ai 15 cm in base al tipo (meno 2-4,5 cm per l’inserimento dell’asta), si arriva a frecce con lunghezze complessive di 80-90 cm.

L’asta dell’arco era formata da una singola doga di legno lavorato, priva di decorazioni o fronzoli di qualsiasi tipo. L’impugnatura, visibile in molte rappresentazioni moderne, era del tutto assente: una semplice tacca per la freccia indicava il punto sotto cui afferrare l’arma. Il legno impiegato era il tasso perché è un legno compatto, ma non duro, con un’ottima elasticità e flessibilità, che si rompe in doghe regolari facilitando la lavorazione.

Si usava di preferenza uno spicchio longitudinale del tronco, così che l’arco finito avesse il dorso formato da alburno, legno esterno di formazione recente, e il ventre di durame, legno più vecchio che si trova all’interno del tronco: questo perché l’alburno è più flessibile ed elastico e il durame è più resistente alla compressione. I puntali, inseriti alle due estremità dell’arco per agganciare la corda nella loro cocca, erano in osso (corno di mucca). La corda era di norma in lino o canapa, ma era possibile usare anche altre fibre vegetali o pelle o tendini, come accade spesso con gli archi compositi asiatici (che talvolta usavano perfino la seta).

Le frecce militari, essendo prodotte in massa, non potevano soddisfare le esigenze dei singoli tiratori che in base all’altezza e alla costituzione fisica avevano allunghi tipici tra i 28 e i 33 pollici. L’arciere militare doveva adattarsi a un allungo di 30 pollici e scegliere di conseguenza il punto di ancoraggio. Gli archi della Mary Rose sono stati studiati partendo dal presupposto che avrebbero impiegato le frecce da 30 pollici in dotazione.

Gli archi recuperati dalla Mary Rose vennero testati per valutarne la potenza. L’arco MR1648 raggiunse un allungo di 30 pollici con una potenza di 60 libbre, ma non venne mai usato per lanciare davvero una freccia: il timore che lo stress del lancio spaccasse in due l’arco era eccessivo. Il legno, da come aveva reagito alle aperture, doveva essersi rovinato nel corso dei 400 anni trascorsi in fondo al mare. Vennero provati anche altri archi e molti non riuscirono ad aprirsi per più di 24 pollici di allungo, ma suggerirono una potenza media superiore a quella dell’arco 1648.

Gli archi vennero allora studiati al microscopio e si scoprì che, anche se all’apparenza erano in ottime condizioni, le cellule del legno si erano deteriorate gravemente. Non potendosi affidare solo a modelli matematici, troppo vaghi e incompleti, gli studiosi decisero di far fabbricare degli archi lunghi che imitassero il più fedelmente possibile quelli della Mary Rose per proporzioni, tipologia di legno ecc… in modo da risolvere la questione per via empirica. Gli archi vennero commissionati a Roy King.

misurazione longbow MR1648
Il professor John Levy dell’Imperial College of Science durante le prime misurazioni di MR1648

La Potenza del Longbow

Gli studiosi (e gli appassionati) si divisero in due fazioni: quella che ipotizzava archi con elevati libbraggi e quella che sosteneva libbraggi simili a quelli degli archi lunghi moderni impiegati, ad esempio, dagli appassionati inglesi che portano avanti da secoli la tradizione patriottica del tiro con l’arco.
La fazione degli archi deboli si rifaceva a uno studio pubblicato da W.F. Paterson sul Journal of the Society of Archer-Antiquaries in cui citava le stime matematiche del dottor David Clark secondo cui l’arco A812 (il primo recuperato dalla Mary Rose) aveva una potenza compresa tra 70 e 80 libbre. Il dottor Kooi lesse l’articolo e rimise in discussione il proprio modello matematico, ma non vi trovò errori e comunicò la cosa al professor Pratt che a sua volta contattò Clark. Il dottor Clark ricontrollò il proprio modello matematico e… ops, scoprì un errore di un fattore due nei suoi calcoli! Ora all’arco A812 veniva attribuita una potenza 153 libbre, leggermente superiore perfino alle stime di Kooi. Paterson, informato dell’errore di Clark, chiese alla rivista di pubblicare una errata nel numero successivo. La fazione degli archi deboli aveva perso l’unico modello matematico che desse loro ragione.

Le stime al computer del dottor Kooi, che avevano lasciati sbalorditi persino i sostenitori degli archi potenti, indicavano che gli archi della Mary Rose andavano dalle 110 alle 185 libbre, con la stragrande maggioranza degli archi tra le 150 e le 160 libbre. Dell’arco più potente, MR1607, si notò però che l’apertura completa a 30 pollici avrebbe potuto procurare dei danni al legno, per cui si calcolò che il suo uso sicuro era con un allungo di 28 pollici e una potenza conseguente di 172 libbre.
Gli studiosi erano un po’ scettici, dato che si aspettavano sì archi potenti, ma non così potenti: 100-120 libbre al massimo. Nel frattempo Roy King aveva completato i primi tre archi basati sui modelli della Mary Rose con potenze tra 102 e 135 libbre. Gli archi di approssimazione, conoscibili fino al più infimo dettaglio, vennero usati per rielaborare il modello al computer e produrre nuove stime più precise della potenza dei veri archi della Mary Rose. Gli altissimi libbraggi vennero confermati.

Roy King al lavoro su un arco di approssimazione
Roy King al lavoro su uno degli archi approssimati

Box: i libbraggi consigliati

Per capire meglio quanto i libbraggi dei longbow della Mary Rose fossero elevati è utile dare un’occhiata alla tabella con le potenze degli archi consigliati presa da un sito di tiro con l’arco americano. I libbraggi indicati sono per archi compound (con camme) che dopo aver raggiunto il picco hanno un peso realmente trattenuto in mano (valle) dall’arciere molto inferiore (40%-80% di riduzione del lavoro, “let-off”): considerateli quindi come libbraggi massimi per un arco monolitico oppure olimpico con cui diventerebbe difficile prendere la mira. In realtà un adulto quando è appena agli inizi e deve imparare perfino le basi si troverà archi scuola (archi ricurvi moderni o archi “olimpici”) da 20-25 libbre per il tiro indoor.

Stazza dell’arciere Libbraggio
Bambino piccolo (23-32 kg) 10-15
Bambino piccolo (32-45 kg) 15-25
Ragazzino (45-59 kg) 25-35
Donna minuta (45-59 kg) 25-35
Donna (59-72 kg) 35-45
Donnone (72 kg e oltre) 45-55
Ragazzo (59-68 kg) 40-50
Uomo minuto (55-68 kg) 45-55
Uomo (68-82 kg) 55-65
Omone (82 kg e oltre) 65-75

Un mio amico piuttosto alto e atletico usava archi da 70 libbre e, con fatica, perfino archi da 90 (senza poter prendere bene la mira). Mi aveva detto che forse sarebbe perfino riuscito a tirare con un arco da 100 libbre, ma ne dubitava, e di sicuro non sarebbe riuscito a prendere la mira in modo decente. Di certo un arco da 120, come i più leggeri presenti sulla Mary Rose, era del tutto al di fuori delle sue possibilità. I valori suggeriti sembrano avere senso.

Gli increduli, le frecce e gli scheletri

Nonostante le prove schiaccianti e la mancanza di ogni supporto matematico reale, nella comunità degli arcieri continuarono a esservi persone che contestavano i risultati degli studiosi e, in mancanza di prove scientifiche da presentare in risposta, risolvevano la questione definendoli “fantasiosi”, “sciocchi” e “chiaccheroni” (prattler, usato come gioco di parole sul nome del professor Pratt). Con gli anni gran parte dei critici si ricredettero, d’altronde la dimostrazione scientifica ed empirica era inattaccabile, ma alcune frange di ostinati negazionisti sono sopravvissute fino a oggi e, probabilmente, sopravviveranno sempre.

Molti non accettano il fatto che gli arcieri di epoca Tudor potessero essere in grado di tirare con precisione con archi molto più potenti di quelli impiegati dagli attuali appassionati. Questo nonostante esistano ancora oggi molte persone che, come Simon Stanley o Mark Stretton, sono capaci di maneggiare archi dai libbraggi molto elevati.

L’appassionato arciere inglese moderno è tanto orgoglioso della sua arma da non voler credere che il fisico dell’arciere sia un elemento fondamentale. E, essendo un po’ snob, trova disgustoso immaginare che gli arcieri medievali fossero più simili a muscolosi bruti con grandi mani callose che non a raffinati gentiluomini (che ovvove, un pvoletavio!). L’idea che la forza non sia fondamentale per usare l’arco da guerra non viene solo da pessimi videogiochi, brutti giochi di ruolo e scrittori fantasy ignoranti, ma ha una lunga e orgogliosa tradizione arcieristica che solo negli ultimi decenni sta venendo messa in crisi.

simon stanley
Simon Stanley che usa uno degli archi di Roy King: tiro ad alzo zero e con gittata massima. Stanley tira con lo stile medievale, usando tre dita (e non due) e spingendo la freccia sotto e dietro l’angolo della mandibola. Stanley può usare, con notevole sforzo, un arco da 190 libbre a 33 pollici e tira agevolmente con archi da 150 libbre.

Stanley, allenandosi con archi enormi, scoprì un’ulteriore prova a favore della grande potenza degli archi inglesi: le frecce del tipo e del peso che venivano impiegate nel medioevo non potevano essere tirate con efficacia se non impiegando archi di almeno 101 libbre. Inoltre le frecce più pesanti, da 3,5-4,5 once (100-120 grammi, comuni alla battaglia Agincourt) richiedevano archi da 143-165 libbre per essere utilizzate al meglio e volare fino a 220 metri. Proprio i libbraggi stimati per gli archi della Mary Rose.

Gli scheletri recuperati dalla Mary Rose vennero analizzati dalla patologa A.J. Stirland. Le ossa riportavano segni di malnutrizione nell’infanzia, ma considerando l’età media degli arcieri questo è facilmente spiegabile: gli anni venti del Cinquecento videro una serie di carestie, di cui la più grave fu quella dell’inverno 1527-1528. Allo stesso tempo la dottoressa Stirland fa notare come le ossa siano poi guarite molto bene e che gli arcieri della Mary Rose (affondata nel 1545) dovevano essere dei ragazzoni robusti e in perfetta salute.

Le ossa, ben conservate come gli archi, mostrano segni di una notevole muscolatura e di tendini molto forti e abituati al lavoro. Le scapole in particolare mostrano segni di notevole attività fisica (i muscoli dorsali sono fondamentali per tendere l’arco). Alcuni scheletri riportano danni alla vertebre, probabilmente dovuti all’uso di archi estremamente pesanti (l’uso dei muscoli lombari per guadagnare qualche centimetro in più è una pratica di cheating comune negli esercizi coi pesi).

Erano soldati alti, muscolosi e ben nutriti, veri e propri atleti della loro epoca. Un po’ come i granatieri o i corazzieri, che dovevano raggiungere precisi standard fisici (nel primo caso per poter lanciare a grande distanza le granate).


Ecco l’aspetto che poteva avere un arciere in grado di tendere, seppur con sforzo, un arco da 150 libbre. Non capisco perché tenga la schiena così arcuata. Boh! In ogni caso potete notare come non sembri né un gracile elfo né una ragazzina di 45 kg.


Nel video appare Mark Stretton. Non assomiglia molto a Legolas. Che sia lui a sbagliare o gli autori di fantasy con la fissa che per usare gli archi da guerra non serve la forza fisica?

E infine ecco una tipica elfa uscita da qualche fantasy ▼

come le ragazze intente alla difesa della città in “Gli Eroi del Crepuscolo” di Chiara Strazzulla o la Nihal de “Le Cronache del Mondo Emerso” di Licia Troisi. Secondo loro la forza fisica per usare l’arco da guerra non serve.

Prestazioni dell’arco e tipi di frecce

Come già detto all’inizio dell’articolo il principale vantaggio degli archi potenti è quello di poter inviare frecce più pesanti con la stessa velocità con cui armi più deboli ne mandano di più leggere, sfruttando così la maggiore massa di metallo e legno per infliggere danni maggiori al nemico. Frecce troppo leggere rispetto all’arco rischiano di spezzarsi al rilascio o di volare con traiettorie sballate. Un arco da 150 libbre non può impiegare frecce da 1-1,5 once senza rischiare di spezzarle, come una balestra da 740 libbre non può impiegare con efficacia un quadrello da 1,25 once (quello della balestra da 740 è un caso piuttosto famoso di pessimo esperimento comparativo con il longbow).

Ma quali erano le prestazioni dei tipici archi lunghi della Mary Rose da 150 libbre in termini di gittata e velocità? Strickland e Hardy ci offrono nel loro libro i dati dei test effettuati nel 2002 con cinque frecce, un longbow da 150 libbre a 32 pollici e un flatbow in fibra di vetro da 170 libbre. Le cinque frecce sono state impiegate tre volte ciascuna con l’arco lungo, per un totale di quindici tiri (numerati da 1 a 15), più due tiri supplementari con il flatbow (16 e 17). Il vento era di 9 m/s, favorevole.

La freccia più leggera era da 1,9 once (53,6 grammi), quella più pesante da 3,3 once (95,9 grammi) (le altre, che non tratto per esteso, erano da 2, 2,6 e 3 once). La testa della prima era di tipo “small bodkin”, ovvero larga meno dell’asta, lunga e molto appuntita. La testa della seconda era del tipo “large bodkin”, un po’ più simile della precedente alle teste da sfondamento dei quadrelli da balestra: tozza, pesante e appuntita.
Il diametro dell’asta della freccia da 1,9 once era di 10 mm, quello della freccia da 3,3 once era di 12,7 mm.

La freccia da 1,9 once nel tiro migliore (n° 1) ha raggiunto i 70,07 m/s, con una gittata di 328 metri (360 yarde). Nei due tiri successivi però ha fatto 64,29 (n° 6) e 64,65 m/s (n° 11), con gittate di 313,8 e 312,8 metri. Nel tiro con il flatbow ha raggiunto i 73,85 m/s e una gittata di 387,7 metri (425 yarde).
L’anomalia presente nei lanci 6 e 11 (il più lento va più lontano?) è imputabile a una piccola variazione della velocità del vento o a un angolo di tiro leggermente diverso.

La freccia da 3,3 once nel tiro migliore (n° 2) ha raggiunto i 249,9 metri, ma la velocità non è stata calcolata. Nei due lanci successivi aveva velocità di 53,36 m/s (n° 7) e di 52,28 m/s (n° 12), con gittate di 234,7 e 228,6 metri. Non è stata tirata con il flatbow.

Peso (g) Vel. Iniziale (m/s) En. Iniziale (J) Vel. Impatto (m/s) En. Impatto (J)
53,6 64,3 111 48,9 64,1
95,9 53,0 134 43,3 89,9

La freccia più leggera aveva all’impatto il 76% della velocità iniziale (e quindi il 58% dell’energia cinetica), mentre quella pesante l’82% (e il 67% dell’energia cinetica).

Quelle da 3,3 once non erano le frecce più pesanti sul campo di battaglia.
Hardy cita anche un tiro di prova con un freccia da 3,8 once lanciata da un arco da 150 libbre che raggiunse i 52 m/s (146 J). Alla battaglia di Agincourt del 1415 molte frecce impiegate si aggiravano attorno alle 4 once e questo, conoscendo la potenza degli archi lunghi inglesi, ha perfettamente senso.

Sono stati effettuati anche esperimenti dalla Vickers Defence System. John Waller provò archi da 72, 78 e 90 libbre a 28 pollici. Con una freccia di tipo 16 (vedi immagine delle frecce più sotto) del peso di 45 grammi ottenne una velocità iniziale di 44,5 m/s dall’arco di 90 libbre (miseri 44 J, sufficienti contro un bersaglio privo di armatura, ma del tutto inutili sul campo di battaglia).
Un altro test condotto prima degli studi sugli archi della Mary Rose vide l’impiego di un arco da 68 libbre che lanciò a 40,8 m/s una freccia di tipo bodkin da 70 grammi (solo 58 J contro i 146 ottenibili da un arco da 150 libbre con frecce da quasi 4 once: una enorme differenza).

frecce
Repliche moderne di frecce medievali. Dall’alto: quattro anti-armatura (la terza è una tipo 10 lunga, le altre sono bodkin squadrate), una leggera bodkin ad ago, una da caccia di grandi dimensioni, tre tipo 16 e un’altra da caccia.

Quali erano le frecce da guerra usate per penetrare (nei limiti del possibile, si intende) le armature? Di certo, come abbiamo visto, le più pesanti perché capaci di fornire molta più energia cinetica. Ma che forma aveva la loro testa? La pressione, quella che procura la rottura nell’armatura, è direttamente proporzionale alla forza e inversamente proporzionale alla superficie di impatto, quindi le frecce devono essere sia pesanti che aguzze e strette.
Questo ci permette di scartare le grandi frecce da caccia, con le ali larghe e affilate (vedi le tipo 13, 14 e 15). Rimangono le grandi bodkin (le più piccole, con lunghe teste ad ago aereodinamiche, sono di norma leggere e quindi utilizzate per i tiri più lunghi), quelle con teste simili a quadrelli da balestra e le tipo 16. Le tipo 16 (M4 nella più recente e sistematica classificazione di Oliver Jessop) possono essere di varie dimensioni e pesi, ma fondamentalmente sono piuttosto pesanti e vengono fabbricate appiattendo le ali della freccia in modo da ottenere una sorta di cuneo da sfondamento.

Gli storici non sono concordi su quali fossero le principali teste da sfondamento. Alcuni sostengono le punte a quadrello e le grandi bodkin, che anche dal punto di vista geometrico sembrano le migliori, altri le tipo 16. Di certo si sa solo che gli inglesi stessi distinguevano le frecce per fascia di qualità: nel 1419 le “frecce da prova” (per testare le armature) costavano 8 scellini la dozzina, mentre quelle ordinarie 4 scellini (prezzi decisamente più alti di quelli del Trecento, ma tant’è…). Vi sono vari riferimenti nel medioevo inglese alla qualità delle frecce e al problema di reperirne di buone, tanto che nel 1405 Enrico IV fece una legge contro i fabbricanti di frecce che producevano teste in metallo troppo soffice.

I test sulle punte di freccia hanno dato risultati compresi tra i 120 e i 400 VHN (durezza Vickers, per maggiori informazioni sulla metallurgia degli acciai al carbonio vedi questo articolo), con la grande maggioranza delle frecce molto dure, mediamente sui 350 VHN. Una recente ricerca della Royal Armouries condotta su un piccolo numero di frecce ha rilevato che le bodkin ad ago, come ci si aspettava (vista anche la leggerezza poco adatta a una freccia da sfondamento), non erano in acciaio indurito, ma ha anche mostrato che le tipo 16 erano quelle con gli acciai più duri (3 su 4) e che la maggior parte delle teste a quadrello/grandi bodkin era in morbido ferro (7 su 10).

Questi dati sono in disaccordo con quelli precedenti (vedesi Strickland e Hardy) che parevano indicare le grandi bodkin/quadrelli come le più dure e aguzze, mentre le tipo 16 sembravano essere fabbricate a partire da acciai di alta qualità e ricchi di carbonio (0,35%) ammorbiditi e rovinati dalla lavorazione fino a diventare acciai a basso contenuto di carbonio. Le tipo 16 hanno di sicuro un ottimo design da sfondamento, forse meno valido per causare un crack in una piastra di metallo (il design a quadrello è stato scelto per i penetratori ad alta densità nei proiettili Armor Piercing da fucile, ad esempio il M993 in 7,62×51), ma che a mio parere è geometricamente più adatto a investire gli anelli di maglia per tagliarli con le ali invece di limitarsi a spingerli fino alla rottura, come farebbe invece una grossa bodkin che non centri proprio in pieno l’anello.

Tagliare è meglio di spingere (e sfondare di punta è meglio di tagliare). La differenza nei pareri e nei ritrovamenti studiati nel tempo potrebbe dipendere anche dal periodo di impiego: teste massicce da quadrello da sfondamento per le piastre, in un ultimo tentativo di sconfiggere le nuove armature, e tipo 16 per le maglie di ferro. Non ne ho idea: sono pesanti e di design valido entrambe, in ogni caso. Restano escluse, come storicamente dimostrato, solo le fecce da caccia (pesanti, ma troppo larghe) e le bodkin lunghe e strette (ferro morbido, troppo leggere, buone solo per i tiri su lunga distanza iniziali).

Penetrazione delle armature

I migliori test con le frecce disponibili sono quelli di Alan Williams, volti a simulare frecce da guerra con punte da sfondamento forgiate in un acciaio molto duro per non deformarsi all’impatto. Per i test Alan Williams impiegò una Rosand IFW5 con montata una punta a quadrello, aguzza e di forma piramidale. Ne abbiamo già discusso qui, ma riporto i dati per completezza.

La freccia simulata ha iniziato a penetrare un foglio di acciaio morbido da 1 mm con 30 J e uno da 1,5 mm con 80 J. Ma se si vogliono ottenere anche 40 mm di penetrazione, ovvero una “ferita decente” tale da poter dire che l’armatura è stata sconfitta, l’energia aumenta rispettivamente a 55 J e a 110 J.

Tabella di Resistenza alle Frecce

    1 mm     2 mm     3 mm     4 mm
Normale     55 J     175 J     300 J     475 J
Impatto 30°     66 J     210 J     360 J     570 J
Impatto 45°     78 J     250 J     425 J     670 J

I valori sopra indicati vanno moltiplicati per il coefficiente W di resistenza dell’acciaio considerato: 0,5 (ferro da munizione), 0,75 (acciaio con poco carbonio), 1,1 (acciaio a medio livello di carbonio) o 1,5-2 (acciai ben induriti).
Impatto normale indica un perfetto colpo perpendicolare. Impatto a 30° e 45° indicano le tipiche deviazione rispetto al colpo perfetto fornite da un’armatura a piastre arrotondata (comuni nel ‘400) e da un’armatura spigolata (del ‘500).
Vedi differenza ▼

Le frecce usate nei test contro le piastre riportati qui sopra credo siano quelle con la punta da 40 gradi, da sfondamento (quella da 18-20 mm visibile in cima all’articolo), la cui parte più larga della testa -subito prima della punta- è più larga dell’asta (da 13-15 mm). Le frecce storiche potevano anche essere meno pesanti e meno larghe, 16 mm circa per quelle pesanti (con 20 mm immagino sia una bodkin pesante da 4-4,5 once), per cui l’energia necessaria per la completa penetrazione di 4 cm potrebbe essere meno grande di quanto stimato qui. Una via di mezzo, immagino, calcolata però solo sull’energia necessaria ad allargare il foro, non su quella per iniziare la frattura.

Prendo un esempio di Williams: contro il foglio da 1,9 mm di acciaio svedese di pessima qualità (W 0,6 circa), la punta di freccia da 40 gradi ha impiegato 80 J per causare un buco da 5 mm di diametro, mentre quella da 18 gradi 75 J. Non è una gran differenza. La differenza tra una freccia con la punta da 18 gradi e una con la punta da 40 è che magari la prima sarà larga quanto l’asta o meno (13-14 mm) mentre la seconda di più (16-20 mm) e quindi la seconda necessiterà di più energia per affondare la testa completamente. La seconda magari sarà una freccia pesante adatta per sfruttare al meglio gli archi potenti, 4-4,5 once per un arco da 150 libbre, mentre la prima sarà una freccia più leggera, 2-3 once, per i primi tiri a lunga distanza.

A occhio la mia stima è che se per iniziare la frattura servono 80 J a una e 75 J all’altra (W 0,6: immagino allora servano 130 J e 120 J contro dell’acciaio AISI 1010-1020) e per completare il buco da 40 mm servono 175 J, allora la bodkin aguzza da 18 gradi dovrebbe richiedere circa la metà dell’energia dell’altra per completare la penetrazione più l’energia per iniziarla: 140-145 J.

Anche una maglia di ferro è stata testata contro le frecce. Si tratta di un pezzo originale del XV secolo, 4-in-1, in acciaio a basso contenuto di carbonio indurito tramite tempra (forse 200 KJ/m2, ma con pezzi così piccoli non è possibile calcolare la resistenza), poggiato sopra una imbottitura di ben 26 strati di lino (un “jack” bello pesante). La punta di freccia in questo caso è indicata come una punta bodkin da 18 gradi (non penso sia una bodkin ad ago, credo sia solo una bodkin da sfondamento molto aguzza), quindi più aguzza delle punte da 40 gradi precedenti. La freccia con 120 J ha spezzato due anelli e ha penetrato completamente l’imbottitura (circa 80 J per spezzare gli anelli, 20 J per perforare il jack pesante e altri 20 J per causare 35 mm di ammaccatura nella plastilina sottostante).

La buff coat (protezione in cuoio spessa 5 mm) è stata perforata con 30 J. Del corno di spessore non specificato è stato penetrato con 50 J.

Ulteriori test meno dettagliati

Peter Jones condusse alcuni test di penetrazione alla Royal Armament Research and Development di Fort Halstead. Jones impiegò frecce di tipo bodkin, con le punte in ferro sottoposto a carburizzazione per indurirne la superficie (in pratica ferro morbido dentro e duro acciaio al carbonio fuori), contro fogli di ferro morbido (Victorian soft wrought iron) di vario spessore: 3 mm per simulare la porzione frontale dell’elmo, 2 mm per la corazza e 1 mm per braccia e gambe. Buone punte di freccia contro un metallo davvero schifoso.

Le frecce (di massa ignota) vennero tirate da John Waller con un arco di tasso da 70 libbre contro i fogli posti obliquamente per simulare l’angolo di impatto reale delle frecce in battaglia. Le frecce a 10 metri di distanza penetrarono il foglio da 1 mm per 4,5-5 cm. Una buona ferita alla gamba o al braccio, in grado di avere serie ripercussioni sulle possibilità di proseguire lo scontro. La piastra da 2 mm venne penetrata, ma solo di 1,1 cm, insufficienti per infliggere una ferita pericolosa al torace. Senza contare che i test non considerano una protezione imbottita al di sotto, come era normale nel ‘300 e nel ‘400. La piastra da 3 mm, per quanto fatta di un ferraccio ignobile, respinse tutte le frecce.

E infine il contributo di Giovanni del maggio scorso:

Personalmente ho fatto un test (prossimamente visibile in una serie di documentari televisivi sul Medioevo)usando una piastra di 1 m. x 1 m di ferro acciaioso di 1,5 mm (mild steel, W = 1 circa, nota del Duca). Essendo piatta non defletteva le frecce e quindi l’impatto e prendeva il colpo in pieno, nel contempo però la vibrazione causata dal colpo lo ammortizzava. I tiri da 30 m., più volte ripetuti, hanno dato questi risultati: freccia sfondagiaco lanciata da arco italiano da 60 lb., nessuna perforazione; stesse frecce con arco composito 60 lb., idem; arco longbow da 100 lb.,perforazione con fuoriuscita di circa 3 millimetri; balestra con arco in legno di circa 90 lb, nessuna perforazione;balestra con arco in acciaio da 150 lb., perforazione di circa 4 mm.; balestra pesante da 250 lb., perforazione di 5 mm.In pratica (considerando anche la sottostante imbottitura) nessuna ferita grave.

Le Armature ai tempi del Longbow

L’armatura più comune per i cavalieri al tempo di Crecy (1346) era la cotta di maglia con l’aggiunta di piastre in ferro (su gambe e braccia) e di una cotta di piastre sul torso. Armature lamellari e brigantine, sempre fabbricate con acciai di qualità non eccelsa, sono state rinvenute nelle fosse comuni della battaglia di Wisby (1361).

Una freccia per infliggere una buona ferita di 40 mm attraverso un’armatura lamellare spessa 2 mm in ferro avrà bisogno di circa 80-90 J. Questo è sicuramente nelle possibilità di un arco lungo da 150 libbre, perfino a 200 metri se impiega una freccia pesante (94 J). È invece del tutto impossibile per un arco da 70 libbre che scagli una freccia di 45 grammi (44 J): il nemico non si farebbe nemmeno un graffio.

Le protezioni su gambe e braccia erano spesse 1-1,5 mm, in ferro o acciai di dubbia qualità (W 0,5-0,75 massimo), sufficienti per fermare le lame in corpo in corpo, ma non le frecce pesanti scagliate dagli archi da 150 libbre. I cavalieri le impiegavano, nel caso delle braccia, sopra una cotta di maglia e relativa imbottitura: in tal caso solo una freccia molto pesante a bruciapelo (146 J) avrebbe avuto qualche possibilità di sfondare gli strati di protezione e infilzare il bersaglio.

Il discorso diventa un po’ diverso per il torso. La cotta di piastre in ferro spesso 2 mm, unita alla cotta di maglia e alla spessa imbottitura rendeva il cavaliere a prova di freccia: 180-200 J sono ben al di sopra delle possibilità di un arco lungo, ma non di una balestra molto pesante che impieghi dardi da cinque once o più (200-250 J).

cavaliere inglese 1290
Un cavaliere della fine del Duecento.
Notate le due cotte di piastre a destra. Non sono presenti piastre ulteriori per gambe e braccia al posto (o sopra) la maglia di ferro, come sarà invece comune al tempo di Crecy (1346).

Contro la tipica armatura milanese da cavaliere di primo Quattrocento, spessa 2 mm e in buon acciaio (W 1,1), servono 230 J per ottenere una buona ferita (senza considerare nel conto i 50 J extra circa per l’imbottitura sottostante o un’eventuale cotta di maglia a compensare un acciaio di minore qualità). Questo tipo di armatura a piastre, diffusa alla battaglia di Agincourt (1415), potrebbe resistere anche ai dardi della maggioranza delle balestre da guerra. Senza considerare che già a inizio Cinquecento gli spessori complessivi delle corazze si stavano avviando verso i 2,5-3 mm (a prova di archibugio, altro che di arco!).

L’armatura a piastre contribuì notevolmente al tramonto del longbow e alla sua sostituzione con armi da fuoco sempre più potenti e capaci di minacciarla. Oltre ai test, già sufficienti di per sé trattandosi di fisica, ci sono ulteriori prove che vengono dalle cronache del periodo a sostenere la teoria secondo cui l’arco lungo non era più un’arma adatta a contrastare nemici in armatura.

La battaglia di Flodden (1513) è considerata dagli studiosi l’ultima vittoria dell’arco lungo, ma questo non significa, come alcuni potrebbero pensare, che gli archi fossero ancora ottime armi in grado di penetrare le armature. Se si vanno a vedere i documenti dell’epoca si trovano testimonianze come queste:

[The front ranks of the Scots] were most assuredly harnesed abode the most dangerous shot of arrows, which sore them annoyed but yet except it hit them in some bare place, did them no hurt.
Fonte: un testimone degli eventi.

They were so well cased in armour that the arrows did them no harm, and were such large and stout men that one would not fall when four or five bills struck them.
Fonte: il vescovo Ruthal che scrive dieci giorni dopo la battaglia.

Gli scozzesi delle prime linee indossavano armature da munizione inviate dalla Germania proprio per armare la nuova fanteria pesante di Giacomo IV ispirata ai lanzichenecchi tedeschi. Queste armature prodotte in massa per quanto fatte con acciai di cattiva qualità (W pari a 0,75 per quelle di Norimberga) erano comunque sufficienti a rendere i fanti immuni alle frecce dei migliori arcieri d’Europa. A parte nei pochi punti in cui erano scoperti, come sottolinea la prima fonte, ma questo è lapalissiano. Il problema però era che la maggior parte degli altri scozzesi non indossava protezioni altrettanto valide e contro di loro l’arco lungo fece il solito macello.

Il Longbow nell’uso militare e altre informazioni

Il longbow è un’arma per l’uso in massa. Si, può essere usata con una certa precisione (non paragonabile a quella del fucile con canna rigata e inferiore anche a quella delle balestre), ma la vera forza dell’arco lungo è quella di poter inviare su lunghe distanze delle frecce pesanti in grado di conservare una buona quantità di energia cinetica grazie all’accelerazione ottenuta nella fase discendente della parabola. E quando si tira con un angolo di 45° gradi per colpire a 200-300 metri di distanza non si può certo “mirare agli occhi” o “nelle giunture meno protette”.
Gli arcieri tiravano in formazione, dietro protezioni formate da pali acuminati anti-cavalleria, oscurando il cielo con foreste di dardi mortali e massacrando gli sventurati privi di robuste armature. O anche i cavalli. A Crecy, ad esempio, i cavalieri francesi disponevano di armature più che adatte a resistere alle frecce inglesi, ma i cavalli no. Quando la cavalleria francese fu costretta a intervenire perché i balestrieri genovesi erano impotenti (le loro balestre composite e le corde erano ridotte a un livello di forza ridicolo a causa delle piogge precedenti che le avevano rovinate), si trovò a cavalcare in mezzo a un pantano sotto il tiro di migliaia di possenti arcieri inglesi.
Ma le cronache non ci riportano una carneficina di cavalieri quanto di cavalli. I poveri cavalieri dovettero rinunciare alla “carica frontale” e si ritirarono alla meglio, lasciando il campo (fangoso) ai fanti francesi che si ritrovarono ad affrontare prima la pioggia di frecce inglesi e poi i temibili uomini d’arme dotati di pesanti armi inastate e robuste armature. Seguì la rotta disordinata dei francesi, la cui cavalleria di riserva nemmeno provò a partecipare allo scontro, e il conseguente massacro.

Archers with strong and numerous volleys darkened the air… an intolerable multitude of piercing arrows, and inflicting wounds on the horses , either caused the French horsemen to fall to the ground , or forced them to retreat.”
Fonte: una cronaca del 1446 (100 anni dopo).

Conoscendo le armature impiegate dai francesi e i risultati dei test di penetrazione è perfettamente comprensibile come il principale danno causato dalle frecce non fosse sui cavalieri ben corazzati, ma sugli animali privi di bardature protettive. E senza cavalli non si fanno cariche di cavalleria. Lapalissiano.
Ciò che stupisce di più gli esperti non è tanto la forza degli arcieri inglesi quanto la logistica e l’addestramento: con il ritmo di tiro dell’arco (anche 10 frecce al minuto!) e la lunga durata delle battaglie, era necessario un fitto ricambio di faretre di frecce per evitare che gli arcieri si trovassero disarmati!
Oltre agli arcieri a piedi vi erano anche quelli a cavallo, che ricevevano uno stipendio maggiore. L’arciere a cavallo agiva un po’ come i dragoni del ‘600: si muoveva a cavallo, rapido come la cavalleria nel raggiungere il luogo dello scontro, ma smontava e combatteva come fanteria (e i cavalli impiegati infatti non erano animali adatti alla guerra).
Gli arcieri solitamente erano disposti ai lati della formazione, in posizione obliqua in modo da colpire di infilata le forze nemiche (come avviene con le batterie d’artiglieria nel ‘700), mentre il centro era lasciato agli uomini d’arme appiedati. D’altronde, in caso di corpo a corpo, solo la fanteria pesante poteva sostenere l’urto della cavalleria o della fanteria nemica mentre gli arcieri, poco corazzati e privi di armi ad asta, non sarebbero stati in grado di contrastare i nemici (gli arcieri borgognoni e francesi invece pare che fossero meglio equipaggiati per la mischia, con armature più pesanti e falcioni).


Tiro in massa e rapidità dell’arco. Notate la presa con tre dita.

Il tiro con tre dita

Il tiro medievale si faceva con tre dita (presa mediterranea) per sfruttare al massimo la forza fisica. Tirare con due dita (presa fiamminga) permette una presa meno solida e prestazioni inferiori (archi meno potenti) e anche se talvolta appare nei quadri e nei disegni d’epoca è ormai accertato che gli arcieri con l’arco da guerra pesante usassero tre dita -una sopra e due sotto la cocca- come accade nel moderno tiro col longbow. Magari ne usavano due con archi più leggeri, per il tiro al bersaglio, e questo può essere ciò che i pittori hanno visto: errori di questo tipo nelle raffigurazioni militari del passato sono molto comuni… francamente non lo so!

I muscoli più coinvolti sono i dorsali, il bicipite del braccio che tira la corda, il tricipite del braccio che trattiene l’arco (soprattutto nella spinta finale, quando si “entra dentro l’arco” con un annullamento di forze tra arco muscolare e arco di legno), la porzione posteriore dei deltoidi e, per inarcare la schiena, i lombari.

Notate, nei primi due video dell’articolo, la posizione di tiro laterale con il torso proiettato in avanti di Stretton e dell’altro energumeno. Smuovere in questa posizione 68 kg non è facile, per niente. Chi ha esperienza in palestra con il pulley al cavo basso per i dorsali o con la lat machine sa bene quanto siano pesanti 60-70 kg. Molte persone non superano i 40-50 kg. Io faccio a malapena 8 ripetizioni con 70 kg alla lat machine con presa frontale piuttosto stretta: non potrei mai aprire un arco da 150 libbre a 30 pollici!

Il prezzo degli archi

La produzione di archi richiedeva moltissimo legno di alta qualità. Enormi quantità di aste per archi venivano inviate alle armerie della Torre di Londra dal resto d’Europa. Grandi piantagioni di alberi di tasso, ordinatamente piantati e custoditi dalle guardie forestali per garantire una crescita perfetta del legno, erano comuni in Inghilterra. Tutt’ora rimangono i resti di alcune di queste piantagioni organizzate. Per capire il volume di vendite basta ricordare che Enrico VIII ottenne il permesso del Doge di Venezia per importare 40mila aste per archi nel solo 1510.

Gli archi non costavano molto, perfino meno delle spade. Nel 1536 Enrico VIII rinnovò la legislazione sul prezzo degli archi, per mantenerli simili a quelli del 1488 (in Europa si stava affacciando, grazie all’argento americano, un problema dimenticato dal tempo dell’Impero Romano: l’inflazione). Gli archi migliori dovevano costare 3s 4d (3 scellini e 4 denari: 12 denari fanno uno scellino e 20 scellini fanno una Lira, ovvero il valore di una libbra d’argento), quelli di seconda scelta 2s 6d e quelli di terza scelta 2s. Due dozzine di frecce per uso militare della qualità migliore doveva costare 2s 4d, mentre quelle normali 2s. Una faretra di cuoio costava 6d, una cintura 2d e mezza dozzina di corde per archi 3s 4d. Per fare un paragone con i prezzi di altre armi basta ricordare che una buona spada costava 6s e un’armatura milanese completa a metà ‘400 veniva 8L 6s 8d (166 scellini).
Alla fine, nel 1566, una nuova legge permise ai produttori di archi di aggiornare i prezzi tenendo maggiormente conto dell’inflazione (il prezzo delle aste di legno era passato nell’ultimo secolo da 2L a 12L al centinaio): ora gli archi fabbricati con il miglior legno di tasso straniero costavano 6s 8d. Poco più del prezzo di una normale spada per un arco di ottima qualità.

Per comprendere meglio il valore del denaro, ecco un po’ di prezzi inglesi della metà del Trecento (considerate che fino alla fine del Quattrocento l’inflazione è ininfluente e diventerà importante solo con il flusso di argento americano nei primi decenni del Cinquecento): un maiale (2-3s), una mucca (9s 5d), due polli (1d), due dozzine di uova (1d), frutta secca (1-4d la libbra), un’oca (6d), 36 kg di formaggio (3s 4d, dato del Duecento), un litro abbondante di buona birra (1d, dato di inizio Cinquecento), vino economico (3-4d al gallone, 4,5 litri), buon vino (8-10d al gallone), retta universitaria (2-10L l’anno), lezioni da un maestro di scherma (10s al mese, tardo Cinquecento).

Mirare al volto

Gli arcieri inglesi preferivano non rischiare di vedere la propria freccia deviata dalla corazza nemica per cui, quando effettuavano tiri ravvicinati, miravano al volto. Questa è un’ulteriore dimostrazione della resistenza delle armature del ‘300-‘400. Le cronache di tramandano un numero notevole di casi in cui nobili e cavalieri vennero uccisi da ferite di freccia nel volto. Il volto prima dell’invenzione del grande elmo completo era spesso scoperto visto che gli elmi conici proteggevano solo il cranio. Re Harold alla battaglia di Hasting del 1066 venne ucciso da una freccia vagante, probabilmente finita nella faccia. Sfortuna.

Geoffrey de Mandeville all’assedio di Burwell del 1144 rimosse l’elmo mentre si trovava a tiro degli arcieri di Re Stephen e venne colpito a morte nel cranio. Anche quando i grandi elmi divennero comuni continuarono ad esserci “frecce in faccia”, dato che i comandanti militari per dare meglio gli ordini (e i cavalieri per respirare meglio) tendevano ad alzare la celata quando non percepivano un pericolo immediato.

Il futuro Re Enrico V, quindicenne, si prese una freccia in faccia nel 1403 (ma sopravvisse e continuò a combattere nonostante il parere contrario dei suoi alleati), Enrico VI si godette una freccia nel collo nel 1455 a St. Albans e, per concludere con gli esempi più famosi di headshots, nel 1356 il lord francese di Castelsagrat fu ucciso da una freccia inglese che gli trapassò il cranio.

cranio wisby
Punta di freccia, di discrete dimensioni, dentro un cranio proveniente dalla battaglia di Wisby del 1361. Le ossa del cranio sono molto dure e spesse. Dallo studio delle ferite si è scoperto che alcuni soldati pur avendo ricevuto due o tre frecce in faccia nelle prime fasi dello scontro continuarono a lottare: infatti sulle loro ossa si notano i segni di altre ferite mortali ottenute in corpo a corpo.

Gli Yeoman e l’arco lungo

Gli uomini che formavano i corpi di arcieri dei tre Edoardo, di Riccardo II, dei vari Enrico di Lancaster, di Edoardo VI e di Riccardo III erano tutti uomini che lavoravano la terra, in un modo o nell’altro. Erano uomini abituati al duro lavoro fisico, a sopravvivere a disagi di ogni tipo e a fare affidamento solo sul proprio corpo e non sulle macchine. Erano avvezzi a sopportare il freddo, le alluvioni e le malattie come anche a godere dei periodi di ricchezza e benessere che si alternavano nella vita dei contadini del passato. Il corpo di questi uomini era forgiato dalla Natura e ben selezionato dalla mortalità (sia infantile che degli adulti) che non lasciava scampo ai più deboli.

La dieta degli agricoltori del Quattrocento era più ricca di carne e cereali di quanto fosse quella dei loro predecessori più poveri del Duecento. E molto più ricca di proteine (oltre che di calorie totali) di quella degli uomini del ‘600 o del primo ‘800, quando ormai le crisi internazionali e il boom demografico avevano deteriorato notevolmente la dieta della popolazione.

Erano liberi contadini e, molto spesso, piccoli proprietari terrieri in grado di mangiare più che a sufficienza, integrando la dieta anche con la selvaggina (nonostante non fosse sempre legale cacciare), e di allenarsi con gli archi fin da bambini per diventare sempre più forti e precisi. Erano gli Yeoman: a metà strada tra i plebei o i comuni soldati e i cavalieri, equivalenti come posizione sociale ai Freibauer tedeschi.

Nell’Editto sulle Armi del 1252 gli Yeoman vengono indicati come proprietari terrieri con un reddito di almeno 40 scellini l’anno: “quelli con un reddito annuale derivato dalla terra di 40-100 scellini devono essere armati e addestrati con l’arco e le frecce, la spada, il brocchiere e il pugnale“. In cambio della loro disponibilità in caso di chiamata alle armi ricevevano un compenso. Alcuni arcieri divennero professionisti a tempo pieno, lasciando la cura della terra (se ancora ne possedevano) a qualcun altro in cambio di un reddito non molto alto, ma più sicuro.

La scomparsa dell’arco lungo inglese dai campi di battaglia non è dovuta solo alla sua incapacità rispetto alle armi da fuoco di penetrare le armature, ma anche alla scomparsa degli Yeoman stessi. Vi furono pestilenze tra gli anni quaranta e cinquanta del Cinquecento, epidemie di febbri bubboniche e carestie che uccisero più di un terzo degli uomini abili alle armi. La qualità della vita precipitò, l’inflazione rese difficile, come nel resto d’Europa, la sopravvivenza della gente un tempo benestante (come gli operai edili tedeschi) e ora sul lastrico.

L’altezza delle persone diminuì a causa della malnutrizione infantile, arrivando a quelle medie piuttosto basse che si vedevano nel ‘700 e nell’800 (pare che nel medioevo l’altezza media fosse poco inferiore, se non uguale in alcune popolazioni, a quella attuale). Il potere d’acquisto del denaro era crollato in pochi decenni, ma la paga degli arcieri era rimasta la stessa di duecento anni prima. I piccoli liberi contadini, vittime dell’inflazione, ma privi dei mezzi per difendersi, perdettero le loro terre (come successe in Francia).

E con la scomparsa degli Yeoman scomparvero anche gli arcieri forti e muscolosi in grado di usare i potenti longbow.

81 Replies to “Performance dell’arco da guerra inglese”

  1. Che dire? Ottima guida, come sempre Carraronan. Quasi non mi sembra vero leggendo simili articoli che sei la stessa persona alla ricerca di disegni porno di Nihal XD (confessa, hai un gemello cattivo!)
    Ora, a differenza di te non sono un esperto del settore. Tuttavia aggiungo che oltre alle tecniche da te indicate (come la questione delle tre dita o l’uso dei muscoli lombari) esistevano tecniche ancora diverse per aumentare la gittata delle frecce (che in parte, ovviamente, dipendevano anche dalla “tecnologia” in uso ai tempi nel tal regione). Ad esempio, come mostrato, seppur con un po’ di fantasia, nel film “Hero” all’epoca dei Tre Regni in Cina gli arceri tendevano le proprie armi sfruttando entrambe le mani per la presa sulla corda e le gambe sul legno. All’inizio avevo pensato che quella fosse stata una “licenza poetica” del regista, poi invece scoprii che tale tecnica fu realmente utilizzata ai tempi. Se riesco a recuperare il materiale, magari te lo segnalo.
    Nel frattempo, ancora complimentii :)

  2. @Okamis:
    pareva anche a me di aver letto qualcosa a riguardo, ma non riesco a ritrovare le fonti. Se tu le trovi mi fai un favore.
    Le gambe messe assieme hanno molta più forza delle braccia, tanto che anche le balestre da fanteria si caricavano spesso con gancio alla cintura e una o due gambe nella staffa frontale (per le più pesanti servivano comunque leve e carrucole o un compatto martinetto). Per fare un paragone dorsali-gambe, se io alla Lat Machine faccio 6-8rep con 70 kg (e tutta la muscolatura dorsale, non solo metà come i mostruosi arcieri inglesi), alla Leg Press non ho problemi a fare 8-10 rep con 150-160 kg quando ho le gambe ben calde dopo gli esercizi mirati per quadricipiti e bicipiti femorali.
    Con dei semplice archi vi sarebbe il problema che al rilascio della corda l’asta non sarebbe vincolata saldamente a nulla e la freccia volerebbe a casaccio e con meno potenza visto che i flettenti scaglierebbero lo stesso arco in avanti mentre riportano in posizione la corda. Servirebbe una sorta di staffa, posta di fronte ai flettenti e ancorata nel punto in cui si trova l’impugnatura, in cui calzare saldamente i piedi.

    Ho provato a cercare info nei manuali della osprey, sperando fosse lì che li avevo visti, ma ho trovato solo le foto dei balestrieri dell’esercito di terracotta (inginocchiati e con le mani che tengono il nulla, essendo sparite da secoli le balestre originali) e informazioni sugli arcieri su carro e su quelli appiedati cinesi di vari secoli Avanti Cristo.
    Però io non ho i manuali specifici sui primi secoli Dopo Cristo a cui ti riferisci, per cui magari qualche informazione specifica la possa trovare là. Li scaricherò.

    @mhrr: grazie. Ho dovuto tagliare tantissime informazioni che avrebbero reso il testo dispersivo (comunque ho indicato tutte le fonti in cima), incluse alcune sui potenti archi da guerra di altre popolazioni (Hardy citava un arco da guerra scandinavo del VI secolo, mi pare, da 100 libbre), tutti i dati delle frecce di peso intermedio, ho ridotto al minimo le informazioni belliche e non ho parlato per niente del potente arco corto gallese da cui nasce la tradizione dell’arco inglese. Ho provato a condensare più informazioni utili possibili in poco spazio e con una struttura che guidasse il lettore nella comprensione di cosa è il longbow da guerra, ma è venuto lo stesso un papiro di più di 8000 parole. ^__^

  3. Uhm.
    51555 battute senza immagini e video. Quasi 26 cartelle.
    In termini di “Nihal della Terra del Vento” (la pietra miliare del mio erotismo fantasy) sono 37 pagine di testo, fino al punto in cui Soana dice a Nihal che dovrà rimanere sola nella foresta.

    ^__^

  4. Complimenti Marco!
    bella, chiara ed esauriente, proprio un ottimo lavoro!

    Faber

  5. Grazie Gaffu.
    Mi sono accorto di aver dimenticato di inserire alcune precisazioni sul materiale utilizzato per gli archi lunghi. Le ho inserite. Non ho aggiunto spiegazioni sulla lavorazione (tillering, cose così…) perché l’articolo non è dedicato a queste cose e, in ogni caso, le conosco troppo poco per parlarne in modo interessante.

    Questo è il pezzo nuovo inserito, poco dopo il box sulla Mary Rose:

    Il legno impiegato era il tasso perché è un legno compatto, ma non duro, con un’ottima elasticità e flessibilità, che si rompe in doghe regolari facilitando la lavorazione. Si usava di preferenza uno spicchio longitudinale del tronco, così che l’arco finito avesse il dorso formato da alburno, legno esterno di formazione recente, e il ventre di durame, legno più vecchio che si trova all’interno del tronco: questo perché l’alburno è più flessibile ed elastico e il durame è più resistente alla compressione.

  6. ti dirò, anche questo mi sa che me lo stamperò: è esattamente uno di quei tipi di testi che servono a chi si occupa di fantasy. ad esempio mi sono reso conto che nella copertina di utp ho fatto un errore: sarebbe stato meglio che gli archi fossero compositi (immagino, ma potrei sbagliarmi, che possano essere più piccoli, a parità di potenza).
    il punto è che quel che serve sono delle specie di manuali di gurps per narratori (ce n’erano alcuni fatti veramente bene) e questi articoli sono ciò che si avvicina di più.
    aggiungo anche questo, per dare maggior valore al tuo sforzo: in utp, dopo l’articolo sulle armature mi è venuto in mente che nella malaterra non potevano esserci altoforni, e che quindi gli atarur non potevano avere così tanta roba in acciaio. abbiamo riletto tutto e abbiamo corretto dove opportuno, dotandoli di punte di freccia di pietra e di bronzo. anche se non ti piace, grazie ai tuoi articoli, è un romanzo migliore.

    rileggendomi questo post è riuscito troppo autoreferenziale e insieme una specie di leccata clamorosa (ma voleva solo essere un ringraziamento argomentato). eliminalo pure.

  7. L’arco composito può piegare i flettenti molto di più senza stress eccessivi, raggiungendo quindi un notevole allungo e una notevole potenza. Infatti corno e tendini, che foderano avanti e dietro la base in legno, sono capaci di immagazzinare molta più energia del legno di tasso.
    Tecnologicamente è un’arma superiore al longbow: più compatta e con prestazioni finali simili o superiori. Il longbow però ha il vantaggio, fondamentale per un’arma di impiego militare, di essere poco costoso, facile da produrre in massa in tempi brevi e semplice (una doga di legno).
    L’arco composito richiede legno, corno, tendini e una lavorazione molto più lunga: se si può avere il longbow (perché si hanno foreste adatte da cui trarre il legno) non c’è motivo di impiegare un’arma più complessa.
    Lo svantaggio dell’arco composito è di essere molto sensibile all’umidità: i Mogol soffrirono questo problema quando si impossesarono del nord-est dell’India. In compenso evolvettero al fianco della loro pesante cavalleria in armatura (si, non avevano paura di stare avvolti nell’acciaio nel salubre clima indiano) delle unità di professionisti armati di lunghi moschetti già nel ‘600 (oltre al solito impiego delle milizie di contadini-soldati del centro dell’India, dove i lunghi periodi di inattività costringono gli agricoltori a diventare mercenari)
    Un’arma straordinaria l’arco composito.

    Per gli Atarur non saprei che dire. Anche senza altiforni, necessari per produrre acciaio di buona/ottima qualità, possono comunque ottenere dei buoni lingotti di ferro o perfino dei deboli acciai più o meno ricchi di scorie (W 0,5-0,75) con i forni a fossa. Da questi lingotti di dimensioni limitate possono ricavare fili per cotte di maglia, punte di freccia indurite con la lavorazione a martello e la carburizzazione, piccole piastre per costruire armature a scaglie e lamellari (grandi piastre per forgiare pettorali in ferro penso di no, ma non sono sicuro: dovrei guardare se trovo qualcosa sui limiti di dimensione dei lingotti attorno all’anno Mille)… in fondo il bronzo, per quanto possa essere un valido metallo, è davvero molto costoso. Se possono in qualche modo sfruttare l’abbondanza naturale di ferro (come facevano anche i romani, privi pure loro degli altiforni) dovrebbero farlo.

  8. Volevo farti i complimenti, ma la parola anti-spam che ho trovato in sede di scrittura del commento era “vagina” e quindi l’ilarita` suscitata ha prevalso sulla mia capacita` di scrivere cose sensate.
    Saluti.

  9. Ho scelto delle bellissime parole anti-spam.
    La lista attuale è:

    vagina
    baionetta
    fucile
    erezione
    tette
    scroto
    oplologia
    Nihal
    anale
    coniglio
    duca
    porno
    scolaretta
    LiciaTroisi

    Ne sono molto orgoglione. ^__^

  10. un sito che ti farà sicuramente grufolare

    http://www.outlab.it/mongolo.htm
    http://www.outlab.it/compound.htm

    facendo un po di fantasy engeneering che cosa impedirebbe a una civiltà tecnologicmente paragonabile a un’europa del 1400-1500 a realizzare un arco compound? (camme decentrate)

    dato l’incredibile potenza che è posssibile imprimere a un arco simile rendendo nel contempo decisamente più agevole la fase di mira sarebbe un’arma per corpi speciali eccezionale

  11. Bellissimo sito. Ho dato un’occhiata agli articoli riportati, con le fonti bene in evidenza in cima, e l’ho subito messo nei preferiti! Grazie mille per la segnalazione!

    Per gli archi compound non saprei. Un’arma così specialistica, senza un’applicazione militare di massa e quindi un mercato che ne generi lo sviluppo tecnico graduale (come è successo con l’evoluzione delle armi da fuoco) dubito potrebbe mai svilupparsi in un ambiente pre-moderno come sono tanti fantasy.
    Il mercato militare, che è quello che conta di più perché loro pagano e loro comprano armi, richiede armi semplici, robuste e molto affidabili. Un moschetto deve essere utilizzabile a piacimento come clava, come lancia e anche per sparare, tutto in una sola arma. E meno pezzi meccanici ci sono e meglio è: il meccanismo a ruota era un fallimento anche per quello, troppo complesso, mentre il fucile a percussione fu un successo anche e soprattutto perché riduceva il numero di componenti (e quindi di pezzi di ricambio da produrre) rispetto al fucile a pietra focaia.

    Pure noi abbiamo aspettato il Novecento (come dire: non è un’idea tanto immediata), quando il mercato degli archi sportivi/uso caccia portò allo sviluppo di simili oggetti.
    E per le camme moderne, al posto delle ruote tonde, mi pare si sia arrivati al 1982.

    Comunque, tolto quello, bisogna vedere se simili armi anche avendo l’intuizione tecnica per fabbricarle non possano scontrarsi con grossi limiti dovuti ai materiali da impiegare (si basano su un sistema di carrucole le cui nozioni matematiche erano già in uso al tempo del longbow… può darsi anche che siano stati effettivamente immaginati e pensati già nel ‘500, senza che nessuno riuscisse a costruirli davvero, boh!): vedo che nei compound moderni si usano alluminio (impossibile da produrre in massa prima di inizio ‘900) e altri materiali con doti speciali di flessibilità e resistenza alla compressione…
    Mah, non saprei.

    Bisognerebbe informarsi con un fabbricante per sapere se è possibile realizzarne usando per i flettenti materiali che non siano così tecnologici o se si perderebbe gran parte del vantaggio (o magari se i flettenti in materiali meno validi dovrebbe essere più lunghi per flettersi ancora di meno e non stressarsi troppo).

    Comunque, se il problema fosse solo tecnico e se si immagina che esistano legni inventati adatti a sostituire l’alluminio o altri materiali high-tech (tipo il brakka dei libri del ciclo di Mondo e Sopramondo di Shaw, che è un legno lavorabile resistente come acciaio), non ci vedo nulla di male in archi compound in dotazione a truppe speciali fantasy. ^__^

  12. con flettenti lunghi perderebbe un importante vantaggio di un compound

    ossia la compattezza

  13. Ottimo articolo. Proprio le informazioni che stavo cercando.

    E’ un mio sospetto o sei un ingegnere dei materiali?

    Se è così allora comincio a preoccuparmi. Se per trovare una articolo fatto come voglio io devo leggere un “collega” allora vuol dire che abbiamo una tara mentale grave.

    Belli anche molti altri articoli che sto lurkando con calma.

    Ghost

  14. Sfortunatamente non appartengo alla virile schiera dei veri ingegneri che fanno corsi virili e sensuali come “materiali metallici” e “materiali polimerici” (meccanici, materiali e simili). :-(
    Sto studiando (si, come no!) per diventare ingegnere informatico.

  15. Bhe anche se non sei dei nostri hai in te il germe del materialista che porta ad una inevitabile deformazione del modo di vedere il mondo (non ho ancora capito se ciò è un bene o un male).

    Buona fortuna con i tuoi studi e con il tuo sito.

  16. Ciao!

    Sto leggendo i tuoi articoli e sono meravigliosi: hanno la dote di essere chiari e coinvolgenti – ciò fa di te un ottimo comunicatore.

    Dopo questo elogio preliminare (…) vorrei solo aggiungere un fatto che mi ha sempre spinto a propendere per il partito delle “libbre alte”. Non sono un esperto, ma credo capirai: molto spesso, infatti, mi è capitato di leggere nei romanzi che, quando serve man forte si chiamano sempre “due robusti arcieri“. E’ un peccato che non ricordi di che romanzi si tratti (leggo tantissimo), ma va da sé che, fossero anche romanzi ottocenteschi (e perciò romantici, alla Ivanhoe), abbiamo la prova che la robustezza dell’arciere è un leit motiv – ossia un vero e proprio topos – della letteratura.

    Tenterò di essere più sistematico e chiaro – anche se mi è difficile alle 5 di mattina…

    Ipotizzo che, in base alle mie letture, l’idea dell’arciere come persona robusta ed enorme si dimostri un luogo comune ben consolidato e perciò pienamente assorbito dalla cultura occidentale. Come a dire che, nel fantasy, si salvano solo gli Elfi di Warhammer perché sono più alti e grossi degli Umani. XD

    Purtroppo, come dicevo, mi mancano le fonti. Le cercherò nel Novellino e in qualche racconto filosofico di mia conoscenza. Credo di ricordare un brano in cui alcuni arresti vengono affidati ad un manipolo di arcieri, dal quale i protagonisti riescono a stento a fuggire, visto che questi sono enormi e forzuti. Per iniziare la mia ricerca, partirò dal Novellino.

    Alla fine ho scritto tanto, ma l’idea è una sola – e tu l’hai comunque dimostrata su basi storiche e scientifiche.

    Grazie ancora!

  17. Non ne ho idea. Immagino che usassero balestre, perlopiù, più comode e adatte al tiro da posizione difensiva. Se ne trovano di grande libbraggio (1200-2000 libbre) un po’ ovunque nel basso medioevo. Più compatte e quindi più comode per gli spazi angusti e le feritoie del castello.
    Se invece usavano archi e non avevano il fisico e l’esperienza per quelli più potenti, immagino che ne impiegassero di libbraggio un po’ inferiore: 100 libbre vanno bene, non servono per forza “sempre” le 150 libbre.

    Ti incollo un pezzo di risposta a tema “archi da guerra” che avevo inviato mesi fa a una lettrice.

    È stato rinvenuto un arco vichingo, ne parla Strickland nel suo “The Great Warbow”, in una tomba in Irlanda. Caso raro di arco da guerra non inglese e non del periodo d’oro del longbow (dalla fine del XIII secolo).
    L’arco vichingo in questione misura 185 cm di lunghezza, 2,86 cm di spessore e 3,88 cm di spessore (a metà tra un flatbow e un longbow, visto che il longbow prevede un rapporto il più possibile paritario tra larghezza e spessore. Un tipico longbow della Mary Rose era 188 cm di lunghezza per 3 cm di larghezza per 3,25 cm di spessore): il suddetto arco vichingo è stimato avere un libbraggio di oltre 100 libbre.

    Anche altri archi sono stati trovati in tombe di guerrieri alemanni dell’ottavo secolo e in zone mercantili danesi, ed erano tutti archi che dalle dimensioni denotavano grandi libbraggi (100+ libbre) e lunghezze fino ai 192 cm!

    Sulla potenza degli archi, che richiedono uomini di grande forza, senza citare per forza Omero, basta andare a guardare le “Storie della guerre di Giustiniano” di Procopio (550 D.C.).
    Procopio parla della terribile cavalleria pesante armata di archi dell’imperatore Giustiniano (traduco di seconda mano dall’inglese):
    “Ma gli arcieri dei nostri tempi […] tendono la corda oltre la fronte, fin dietro l’orecchio destro [NdDuca: siamo ad almeno 32 pollici se non di più], caricando di conseguenza la freccia di un tale impeto da uccidere chiunque si trovi sul suo percorso, e gli scudi e le corazze non hanno modo di opporsi alla sua potenza.”

  18. Le balestre sono più facili da usare, richiedono meno “specializzazione”, diciamo.

    Prima di tutto il libbraggio massimo impiegabile non dipende dalla forza di chi la usa. Se hai un arco da 150 libbre a 30 pollici o sei in grado di tenderlo fino a tutte le 150 libbre (o poco meno, diciamo fino a 28 pollici) o niente da fare.
    La corda della balestra invece la tendi prima di imbracciarla, con uno strumento meccanico (martinetto/martinello, ovvero scatola a ingranaggi che permette in una 30-40ina di secondi di incoccare con la sola forza di pollice e indice anche una superbalestra d’assedio da 2000 libbre) o con un qualche sistema meno efficiente di leve e supporti (con la leva chiamata piede di capra oppure con un semplice gancio alla cintura… poi ti tiri su con la forza di ambo le gambe e usi quei muscoli al posto delle braccia per tendere: comunque con questi le balestrone da assedio non le puoi caricare nemmeno se sei un energumeno spaventoso).

    Il secondo vantaggio, oltre a non dover essere per forza erculei per usare armi erculee (e le balestre devono esserlo: avendo molti meno pollici di allungo devono moltiplicare di conseguenza il libbraggio a quell’allungo… come spiegato nell’articolo), è che una volta in tensione e col dardo pronto al tiro, nell’apposita scanalatura, puoi prendere la mira quanto ti pare, anche usando tacca di mira regolabile e mirino come sui fucili.
    Con l’arco invece devi completare il movimento per tendere al massimo e rilasciare la corda senza strappi nel momento in cui vuoi tirare. E rimanere con la corda tesa è scomodo, se l’arco è potente (relativamente alla persona), ci si ritroverà a peggiorare la mira perché i muscoli tremano per lo sforzo.
    Va fatto tutto in un solo movimento fluido per essere più precisi possibili, tendendo mentre si mira e rilasciando prima che i muscoli si mettano a protestare.
    Se devi tirare dalla feritoia fa comodo usare la balestra. O un archibugio.

    Con un arco compound moderno questo secondo vantaggio delle balestre si può avere visto che quando sei al massimo dell’allungo le carrucole si stanno facendo carico di “sopportare per te” dal 40% all’80% del libbraggio dell’arco.

    Le balestre costano molto più degli archi, ma possono essere più potenti e venire impiegate da persone che non sono specializzate e muscolose come i grandi arcieri inglesi.

  19. I miei complimenti per l’articolo esaustivo e davvero ben scritto!
    Tra l’altro gli arcieri della Mary Rose sono un caso “da manuale” per chi studia antropologia, dato che è stato possibile identificare i resti degli arcieri proprio grazie alle loro peculiarità scheletriche (delle scapole in particolare)

  20. Buongiorno Signor DUCA vorrei domandarLE per la SUA infinita cultura questa domanda:ammettendo paradossalmente di avere 2 fanti senza armatura,o meglio popolo di contadini lanciati all’attacco, vorrei conoscere, se colpiti nello stesso punto del corpo, la gittata massima di un arco lungo inglese contro balestra manesca a staffa o a manovella stesso danno, minimo ferita,differenza di gittata con medesimo danno e a che distanza massima queste 2 armi potevano arrivare con ferita o morte. LA RINGRAZIO INFITAMENTE PER LA SUA RISPOSTA. DISTINTI SALUTI

  21. Buongiorno, ieri fortunatissimamente ho scoperto questo meraviglioso SITO e sono rimasto sbalordito dalla estrema competenza e cultura del Signor DUCA.Questa mattina ne ho già spedita una e LA RINGRAZIO per la risposta.COMPLIMENTI VIVISSIMI. Distinti Saluti.

  22. Buongiorno Signor DUCA leggendo il SUO stupendo articolo su i test di penetrazione le mie considerazioni della domanda che LE ho fattoè sono queste:(forse completamente sbagliate. Se una freccia di 3,3 once di un arco lungo inglese impatta a 250m. con 90J il corpo umano viene quasi trapassato da parte a parte, più ancora la balestra con freccia da 5 once impatto corpo umano 100-200J.LE chiedo, ma una balestra manesca anche a manovella a 400m poteva ancora uccidere e l’arco lungo fino a che distanza poteva essere letale? Sempre tenendo presente senza armatura.INFINITI RINGRAZIAMENTI. DISTINTI SALUTI.

  23. Ciao.
    Come hai giustamente intuito con 90J (ovvero 43 m/s) una freccia di quasi un etto è ancora in grado di causare una ferita letale.
    Il bisogno di velocità di un freccia per infilarsi nella carne rispetto a un proiettile è molto minore perché la freccia ha una alta densità sezionale unita alla capacità di “tagliare” la carne, mentre un proiettile (a punto tondeggiante o sferico) ha un densità sezionale inferiore ed è costretto a spingere per “lacerare” la carne… molto più dispendioso rispetto al taglio di una punta acuminata. Il proiettile viene decelerato molto più rapidamente della freccia: dove un proiettile sferico di piombo con 40 m/s causa un brutto livido sulla pelle, una freccia infilza con effetti anche letali. ^_^

    La distanza a cui quelle frecce sono ancora letali, sempre che colpiscano (sai, tirano nel mucchio su un’unità di fanti nemici senza armatura), è quindi “fino alla distanza massima”: in fase di caduta riaccelerano parzialmente grazie alla forza di gravità, tornando verso i 40+ metri al secondo. Con 60+ J una freccia di 50-60 grammi a 300 metri può ancora infilzare con notevole profitto un bersaglio umano privo di armatura. Nel caso della freccia da 95 grammi tirata con arco lungo da 150 libbre, il limite è 230-250 metri… ovvero il limite di tiro massimo.

    Per la balestra vale la questione della maggiore potenza dell’arco per compensare il minore allungo. Ne parlavo all’inizio dell’articolo, nella parte sulla fisica dell’arco.
    Una balestra che tira un dardo da 3,3 once con lo stesso tipo di punta da sfondamento usata sull’arco, ma con il legno molto più corto, avrà bisogno di… boh, immagino di 600 libbre invece di 150 per ottenere la stessa velocità iniziale. Da caricare per forza con carrucole o martinetto, insomma.
    Per dare la stessa velocità a un dardo da 5 once, immagino servi un balestrone pesante, da posta/assedio, sulle 900 libbre. Payne parla di balestre da posta di 1200-2000 libbre nel suo libro (chissà che dardi pesanti tiravano!).

    Essendo la decelerazione legata alla velocità e alla densità sezionale, e immaginando la seconda invariata (dardi più pesanti avranno punte e aste più larghe), anche la gittata della balestra pesante non sarà molto superiore a quella dell’arco pesante. A meno che non si riesca a dare più velocità iniziale al dardo…
    Però avendo più massa, a paria velocità di impatto alla massima distanza, il dardo di balestra affonderà nella carne ancora di più!
    Se a 240 metri la freccia da 3,3 once aveva ancora 43,3 m/s e 90 J, il dardo da 5 once con la stessa densità sezionale avrà pure lui 43 m/s circa e… 130 J? Letale quasi quanto l’arco lungo a bruciapelo, ma col vantaggio che quel bel balestrone pesante a bruciapelo potrà fornire 220 J circa, sufficienti per penetrare e infliggere una gran brutta ferita a un cavaliere in armatura milanese (a 240 metri invece con 130 J fa un brutto graffio alla corazza e basta, perché la peggiore angolazione di impatto aumenta ancora di più l’energia per penetrare)!

    Sono comunque stime a occhio, per darti una risposta indicativa. Servirebbe una simulazione matematica adeguata.
    Guarda se nel pdf di Longbow e Fisica Elementare ci sono info utili per cavare fuori una risposta migliore della mia… a quasi due anni di distanza io proprio non mi ricordo. ^_^””

  24. Buongiorno Signor DUCA, grazie mille per la risposta molto esaustiva sull’arco lungo emi permetto di farLE ancora una domanda:la balestra manesca a staffa o con il verricello(chiedo scusa ma non ricordo definizione esatta)escludendo balestre pesanti ma solo quella classica del balestriere ligure.Quella a CARRUCOLA è più potente delle altre? E quindi a 400m sarebbe letale? INFINITI RINGRAZIAMENTI. Distinti Saluti.

  25. Il caricamento tramite pulegge/carrucola permette di caricare balestre anche molto potenti. Idem la scatola a ingranaggi, il martinetto, che secondo Payne-Gallwey (da The Book of the Crossbow) è possibile caricare balestre pesantissime con solo l’indice e il pollice, senza sforzo.

    Io ricordo che i genovesi usavano balestre composite (ovvero in corno, legno e tendini), più che balestre con archi in ottimo acciaio… quindi ho controllato il capitolo dedicato nel libro di Payne-Gallwey.

    Non riporta dati o misure (però nella parte finale sull’arco composito turco parla di tiri misurati di 480 iarde con “flight arrow” -frecce leggerissime da tiro lungo- e perfino di record di 600-800 iarde dai più potenti archi compositi in Turchia), ma c’è un caso storico interessante di letalità delle balestre genovesi (perlomeno quando non erano zuppe, indebolite e impiegate malissimo come ad Agincourt):

    I may quote Justiniani, who writes that in 1246 […] “500 Genoese crossbowmen whose crosssbows had bows of horn, were sent against the Milanese, and that each Genoese who was captured by the enemy was deprived of an eye and an arm, in revenge for the loss of life inflicted by his crossbow”

    Delle balestre in grado di fare così tanti morti tra i milanesi da far meritare una simile punizione tremenda, dovevano essere veramente molto potenti. Penetrare maglie di ferro e imbottiture, magari anche cotte di piastre dei cavalieri o rinforzi di cuoio bollito posti sopra le maglie di ferro, richiedono NON meno dell’equivalente di un arco lungo da 150 libbre con frecce pesanti… ovvero balestre di 600-900 libbre (ed effettivamente dice che erano “composite”, quindi in grado di essere molto pesanti, anche se non quanto quelle in acciaio), del tipo da caricare con li pulegge o col martinetto.

    Torniamo al caso che hai chiesto.
    Se un dardo arriva a 400 metri, considerando che deve cadere a parabola dal cielo, avrà sufficiente velocità per uccidere se ha sufficiente massa (almeno 1,5 once, diciamo).
    Per arrivare a lunghissime distanze deve essere tirato da archi (siano essi archi monolitici o compositi usati singolarmente oppure archi compositi/d’acciaio montati su fusti di balestra) sufficientemente potenti come valore Forza-ad-Allungo-N * Allungo-N.
    Per poter essere tirato da archi potenti deve essere abbastanza robusta da NON spezzarsi. Immagino che una freccia da 1,5 once sia il minimo con un arco lungo da 150 libbre, per volare senza spezzarsi in fase di rilascio…e magari arrivare molto prossima ai 400 metri. Non so. Ho letto tante balle sulle distanze di tiro ottenute e non saprei cavare esempi sufficientemente sicuri, con archi monolitici e frecce identiche a quelle medievali.

    Potremmo immaginare che un dardo da balestra molto leggero, grazie anche alla forma più tozza e robusta (si flette meno rispetto all’asta della lunga freccia da arco), possa volare molto veloce se tirata da una balestra molto potente. Ma siamo sicuri? Qual è la massima velocità a cui viaggia la corda della balestra quando viene rilasciata? Io non la so… e il dardo non può andare più veloce dell’oggetto che lo spinge.

    Se una balestra avesse la capacità di inviare dardi leggeri senza romperli e fornendo una velocità ancora maggiore di quella data dall’arco lungo alla freccia da 1,9 once, ad esempio una ipotetica balestra da 700-900 libbre che invia dardi da 2 once a 70+ m/s (?), immagino che potrebbero arrivare a 400 metri.
    E sarebbero letali, data la massa di 2 once.
    L’arco turco composito ci arrivava con frecce ultraleggere… e anche ben oltre, secondo certe fonti di non sicura affidabilità (bisognerebbe fare test controllati in modo scientifico), per cui non lo escludo.

    Spero di essere stato di aiuto.

  26. Infiniti Ringraziamenti per la SUA enorme CULTURA. La SUA risposta è FANTASTICA.VIVISSIMI COMPLIMENTI. Distinti Saluti.

  27. Buongiorno Signor DUCA LA Disturbo per chiederLE se allora l’arco TURCO COMPOSITO è L’arco con maggiore gittata mai inventato? O ce ne sono altri? GRAZIE INFINITE per SUA risposta. Distinti Saluti.

  28. Da quello che dice Payne-Gallwey, citando i famosi record, sembrerebbe che l’arco composito turco sia quello “storico” (quindi escludendo il moderno compound) che meglio trasmette l’energia immagazzinata e quindi la velocità alla freccia… di conseguenza spreca una fetta minore dell’energia messa dal tiratore per tenderlo (l’arco monolitico lungo quanto sprecava? Più del 50%? Non ricordo, ma è scritto nel pdf che aveva segnalato prima).

    Dice ad esempio che quelli compositi Persiani o Indiani, seppure anche 4-5 pollici più lunghi, erano meno elastici e quindi meno capaci di imporre tutta la velocità possibile alla freccia:

    […] when unstrung [Nota: l’arco turco] was over 3 ft. 10 in. in length. Bows that are 4 or 5 in. longer than the dimensions here given are invariably of Persian or Indian manufacture, and are very inferior in the elasticity that is requisite for long-distance shooting

    Citazione presa dalla pagina 3 dell’appendice A treatise on turkish and other oriental bows of medieval and later times presente in The Book of the Crossbow. A pagina 4 spiega come è realizzato l’arco turco. Poi parla di lunghezza delle frecce, peso, punto di bilanciamento, fabbricazione ecc…

    Considera che il libro, anche se famosissimo, è comunque anzianotto: la prima edizione è del 1903. Può non essere preciso in alcune cose o contenere errori, immagino, corretti poi da altri autori nei decenni successivi.

    L’arco turco analizzato in quella pagina è da 118 libbre. Mica male considerando che nel 1903 ancora gli archi della Mary Rose non erano stati rinvenuti e analizzati, per cui ben pochi avrebbero detto che l’arco da guerra inglese poteva superare le 90 libbre.

    Parla anche dell’arco cinese e tartaro, che impiegando frecce da guerra ben più lunghe e pesanti, secondo Payne-Gallwey, non superava le 250-260 iarde di gittata.

    Non so altro. È più di un anno che ho smesso di interessarmi agli archi e non ho molta voglia di riprendere a cercare informazioni.
    Ciao!

  29. Buongiorno Signor DUCA LA Ringrazio per la gentilezza e conoscenza con cui mi HA risposto. Infiniti Ringraziamenti. Distinti Saluti.

  30. ho un dubbio nel link di un’altro articolo (sempre del duca, su un test di penetrazione ) ci sono i dati di un test ….la punta usa per simulare la freccia mi sembra troppo grande di diametro ( di poco inferiore alla palla da fucile simulata che è di 20mm sarà sui 18-19mm… è più da balestra pesante) per il semplice motivo le aste come scritto nell’articolo sono da 10-12,7mm….non mi pare di aver visto bodkin da sfondamento di larghezza superiore all’asta….non sò quel test non mi convince e poi per l’autore le maglie di acciaio erano “impenetrabile” per archi “scarsi” peccato che con le punte di tipo 16,13(a lancia…) 7,8 le freccie hanno fatto il loro lavoro “sporco”…..probabilmente con la 16 e 7 anche con un 60 lbs….attendo un tuo parere

  31. Ciao. I test che mi hai segnalato hanno una serie di problemi, sia dovuti all’inesattezza della maglia di ferro (descritta come non più forte con la rivettatura rispetto che senza: significa che quel tizio ha usato maglie storicamente inattendibili -il rivetto è il punto più forte perché se lo colpisci ha più metallo e se lo tiri ci vuole più energia a lacerarlo di quanta ce ne voglia a spezzare colpendo di punta l’anello stesso… il fatto che i suoi rivetti non rendano le maglia migliori di quelle ad anelli “accostati/butted” indica che sono fatti da cani-… forse il problema dipende anche solo per come le usa: stendiamo un velo pietoso su come le tiene apposta allargate nelle foto, come se fossero tese al massimo indossate da un obeso: nei testi di Williams si coinvolgono così tanti anelli perché la maglia non è tiratissima… E’ vero che sotto il colpo un po’ si accartoccia pure in quei test e la densità di metallo sembra tornare “accettabile”, ma non è adeguato partire col vantaggio per favorire le punte più aguzze!) che per vari altri motivi diversi che per elencarli tutti ci vuole un articolo apposito.

    Commentare tutto è lungo e inutile, in più l’autore stesso sottolinea i problemi e le imprecisioni del suo lavoro, incluso il peso troppo ravvicinato tra bodkin ad ago e bodkin normali. Leggendolo si commenta da solo (e comunque lui stesso su alcuni test dice, tipo nel caso dei 73 J contro 80, di non essere molto distante da quelli di Williams).
    Tutto il modo in cui usa i dati di deformazione per i giubbotti antiproiettile è sbagliato e non tiene conto del significato reale in ambito di balistica terminale (e so di cosa parlo, fidati… l’autore glissa pure sulle penetrazioni letali citate nel libro di Hardy, 2-3 pollici in organi vitali ecc… -coerente con i dati di balistica delle ferite per l’importanza fondamentale di scavare a fondo nel corpo- altro che una manciata di mm). E’ tutto zeppo di piccole castronerie varie che possono sembrare poco significative, ma messe assieme riducono la validità del tutto a quasi zero. Rimane molto interessante e l’ho letto con piacere, ma la somma di errori, incomprensioni e approccio in generale poco valido scientificamente (metallurgia e ingegneria dei materiali sotto le scarpe) ecc… non lo proietta nell’olimpo dei miei test preferiti.

    L’unica cosa interessante sono i dati di confronto, pur in un ambito simulativo inadeguato, tra bodkin pesante e tipo 16: come sospettavo il design “stretto e tagliente” della tipo 16 permette di recidere meglio l’anello di quanto possa fare un proiettilone spingendolo fino alla rottura.
    Bellissime frecce le tipo 16.

    I dati storici ci dicono che le bodkin ad ago erano spesso più leggere e in ferro, mentre le tipo 16 e le bodkin pesanti erano quelle di peso maggiore e di acciaio più duro. Il fatto che una bodkin ad ago prodotta per un test storicamente poco attendibile, essendo un confronto che non tiene conto di lunghe distanze e di vantaggi di archi potenti e di frecce pesanti per la ritenzione della velocità (simulare archi potenti usandone di meno potenti, ma a distante minori NON è un approccio valido… può sembrarlo, ma falsifica il confronto perché nega l’uso di frecce DAVVERO pesanti), si comporti bene, è storicamente irrilevante.

    Che un arco da 75 libbre possa penetrare in una maglia venuta male (ben allargata indosso a un ciccione e di acciaio non validissimo… come visto sul libro di Williams le maglie spesso erano di altissima qualità vista la facilità nell’ottenere acciai ottimi e senza scorie sotto forma di filo, altro che “ferro”) a 10 metri è irrilevante quando l’ambito di tiro tipico è 150-250 metri. E a quelle distanze così elevate difficilmente la maglia (più l’imbottitura) poteva venire perforata, figurarsi fare una ferita minimamente decente… o magari anche le fonti storiche zeppe di cavalieri in maglia “porcospino” cioè irta di frecce incastrate senza ferire, mentono? Non per niente l’autore del pdf, che è consapevole del problema, usa la distanza ravvicinata con archi deboli per simulare archi FORTI a distanza reale e NON per giustificare gli archi deboli, anche se dopo potrebbe sembra così (ad esempio la citazione dell’arco da 90 libbre da Kaiser e altre citazioni di libbraggi storicamente poco attendibili sono cadute di stile: ormai si sa dalla modellazione di archi inglesi e non che sotto le 100 libbre non ce ne erano e la media di quelli della Mary Rose era sulle 150 libbre).
    Non è un’arma da corpo a corpo l’arco, anche se possiamo ricordarci sempre che gli arcieri inglesi, se erano a distanza ravvicinata, miravano al volto scoperto (si veda Hardy e Strickland, tra gli altri, per questo dettaglio)… saranno stati del tutto coglioni o c’era un motivo? Io tifo per il motivo, anche se con 120-150 libbre di arco a bruciapelo una cotta di maglia la si sfonda senza problemi: forse le maglie migliori, le maglie doppie e le piastre buone non le trapassavano così a fondo da mandare fuori combattimento l’avversario visto soprattutto che a meno di prendere organi vitali una freccia da 12-15 mm può anche trapassare tutto il corpo SENZA fermare il nemico (piuttosto che schiattare per essersi fidati troppo dell’arco, meglio un one-shot in faccia e fine della fiera).

    Le punte di Williams è vero, sono un po’ grosse. Sembrerebbe da 18-20 mm quella in foto. Forse ha davvero esagerato con le dimensioni. Quelle storiche che vedi in foto sopra, facendo i conti coi pixel e il righello dei pollici sopra, sono sui 15,5-16 mm e sono un po’ più larghe dell’asta (l’asta di una freccia da guerra pesante, come dicevano nel libro di Hardy, dovrebbe stare sui 14 mm). E’ normalissimo che lo siano nel design delle bodkin pesanti, ho visto sempre foto in cui la parte subito prima della punta aguzza è un po’ più larga. Il problema del design ad ago così lungo rispetto alla bodkin tozza e compatta, a parte questioni di storicità delle bodkin ad ago al di fuori del tiro “a lunga gittata” (quindi come frecce leggere di disturbo -meglio una pioggia di modestissima letalità a 300 metri che niente… e poi non tutti avevano armatura ovunque e anche i fanti pesanti si potevano crivellare sugli arti!- e anti-cavallo visto che gli animali di solito non erano protetti in modo adeguato) è che, come nel caso dei proiettili, non porta verso la punta il baricentro, ma lo sposta… soprattutto in fase di caduta è meglio che un proiettile abbia il baricentro più in avanti possibile per non ribaltarsi malamente o scivolare all’impatto per lo scarico mal riuscito dell’energia (capita, se il bersaglio è rigido, come una piastra: basta vedere coi test per i proiettili da 5,56 e da 7,62 FMJ come cambi tutto appena metti un po’ di angolo… in pratica vale il doppio che se fossero proiettili sferici per come peggiora la richiesta di energia per perforare! 20 gradi di impatto valgono come 40, comodamente!).

    Ripeto, nulla contro l’autore di quei test, ma più che fornire utile materiale di riflessione per “ripensare la penetrazione delle frecce” (tranne il caso delle tipo 16, li ha fornito un confronto interessante) fanno sorridere per gli errori di valutazione e di realizzazione commessi.

  32. inefetti la maglia di quel test ha molti spazi vuoti rispetto a questa:http://www.fortebraccio.net/articoli.asp?linea=Chainmails/Maglie%20di%20ferro (quasta va bene??)le punte ad ago ho letto che si usavano principalmente nel basso medioevo propio contro la maglia penso che comunque tra gli anelli si infili meglio di una punta più tozza servirebbe un test migliore… le punte di tipo 10:http://www.toxophilus.org/images/images_arrh/type10_bodkin.jpg sia corte che lunghe erano usati per frecce da 70 grammi in giù??? o quelle pesanti per frecce da 100 grammi circa erano più tozze??

  33. Non saprei… arrivando anche a 120 grammi comodamente (le frecce da 4-4,5 once per archi da 150 libbre sono normalissime), credo che la punta debba per forza di cose essere un po’ tozza (seppur ben aguzza per favorire il crack nelle piastre leggere) andandosi a innestare in aste da 14 mm circa (come dice Hardy) e per evitare un cattivo scarico dell’energia all’impatto, come sottolineato nel commento prima (avevo messo un pezzetto extra subito prima che commentassi tu, te lo riporto qui sotto), ma non escluderei anche bodkin un po’ più lunghe (sempre però non le “ago”).

    Il problema del design ad ago così lungo rispetto alla bodkin tozza e compatta, a parte questioni di storicità delle bodkin ad ago al di fuori del tiro “a lunga gittata” (quindi come frecce leggere di disturbo -meglio una pioggia di modestissima letalità a 300 metri che niente… e poi non tutti avevano armatura ovunque e anche i fanti pesanti si potevano crivellare sugli arti!- e anti-cavallo visto che gli animali di solito non erano protetti in modo adeguato) è che, come nel caso dei proiettili, non porta verso la punta il baricentro, ma lo sposta… soprattutto in fase di caduta è meglio che un proiettile abbia il baricentro più in avanti possibile per non ribaltarsi malamente o scivolare all’impatto per lo scarico mal riuscito dell’energia (capita, se il bersaglio è rigido, come una piastra: basta vedere coi test per i proiettili da 5,56 e da 7,62 FMJ come cambi tutto appena metti un po’ di angolo… in pratica vale il doppio che se fossero proiettili sferici per come peggiora la richiesta di energia per perforare! 20 gradi di impatto valgono come 40, comodamente!).

    Comunque, sia come capacità antimaglia che per i test del museo, direi che l’attenzione andrebbe spostata dalle bodkin pesanti alle tipo 16.
    E il test di William contro la maglia usando una tipo 16 credo darebbe risultati migliori che non quel proiettilone aguzzo fin troppo grosso che usava (ottimo con le piastre di acciaio, ma svantaggiato contro la maglia).
    Rimane da domandarsi, nel caso le tipo 16 fossero davvero migliori sotto ogni punto di vista, come mai si continuassero a produrre allora così tante bodkin massicce dello stesso peso e di qualità dell’acciaio inferiore… a questo non saprei rispondere e penso che non ci riuscirebbe nessuno, lol. ^___^

    Io rinuncio direttamente a provarci. Preferisco i proiettili delle armi da fuoco.

  34. Belle le misurazioni per l’arco turco!
    54 m/s per le frecce pesanti da 100 grammi con appena 136 libbre a 30 pollici di arco! Sono 145 J con un arco da 136 libbre molto più compatto e trasportabile di un arco lungo! ^___^
    E 64 m/s e 141 J con le frecce da 69 grammi.

    Pure l’arco da 105 libbre se l’è cavata egregiamente, con BEN 114 J usando le frecce da 100 grammi. Notevole!

    L’arco turco è davvero un signor arco, niente da dire. Efficiente. Bellissimo. Condivido l’apprezzamento di Payne-Gallwey per quest’arma da guerra meravigliosa.

    Dati molto utili, grazie!

  35. perchè si continuavano ad usare le bodkin??….quando ho visto il listono prezzi di un forgiatore di punte da freccia…ho capito….le tipo 16 14 sterline le tipo 10 circa 5 sterline….evidentemente serve più tempo per forgiale…

  36. mi sono ricordato di una cosa….la fanteria (di vario tipo) come era protetta??? magari ci fai un’articolo se il materiale non manca

  37. @francesco
    Mi sono accorto di una cosa. Ho riletto i test di Williams e lui riporta per la maglia di aver usato una freccia con punta da 18 gradi, il che la collocherebbe nella fascia bodkin “non pesantissima/tozzissima”, più simile alla bodkin ad ago che al quadrellone (si veda la terza freccia da sfondamento dall’alto nella foto, la bodkin tipo 10 lunga).
    Quindi non ha usato la stessa punte da 40 gradi, quella da 20 mm, usate contro le piastre.
    Lo avevo anche scritto nell’altro articolo sulle armature, ma qui non l’avevo riportato… tra quella dimenticanza e il tempo passato, quasi due anni, mi ero dimenticato del dettaglio dei 18 gradi.

    Per maggiore chiarezza ho aggiunto un pezzo di testo a riguardo per le piastre, visto che è disponibile un test di “inizio frattura” che pone a confronto 40 gradi e 18 gradi.
    Riporto qui sotto l’aggiunta:

    Le frecce usate nei test contro le piastre riportati qui sopra credo siano quelle con la punta da 40 gradi, da sfondamento (quella da 18-20 mm visibile in cima all’articolo), la cui parte più larga della testa -subito prima della punta- è più larga dell’asta (da 13-15 mm). Le frecce storiche potevano anche essere meno pesanti e meno larghe, 16 mm circa per quelle pesanti (con 20 mm immagino sia una bodkin pesante da 4-4,5 once), per cui l’energia necessaria per la completa penetrazione di 4 cm potrebbe essere meno grande di quanto stimato qui. Una via di mezzo, immagino, calcolata però solo sull’energia necessaria ad allargare il foro, non su quella per iniziare la frattura. Prendo un esempio di Williams: contro il foglio da 1,9 mm di acciaio svedese di pessima qualità (W 0,6 circa), la punta di freccia da 40 gradi ha impiegato 80 J per causare un buco da 5 mm di diametro, mentre quella da 18 gradi 75 J. Non è una gran differenza. La differenza tra una freccia con la punta da 18 gradi e una con la punta da 40 è che magari la prima sarà larga quanto l’asta o meno (13-14 mm) mentre la seconda di più (16-20 mm) e quindi la seconda necessiterà di più energia per affondare la testa completamente. La seconda magari sarà una freccia pesante adatta per sfruttare al meglio gli archi potenti, 4-4,5 once per un arco da 150 libbre, mentre la prima sarà una freccia più leggera, 2-3 once, per i primi tiri a lunga distanza.
    A occhio la mia stima è che se per iniziare la frattura servono 80 J a una e 75 J all’altra (W 0,6: immagino allora servano 130 J e 120 J contro dell’acciaio AISI 1010-1020) e per completare il buco da 40 mm servono 175 J, allora la bodkin aguzza da 18 gradi dovrebbe richiedere circa la metà dell’energia dell’altra per completare la penetrazione più l’energia per iniziarla: 140-145 J.

    Aggiungo il testo originale di Williams sul test della maglia moderna in mild steel (AISI 1010-1020) che contro la freccia si è comportata come la maglia storica del XV secolo (però ha retto molto meglio contro la punta di lancia da 60 gradi e contro la lama da 4 cm):

    With a simulated bodkin arrowhead (18 deg point); at 80 J impact, two links were broken; at 100 J, in addiction, the jack was holed completely. At 120 J the mail was completely defetead, that is two links were opened out, three others bent, a 5 mm diameter hole put through the jack, and a 35 mm dent in the plastilene behind.

    Due anelli aperti/spezzati e tre piegati… per una punta da 18 gradi è parecchia roba investita. Credo dipenda dal fatto che la maglia non era “tesa al massimo” (come se indossata da un obeso) ed era posta su un supporto morbido di imbottitura e plastilina per calcolare l’ammaccatura/perforazione, il che ha permesso agli anelli di avvicinarsi, strattonati dalla spinta della freccia, costringendola così a urtarli e ammaccarli per poter penetrare a fondo.

  38. Cosa indica bodkin? Ipotizzo non sia semplicemente un sinonimo per la punta della freccia, visto che si parla di “frecce di tipo bodkin” e di “punta bodkin“.

  39. In poche parole: frecce con la punta aguzza e compatta, come la punta di certe alabarde, non larga e piatta come una lancia a foglia o ampia e dotata di ali come una freccia da caccia.

    http://en.wikipedia.org/wiki/Bodkin_point
    (leggi le prime righe, lascia stare le cazzate -e la citazione imbarazzante di Pope- dopo)

    Qui alcune punte:
    http://www.evado.co.uk/Hector%20Cole/Arrowheads/album/index.html

    Si vedono bene la bodkin del periodo Tudor, la bodkin pesante da guerra e la bodkin a base quadrata. La bodkin 10 tipo lungo pure non è male, ma come detto sopra molte volte: ok, più stretta è e meglio è, ma senza perdere troppo peso visto che l’arco pesante permette di inviare bordate e lunga distanza e più una freccia è pesante e meno risente della perdita di energia arrivata alla fine della corsa!

  40. c’è qualcosa che non mi torna ..sbaglio o i 175 j per circa 2mm nella tabella sono riferiti al W=1???? stando a quel coefficente (W=0,6) con la punta da 40° (considerato che 20 servono per bucare la plastilina)sono 100 j….anche perchè in un test citato con un 70Lbs (ad “occhio” sulle 40-50j) i 2mm di ferro (W=0,5 e a 30° ) è penetrato di 1,1cm misure ingnote forse asta e punta ( tipo 10 corta) da circa 10mm …la punta tudor giusto per essere precisi è leggermente appiattita (una specia di via mezzo fra quadrella e a lancia molto compatta)…

  41. Bisogna considerare che la freccia da 40 gradi (sempre sperando siano quelle che ha usato nei test sulle piastre, quando parla di punte da sfondamento!) con 175 J ottiene 4 cm di penetrazione nel W 1, in pratica affonda tutta la punta da test, mentre con 80 J apre solo un buco da 5 mm nel W 0,6 (affondo di poco). Con 105 J (175 x 0,6), come dici giustamente tu, otterrebbe credo i 4 cm di penetrazione e un foro, immagino, da 18-20 mm (invece di 5 mm) sulla piastra. Credo, eh! Se poi le punte dei test generali sulle piastre erano una roba più modesta come larghezza (15-16 mm invece di 18-20 mm) non so dirlo perché non è precisato! Credo che la punta usata contro le piastre sia quella in foto, ma non ci giuro.

    Devi distinguere l’energia necessaria per iniziare il crack (che cambia pochissimo tra la punta da 40 e quella da 18: 80 J contro 75 J sul W da 0,6) prima e solo dopo calcolare la differenza nell’area di metallo dilatata per passare fino al proprio punto di larghezza massima (si passa dal crack alla spinta per piegare). Ho riportato i calcoli della stima apposta.

    I 20 per la plastilina riguardano la cotta di maglia, dove non c’è granché da dilatare, ma solo un crack da ottenere. E’ molto diverso da una piastra omogenea.

    Con 1,1 cm di penetrazione hai appena cominciato l’ingresso, è estremamente improbabile che abbia già raggiunto il punto di allargamento massimo. Infatti se noti l’energia di crack per la punta da 18 sulla piastra da W 0,6 è 75 J… con un buco di 5 mm di diametro! Il che significa, se non ho dimenticato del tutto la trigonometria (ma può essere, lol, sono anche un po’ brillo ora), che la punta è già affondata di circa 1,57 cm. Non sono sicurissimo, ma mi pare che grossomodo dovrebbe andare. Ho stimato la punta come due triangolo rettangoli, in modo che la lunghezza di penetrazione fosse la base… l’angolo quindi è metà, 9 gradi e il lato a lui opposto pure, 2,5 mm. Mi viene 15,7 mm di penetrazione.

    Il che è coerente con i test a 100 J di Williams su piastre di differenze qualità che non ho riportato sul sito, anche perché trattando fasi iniziali di crack, con penetrazioni modeste, non erano interessanti riguardo la sconfitta “con ferita decente” delle armature.

    Se vuoi fare un paragone con un proiettili di dimensioni simili che invece del “crack di punta” per dilatare “spinge per tagliare un circolino di metallo” e dilatare il resto, il .22 Long Rifle (5,7 mm) richiede circa 200 J per ottenere il buco in un foglio da 2 mm di mild steel e poi adagiarsi senza far danno alcuno sulla pelle o sui vestiti, avendo esaurito la velocità (390 m/s, immaginiamo sia sparato da una carabina) per bucarla.
    Per far un minimo di danno, immaginando vi sia la pelle nuda sotto, servirebbero altri 30 m/s circa (34 m/s vanno via solo per bucare la pelle, resistentissima alle spinte, molto meno alle punte e al taglio).

  42. Una ricerca veramente interessante ed esaustiva, complimenti per la qualità della stessa, la densità di informazioni utili e il linguaggio non ostico impiegato.

    Massimo

  43. Esimio Duca, posto qui la mia domanda per evitare un troppo evidente OT: mi pare che tu non abbia mai analizzato altre armi da lancio oltre agli archi (ammesso che gli archi si possano classificare in questo modo). Prevedi di farlo in futuro? In particolare vorrei sapere se hai intenzione di trattare il tema delle fionde, prima o poi.

  44. No, penso proprio di no.
    Se la fionda lancia proiettili sferici di piombo però si possono usare (a patto di avere una stima decente della velocità di lancio) la decelerazione a distanza TOT e la penetrazione in ossa e cranio del proiettile.
    Sto giusto per postare un articolo sul fucile Baker in cui tratterò un caso pratico di conti di questo tipo.

  45. Per quanto riguarda la velocità di lancio, si può applicare alle fionde elastiche (in termini generali) le stesse considerazioni che tu hai fatto su libbraggio e allungo degli archi?
    E inoltre: pensi che con una fionda elastica (di dimensioni pur mostruose ma comunque manovrabile da una sola persona estremamente robusta) si possa ottenere velocità di lancio vagamente paragonabili a quelle di un discreto arco?

  46. Credo di sì, il principio meccanico dovrebbe rimanere invariato (quindi libbraggio moltiplicato per allungo) ma dovrei vedere in che termini effettuare il paragone. Poi ci sono anche le frombole che invece roteano e non ho la più pallida idea di come stimare la velocità ottenibile.
    Non conosco abbastanza le fionde né le frombole.

    Penso che si possano anche raggiungere velocità da freccia, ma una palla sferica decelera più rapidamente di una freccia per cui la gittata utile sarà inferiore.
    Non saprei dire altro. Chiedi a Zwei.

  47. @Duca
    Grazie infinite! La tua competenza scientifica mi rassicura comunque sui termini generali del discorso.

    @Zwei.
    Giro la domanda anche a te. Se necessario, provero’ a postare anche sul tuo blog.

  48. Non so se la cosa ti può interessare, ma in rete ho trovato un filmato su una fionda (portatile e azionabile da un solo operatore) che si può tendere da seduti, spingendo con le gambe (la forza, a fine allungo, dovrebbe correre quasi linearmente lungo tutto il corpo) nello stesso modo in cui, se non ho capito male, potevano fare certi arcieri. Il forzuto tiratore che la prova (un simpatico crucco), riesce ad ottenere una velocità di lancio di 56 m/s e 130 joule con proiettili di 82 grammi.

    Con una fionda tradizionale (ma molto potente) da lui prodotta, lo stesso tiratore riesce ad ottenere una velocità iniziale di lancio di oltre 75 m/s con proiettile sferico in acciaio da 9,5 mm. e 3 grammi (45 joule), oppure poco più di 70 m/s con proiettile sferico in acciaio da 14 mm. e 10 grammi, oppure 55 m/s con proiettile sferico in acciaio da 20 mm. e 30 grammi, oppure 50 m/s con proiettile sferico in piombo da 19 mm. e 36 grammi.

    Ho visto usare anche proiettili tronco conici su gelatina balistica: non pensavo fosse possibile, ma a quanto pare hanno un’ottima stabilità e un ottima capacità di penetrazione.

  49. http://www.youtube.com/watch?v=Bm5YOYrRejY

    http://www.youtube.com/watch?v=kwYej4hngEw

    http://www.youtube.com/watch?v=wrd_QXxOEWQ

    http://www.youtube.com/watch?v=B9lJ5FoXrek

    http://www.youtube.com/watch?v=CTQUYT7ytzA

    Il primo video riguarda la fionda che si tende con le gambe, il secondo riguarda il test di misurazione di velocità di lancio e potenza, nel terzo si vede un tipo di fionda con “allungo” maggiorato, il quarto è quello della gelatina balistica, il quinto contiene una curiosità.

  50. Bellissimo articolo che fa il paio conq uello delle armature.
    Faccio l’ignorante di turno, credo di aver capito ma chiedo conferma (e venia per la mia ignoranza), quando si aprla di archi da 150 libbre stiamo dicendo che l’arciere “tirava” l’equivalente di 150 lb (a occhio 70 kg) con un solo braccio e 3 dita?
    O c’era qualche accorgimento (tipo la mano che reggeva l’arco aiutava il movimento).
    Grazie in anticipo.

  51. Grazie, mi sono risposto da solo leggendo i commenti di un altro post che non c’entrava un tubero (aka quello sul “non ti curar di loro”), le vie del Duca sono infinite.

  52. Ave Duca, avrei un paio di domande molto tecniche da porvi:
    1)Ipotizzando arcieri di statura inferiore, mettiamo 170cm quale sarebbe la massima lunghezza e quindi energia disponibile con il longbow?
    2)Per quanto riguarda le armature in cotta di maglia con anelli con struttura 6-1 o 8-1 la resistenza alla penetrazione aumenterebbe di molto in proporzione al peso?
    Vi ringrazio in anticipo per il vostro tempo.

  53. 1)Ipotizzando arcieri di statura inferiore, mettiamo 170cm quale sarebbe la massima lunghezza e quindi energia disponibile con il longbow?

    Non è possibile dare una risposta.
    Quanto sono distanziate le due mani è legato alla lunghezza delle due braccia (o meglio del braccio che tende, visto che l’altro si ripiega su sé tornando in pari verso il volto), l’ampiezza del torso che le separa e l’elasticità della muscolatura della schiena (quanto tiri indietro il braccio con quel muscolo… c’è chi fa combaciare le scapole e c’è chi è anchilosato e appena si muovono). Un allungo come quelli visti, o poco meno, non è impossibile nemmeno per un soggetto di 170 cm.

    A livello logistico non penso sia un problema, visto che le frecce standard da guerra, come già spiegato, tendevano ad avere una misura buona per tutti (la maggioranza era 30 pollici)…. quindi valida “per un pelo” per gli arcieri bassi (ne avanza troppa) e un po’ corte per quelli molto alti (stiano attenti a non cercare di tendere di più).
    D’altronde mica si può passare in giro a rifornire con le taglie (“Lei fa 32 o 30?” – “28, qui, 28!”), sarebbe scomodissimo. Negli eserciti moderni hanno problemi perfino a gestire due calibri da fucile assieme.

    Mettiamo anche che perdano 1-2 pollici. Beh, quel valore si moltiplica con il peso trattenuto alla distanza X. Se il loro arco fa 150 libbre a 28 pollici invece che 150 libbre a 30 pollici, hai perso meno del 10% del moltiplicatore.
    Cadranno un pochino prima.

    2)Per quanto riguarda le armature in cotta di maglia con anelli con struttura 6-1 o 8-1 la resistenza alla penetrazione aumenterebbe di molto in proporzione al peso?
    Vi ringrazio in anticipo per il vostro tempo.

    La cotta di maglia, fondamentalmente, è dotata di spessore e di superficie. Lo spessore è dato dalla sezione degli anelli e dalla media delle sovrapposizioni d’area anello su anello. La superficie da “tagliare/spaccare” da quanto coprono senza lasciare spazi.

    Più si sovrappongono e più coprono, più offriranno resistenza al taglio. Per la sovrapposizione penso che puoi trattarli come se avessero uno spessore “unico” medio e seguire la crescita grossomodo in potenza di 1,6 vista nell’articolo.
    Per la superficie, penso che il ragionamento possa essere semplicemente algebrico: il doppio del metallo da tagliare, il doppio dell’energia richiesta.

    Come regola becera, puoi immaginare che se c’è il doppio del metallo da tranciare nella stessa area X perché è tutta una massa di anelli senza spazi lasciati vuoti (e quindi zero gioco per ingrassarci dentro), questo richiederà tra il doppio e un po’ più del doppio (2? 2,25? 2,5?) dell’energia che richiedeva per sfondarla essendoci il doppio del metallo da tranciare, zero spazi vuoti e molti più spessori sovrapposti.

  54. Spinto da irrefrenabili seghe mentali tormenti dell’anima torno ad importunare il Duca. Perché lui vale
    ^__^

    Su youtube si possono vedere i seguenti video:
    primo video
    secondo video

    entrambi tratti dal film “The Warlords” del 2007, regia di Peter Chan con Jet Li, Andy Lau e Takeshi Kaneshiro. Ambientato durante la rivolta dei Taiping (1850-64) è un sublime esempio di tamarrata made in China :) Il secondo video soprattutto è da Nobel per il lulz & wtf (vedere a 1:01, 1:20 e 1:40). Spero piacciano al Duca.
    Ciò che mi preme porre alla ducale attenzione sono due particolari del primo video:

    1-Da 2:40 in poi si vedono gli arcieri qing che scoccano i loro archi colpositi mentre corrono verso i ribelli. Ma una cosa del genere è anche solo umanamente possibile con archi di quella potenza?

    2-A 4:40 i cavalieri qing bendano i propri cavalli perché non rallentino prima dell’impatto con i cavalieri nemici. E’ verosimile? Davvero i cavalli hanno paura a caricare i propri simili come se fossero un quadrato di picche? o è un’esagerazione?

    Ringrazio il Duca e rinnovo la mia devozione.

  55. Rieccomi con una domanda, Duca mi sapete dire se un arco da guerra è in grado di trapassare uno scudo?

  56. Bellissimo articolo.
    Volevo a rimarcarne le affermazioni portare la mia esperienza di arciere e malato di mente.
    Dopo anni di allenamenti e palestra sono riuscito a utilizzare il mio kassai da 100 libbre.
    E siamo solo a 100 notate.
    Risultato? Che a livello di tiro sportivo non prendevo praticamente una fava,a meno di non tirar del tutto la corda. Ma alle grandi distanze, da quasi 100 metri, piazzavo comunque i colpi nella zona di una finestra di un casolare, o su per giù.
    Questo ne conferma indirettamente un utilizzo in battaglia utile solo nel tiro in massa e solo ad alti libraggi se devo ottenere un minimo di effetto.
    Le conclusioni dei sostenitori dell’arco debole derivano da un uso comunque sia sempre e solo sportivo o “target”. Dirò una cosa eretica, per usare un arco in guerra seriamente, occorre principalmente una forza nei dorsali – bicipiti – avambraccia notevole, poi la tecnica. Ma non una tecnica stile Robin hood utile a centrare una prugna cinquanta metri di distanza.

    Ottimo lavoro!

  57. Grazie mille!
    Gli archi della Mary Rose andavano da 110 a 185 libbre stimate, per cui ti mancano solo 10 libbre e poi ti puoi arruolare come yeoman arciere! Basta che mostri di avere reddito sufficiente per dover fornire il servizio al tuo feudatario. ^___^

  58. Buon giorno duca, il vostro è davvero un buon sito pieno di dati più che utili. Spero in una risposta anche se sono passati dieci anni! Sono uno scrittore che sta cercando di dare un pò di realismo alle varie dinamiche tra i vari combattimenti(ovviamente non in tutti gli aspetti è un fantasy).
    Come faccio a calcolare il decadimento della forza o della velocità della freccia? Vale a dire come faccio a stimare il punto in cui la freccia diventa innocua(non ha abbastanza joule per penetrare la corazza?) per le protezioni del soldato colpito?
    Ad esempio i soldati pesanti con corazze d’acciaio 4mm e servono dai 475 ai 670j di forza per una freccia per perforare la lastra d’acciaio.
    Qui l’aspetto fantasy: gli archi sono magici quindi non si rispetta il limite della forza limite di un essere umano arrivi a 180 libbre. questo è l’unico aspetto irrealistico: soldati pesanti con corazze d’acciaio 4mm e servono dai 475 ai 670j di forza per una freccia per perforare la lastra d’acciaio.
    Quindi la domanda sta quale sarebbe il libraggio dell’arco magico o come posso stimare un formula per ricavare la forza dell’arco? Vale a dire la forza con cui si scagliano le frecce, fino ad avere una forza d’impatto di 670j quanto deve essere potente l’arco per abbattere tale nemico a 300 metri? Voglio evitare il ricorso alla “magia” per risolvere ogni cosa ma voglio avere un senso della proporzione con i vari nemici a distanze diverse e armamenti diversi.

  59. Non ci sono formule facili e al fine puramente narrativa non ha alcun senso farlo. Puoi prendere delle normali tabelle di decadimento della velocità di frecce reali tirate e vedere quanto decade data X velocità e Y densità sezionale. Ma è tempo sprecato.

    Comunque se vuoi fare i conti hai tutto il necessario nell’articolo e nel PDF indicato per fare una stima della velocità iniziale che dovrebbe avere la tua freccia per ottenere una certa energia cinetica alla partenza. Considera che più sale il libbraggio più deve essere robusta/pesante la freccia per volare senza spezzarsi al rilascio… prova a calcolare direttamente con frecce da 300-400 grammi invece di quelle da quasi 100 grammi e vedi cosa ti esce usando archi con un’apertura di 28-30 pollici.

    La questione grossa rimane: se non ha alcuna utilità né valenza narrativa fare simili conti (hai già deciso il risultato, ovvero hai capito che serve che siano magici per farli usare a degli umani senza superpoteri altrimenti dovevi farli tirare da Ercole o da degli orchi con bicipiti grossi come angurie, quindi è insensato occuparsi ulteriormente della questione) perché sprecare tempo a “tentare” di farli?

    La scrittura si giudica su ben altre basi, non su conti “fantasiosi” (che di norma portano a infodump e dichiarazioni di misure che andrebbero evitate nella buona scrittura: non è precisione essere “molto dettagliati”, è cattiva narrativa).

    Se hai problemi dimmelo e se ho voglia/tempo nei prossimi giorni ti faccio una stima.

  60. Sono d’accordo con te, non è entrare nel dettaglio che rende un libro bello ma è anche molto importante dargli delle proporzioni e avere un’idea: se un vampiro è due volte più forte di un essere umano quante libbre di arco può tendere e questo cosa significa in termini di gittata e capacità offensive/penetrative sulle verie corazze? Stessa cosa licantropi 10 volte più forti? E così discorrendo. Ho sempre detestato i libri di narrativa in cui all’inizio un’armata di mostri erano imbattibili contro soldati addestrati ma alla fine del libro/film dopo il discorso motivazionale del condottiero, un’arrancaglia di contadini smilzi vincono la battaglia finale. Ci vuole un pò di coerenza. In molti casi nel mio libro non c’è la magia ma razze con diversi livelli di forza.
    Prima di contattarti ho provato a fare dei calcoli ma per il mio livello di conoscenza della fisica(bassino) il pdf che hai postato(più tutti tutte le domande e risposte dell’articolo di sulle armature e penetrazioni delle frecce/proiettili) e mi sono guardato, è incompleto per me. Se hai la pazienza di farmi capire quanta forza serve per l’arco in termini di libbraggio per poter scagliare una freccia non solo a bruciapelo per perforare un’armatura da 4mm spigolata o quanto dev’essere potente l’arco per poter abbattere la stessa armatura a 150m te ne sarei riconoscente. Quello che ho bisogno di capire è una formula ruddimentale per ricavare l’energia cinetica generata da un arco di tot libbre e una formula ruddimentale per capire quanta forza perde durante il volo: se l’energia cinetica della freccia si dissipa in maniera costante o proporzionale alla distanza che percorre.

Comments are closed.