Questo articolo nasce dalla consulenza svolta per History Channel Italia sulle armi da fuoco e sulle armature presenti alla Battaglia di Pavia del 1525. Lo scopo della consulenza era quello di arrivare a definire l’arma da fuoco e il tipo di acciaio da utilizzare per simulare in modo realistico e storicamente attendibile quello che sarebbe potuto avvenire se un cavaliere francese avesse ricevuto un colpo di archibugio spagnolo contro il pettorale dell’armatura.
Un buon pettorale sarebbe rimasto intatto facendo spiaccicare il proiettile come si vede in una delle scene all’inizio del film di Ermanno Olmi Il Mestiere delle Armi? Si sarebbe piegato, ma senza forarsi, limitando il tutto a una brutta concussione e a una costola rotta? O il proiettile avrebbe sfondato l’armatura e sarebbe affondando nel corpo del cavaliere, che è quello che le testimonianze storiche affermano (con enfasi notevole)?

Per poter condurre test di penetrazione che simulino l’interazione tra le armi da fuoco utilizzate dalla fanteria imperiale e le armature indossate dai cavalieri francesi alla Battaglia di Pavia del 1525 bisogna conoscere sei cose principali:

    1- qual era lo spessore medio delle corazze usate dai francesi;
    2- con qual tipologia di acciaio al carbonio erano fabbricate;
    3- che forma avevano;
    4- quattro;
    5- quali armi da fuoco erano impiegate dalla fanteria imperiale;
    6- che prestazioni fornivano queste armi da fuoco;

Disponendo di queste informazioni è possibile scegliere di conseguenza i fogli di acciaio per i test, l’angolo con cui inclinarli e le caratteristiche che il proiettile deve avere all’impatto (forma, materiale, velocità).

Questo articolo non tratta la Battaglia di Pavia in sé e non approfondisce l’argomento dei moschetti con la forcella nel dettaglio (questo avverrà in un altro articolo apposito). Non contiene nulla di nuovo per chi ha letto i precedenti articoli sulle armi ad avancarica e sulle armature, ma è un esempio di applicazione a un caso reale delle nozioni apprese in precedenza. Per approfondimenti ulteriori segnalo:
Avancarica: energia cinetica e velocità
e Le Armature: test di penetrazione e conclusioni.

battaglia di pavia 1525
La Battaglia di Pavia, 1525
(cliccare per ingrandire)

Le Armature dei Cavalieri Francesi
Le armature impiegate dai francesi all’epoca erano sia di produzione francese che importate dal sud della Germania e dal nord dell’Italia. La produzione francese di corazze era abbondante e i documenti dell’epoca attestano centinaia di fabbricanti di armature tra Parigi, Bordeaux, Lione e Tours. Pochissimi esemplari di armature di fattura francese identificabili sono però arrivati fino ai giorni nostri e sono tutte in metallo di pessima o mediocre qualità (ferrite priva di carbonio e ricca di scorie o un mix di ferrite, perlite, pochissimo carbonio -0,1%- e scorie). La difficoltà identificativa dipende anche dalla pratica (a differenza di quanto accadeva in Austria, Germania Meridionale e Italia Settentrionale) di non apporre alcun marchio di fabbrica sui pezzi.

Questa ricca offerta interna unita alla cattiva qualità del prodotto fa ben capire come mai in Francia vi fosse anche una forte domanda di costose armature di fabbricazione lombarda e tedesca: se un ferro di cattiva qualità poteva andar bene per l’armatura di un normale uomo d’arme, di certo non andava bene per chi, come un ricco cavaliere o un nobile facoltoso, poteva investire in prodotti di maggiore qualità, di norma indicati come “a prova di balestra” (ad esempio le armature di fattura milanese-bresciana).
L’assenza della marchiatura che identifica con orgoglio il produttore, assieme alla richiesta di armature di importazione (i documenti a riguardo abbondano, con ordini di centinaia di bracciali, pettorali e gorgiere) e di artigiani stranieri (Gabriele e Francesco Merate, di Milano, dal 1494 al 1497 lavorarono nella città di Arbois, in Francia), sono tutte prove a favore dell’inferiorità tecnologica della metallurgia francese e della conseguente scarsa qualità della produzione locale.

Le armature italiane di alta qualità erano fatte di un acciaio a medio livello di carbonio e povero di scorie, simile come resistenza al moderno mild steel (acciaio dolce). Mancava ancora sia la tecnologia che il motivo (le armi da fuoco più potenti non erano ancora comuni) per produrre acciai interamente formati da martensite temprata in acqua e poi sottoposta a rinvenimento. Nella seconda metà del secolo (dal 1540) il primato tecnologico nelle armature passerà da Milano all’inglese Greenwich ed alcune città tedesche, in grado di ottenere sia dorature che alta qualità degli acciai, entrambe necessarie per il mercato di lusso.
In Austria già a fine ‘400, come anche in Italia, era possibile “in teoria” produrre armature in martensite sottoponendole a tempra con risultati più o meno validi (spesso la tempra non andava a buon fine) piuttosto che di perlite raffreddata ad aria, ma è più facile che la massa dei cavalieri francesi dotati di armature italiane non possedesse tali manufatti “ipertecnologici” (LOL).

Ciò non toglie che tanti cavalieri, per motivi di disponibilità o di mancanza di conoscenza, indossassero anche corazze di pessima fattura francese: è facile per noi giudicare la qualità di quegli acciai, con le foto al microscopio e secoli di conoscenze accumulate, ma lo era molto meno per la gente dell’epoca.
Inoltre le armi da fuoco usate dalla fanteria spagnola erano ancora una “novità” (per quanto venissero usate da 100 anni, dal tempo della guerra degli imperiali contro gli eretici Hussiti, ma fu un’esperienza “educativa” che coinvolse i tedeschi e non i francesi) e non il principale pericolo per i cavalieri, in particolare per quelli francesi, abituati a ragionare ancora in termini di “frecce e picche” come pericoli principali da cui difendersi.
In più, come vedremo dopo, la potenza di fuoco degli imperiali fu tale che non si può certo fargliene una colpa se i francesi arrivarono del tutto impreparati per resistere.

Una corazza francese in ferrite con scorie (composti simili al vetro che inquinano il metallo) è più dura di una in sola ferrite pura (non ottenibile con la metallurgia medievale): la durezza Vickers sale da 80 a 150-180.
Ma allo stesso tempo le scorie (3-4%) la rendono sia più dura che più fragile: la resistenza diminuisce da circa 200 KJ/m^2 (ferro puro spesso 2 mm) a 120-150 KJ/m^2. Apparentemente più “dure”, in realtà più fragili.

L’acciaio usato nelle armature milanesi
, a medio livello di carbonio (0,5%), con scorie attorno all’1%, ma non sottoposto a tempra (raffreddato ad aria formando così perlite invece di martensite), ha una resistenza alla frattura di circa 260 KJ/m^2.
Il miglior metallo trovato nelle armature francesi esaminate è un mix di ferrite e un pochino di perlite con lo 0,1% di carbonio e 1-2% di scorie: un acciaio (o meglio un ferro acciaioso) da 180-200 KJ/m^2.

dettaglio armatura Francesco I metropolitan museum
Dettaglio di un’armatura di Francesco I di Francia,
acquisita a inizio Novecento dal Metropolitan Museum.

Le armature utilizzate dai francesi erano perlopiù armature a piastre di design “simile” a quello della AVANT, ovvero arrotondate (alla milanese) e non spigolate (alla massimiliana) come era invece la preferenza tedesca. Un’armatura con ampie piastre arrotondate tende a far atterrare il colpo con un angolo non ottimale, un po’ come succede con le armature dei carri armati che sono inclinate apposta, il che a pari spessore la rende più efficiente di un’armatura a scaglie o lamellare priva della stessa rigidità e forma. Alan Williams in “The Knight and the Blast Furnace” stima l’angolo di impatto tipico offerto come di circa 30° gradi: questo rende l’energia necessaria al colpo per penetrare maggiore di un 15-20% circa (energia per penetrare con un colpo perpendicolare divisa per il coseno dell’angolo d’impatto).

Lo spessore delle corazze pettorali del periodo si aggirava tra i 1,5 e i 2,5 mm, con la maggioranza dei reperti studiati da Williams sui 2 mm. La porzione frontale della corazza è quella più importante perché protegge gli organi vitali e, assieme alla parte frontale dell’elmo, è quella di maggior spessore. Per fare un esempio di quanto variasse lo spessore basta prendere i dati della seguente armatura da fanteria fabbricata a Innsbruck nel 1563: pettorale 1,9 mm; schiena 1,2 mm; elmetto 1,4 mm; fiancali (le piastre che scendono dalla corazza a proteggere l’area inguinale e la porzione superiore della coscia) 0,9 mm.
Un tipico cavaliere francese con indosso un’armatura italiana col pettorale spesso 2 mm (sotto forma di un sistema di piastre sovrapposte – pancera, petto e ampie spalle – o come piastra unica), avrò avuto schiena, bracciali e gambali tra gli 1 e gli 1,5 mm massimi.

Abbiamo le risposte ai primi quattro punti per delineare un’ottima corazza da cavaliere:

    1- spessore medio delle corazze pettorali: 2 mm;
    2- tipologia di metallo: acciaio a medio livello di carbonio raffreddato ad aria;
    3- forma della corazza: arrotondata;
    4- quattro.

 
Le Armi da Fuoco degli Imperiali
Lo schieramento imperiale comprendeva alcune migliaia di archibugieri spagnoli, ma che generi di armi portavano e quanta energia cinetica potevano offrire i loro proiettili?
Oltre all’archibugio vero e proprio, con la canna inferiore al metro e di calibro tra i 16 e i 20 mm, sparante proiettili sferici in piombo morbido del diametro di 15-19 mm (per via del gioco che facilita il caricamento ad avancarica, qui esagerato a un intero millimetro per comodità), vi era anche il “moschetto” (o archibugione) che nel linguaggio armiero riferito al ‘500 e alla prima metà del ‘600 non indica un “normale fucile ad anima liscia” come il Brown Bess settecentesco, bensì un’arma tanto grossa e pesante da dover essere maneggiata con l’aiuto di una forcella piantata al suolo (che aiuta a stabilizzare la mira e, in mancanza d’altro, si può usare per infilzare il nemico).

La canna del moschetto è molto lunga, il che aumenta notevolmente la velocità del proiettile. La polvere da sparo, in particolare quella non in grani, ha una combustione piuttosto lenta per cui se la canna è troppo corta il proiettile rischia di uscirne prima di aver ricevuto la spinta esplosiva da parte di tutta la polvere. Una canna abbastanza lunga (lunga in relazione sempre al calibro della canna, tant’è che vengono misurate in “calibri”) da permettere a tutta la carica di contribuire alla spinta migliora notevolmente le prestazioni.
Alan Williams ha condotto dei test usando una palla di piombo da 40 grammi sparata con una canna da 20 mm usando 20 grammi di polvere da sparo non in grani (serpentine powder, in inglese, una polvere composta da salnitro, carbone e zolfo nella percentuale 75-15-10). La dose di polvere pari a 1/2 del peso della palla, che può sembrare enorme, è normale per l’epoca (all’inizio del Quattrocento, con polveri meno valide di quelle del Cinquecento, si arrivava a dosi pari al peso della palla!) e ancora nel Settecento i manuali di addestramento inglesi prevedevano questa dose di polvere per il Brown Bess (qualunque dose tra 1/3 e 1/2 del peso della palla può essere considerata storicamente attendibile). Solo nell’Ottocento, con i proiettili minié più aereodinamici, le cariche vennero ridotte fino anche a 1/7 o 1/9 del peso della palla.
Il test ha previsto la variazione della lunghezza della canna per registrare come questo influisse sulla velocità alla bocca del proiettile. La canna lunga appena 13 calibri (254 mm) ha fatto raggiungere al proiettile una velocità di soli 149 m/s. Le canne lunghe 20 e 48 calibri (381 e 914 mm)hanno fatto registrare velocità alla bocca di 239 e 255 m/s. La canna ultralunga da 72 calibri (1372 mm), in grado di simulare un pesante moschetto con la forcella, ha permesso invece una velocità eccellente di ben 343 m/s.
La formula dell’energia cinetica è:

Ovvero metà massa (in kg) per il quadrato della velocità: se la massa raddoppia l’energia raddoppia, ma se la velocità raddoppia allora l’energia quadruplica. Semplice, no?

Un tipico archibugio con una canna di 900 mm che spari palle di piombo da 19 mm (40 grammi) a circa 255 m/s (con una dose di polvere da sparo non in grani pari a metà del peso della palla) avrà un’energia cinetica di 1300 J. Armi di calibro inferiore avranno energie sui 900-1200 J, ma difficilmente un archibugiere avrebbe portato con sé calibri piccoli, ad esempio 15 mm, anche perché la fabbricazione delle canne è più difficoltosa quando il calibro è minore. Inoltre i calibri inferiori (nel caso delle palle sferiche) sono meno efficaci nel penetrare le armature perché il calibro minore ha sì meno superficie da penetrare (bene), ma percentualmente ha ancora meno massa (male!): un proiettile da 16 mm rispetto a uno da 18 mm ha bisogno solo del 80% dell’energia necessaria al primo per penetrare una data corazza (formula di Krupp), ma la sua massa è solo il 70% per cui a pari velocità è svantaggiato rispetto al calibro maggiore di un buon 10%!

Archibugeri alla Battaglia di Pavia
Archibugeri alla Battaglia di Pavia
Con gli archibugi a miccia si poteva sparare dal petto/spalla, come mostrato nei manuali militari di fine ‘500, oppure dal fianco -per evitare vampate dello scodellino e fumo negli occhi- come mostrato in questo dipinto dedicato alla Battaglia di Pavia.
Cavaliere con archibugio a miccia 1499
Disegno da un’opera di primo ‘500: cavaliere che spara con l’archibugio.
Pope 1473
Da un manoscritto del 1473: archibugio usato dalla spalla.
lanzichenecchi_battaglia_pavia_avanzata_orley_tiro_spalla
“La Battaglia di Pavia. L’Avanzata di Carlo V.” Arazzo di Bernard van Orley (1508-1541), scuola fiamminga. Particolare con gli archibugieri che tirano dalla spalla e non dal fianco.

Un moschetto con la forcella, sempre in calibro 20 mm, avrà invece un’energia di 2300 J alla bocca grazie alla maggiore velocità della palla (sempre di 40 grammi in piombo). Ma questi moschetti erano presenti alla battaglia di Pavia del 1525? Secondo gli storici si, anche se non è dato sapere in quale quantità. Addirittura gli spagnoli dello schieramento imperiale erano stati visti usare questi nuovi mostruosi moschetti solo 4 anni prima, all’assedio di Parma del 1521, secondo la testimonianza di Martin du Bellay che dice di aver visto in mano agli spagnoli archibugi tanto grandi da richiedere l’uso di una forcella per sostenerli. E nel 1524 il “leale servitore” di Bayard testimonia la morte del suo padrone causata da un grosso proiettile sparato da uno di quegli archibugi tanto grandi da sembrare “hacquebute à croc” (ovvero archibugi da posta in italiano: grandi armi da usare in posizioni difensive, spesso poggiate su un sostegno a “uncino” come la forcella o dotate di un uncino di ancoraggio per il tiro dagli spalti e dai carri, da cui il “croc” indicato dal servo di Bayard).
Non c’è nessun motivo particolare per pensare che i suddetti spagnoli non avessero con sé queste mostruose armi da fuoco utilizzate nei quattro anni precedenti anche se nelle opere d’arte sulla battaglia si vedono archibugi più piccoli: le testimonianze dell’epoca, come quella di Paolo Giovio, ne dichiarano la presenza sul campo.
Quanto poteva pesare il proiettile sparato da un simile archibugione? Oltre ai classici 40 grammi già visti, un calibro ridotto per una simile arma, vi erano anche moschetti che sparavano proiettili di 70 grammi (4000 J a 340 m/s), ovvero con un calibro di quasi 23 mm. Vari proiettili da 50-70 grammi sono arrivati fino ai giorni nostri, testimonianza della corsa al calibro spaventoso dei moschetti con la forcella (i proiettili per archibugio da posta più pesanti di tutti, segnati nell’inventario di Norimberga di Conrad Gurtler del 1462, erano da 75 grammi).
La decelerazione dei proiettili sferici è molto rapida, tanto che nei primi otto metri arriva a 2,5 m/s per metro! Alla distanza di 100 metri un proiettile sferico ha già perso metà della sua energia cinetica (dati forniti da Bert S. Hall citando esperimenti di Benjamin Robins, il padre del pendolo balistico, e test moderni). Un proiettile sparato a 40 metri avrà probabilmente 2/3 dell’energia di partenza (stima a occhio).

Rimane il problema della polvere. Nella prima metà del Quattrocento venne inventata la polvere in grani, ovvero polvere da sparo umidificata con acqua o urina (quella dei religiosi era la più pregiata per via della loro vicinanza a Dio che li rendeva migliori: gli uomini del medioevo sapevano ragionare in modo “coerente”, ma bizzarro!), ridotta in panetti, divisa in grani di dimensioni uniformi e seccata. Questa polvere è molto migliore di quella classica perché i grani sono porosi e ricchi di ossigeno (che è un comburente per la fiamma), il che velocizza notevolmente la rapidità con cui viene rilasciato il gas dell’esplosione. Una carica di polvere in grani uniformi permette di inviare proiettili con 1/3 o più di velocità rispetto a quella non in grani, con un conseguente aumento dell’energia cinetica di almeno un 50%. Archibugi e moschetti con proiettili da 40 grammi farebbero in tal caso tra 1750 e 3000 J. Ma gli spagnoli di Pavia avevano nelle fiaschette della polvere in grani? Non lo so.

Sicuramente la conoscevano, ed è anche comoda dal punto di vista logistico perché non va rimescolata (la polvere normale, a causa dei differenti pesi delle componenti, tende a separarsi rovinando la miscela), ma non saprei se le armi da fuoco di Pavia fossero caricate con polvere in grani o con polvere non in grani. Non ho trovato fonti che ne parlassero. Probabilmente usavano entrambe, in base alla disponibilità, come era normale nel Quattrocento e all’inizio del Cinquecento. Solo negli anni successivi la polvere in grani uniformi, molto più comoda, diventò lo standard in Europa.

Tornando agli ultimi punti rimasti:

    5- armi da fuoco impiegate: archibugi e moschetti, in calibri tipici di 18-20 mm;
    6- energia cinetica: da 1300 a 3000 J in base a calibro, canna e polvere usata.

 

Uso del moschetto con la forcella
Manuale inglese di addestramento del ‘600:
caricamento e uso del moschetto con la forcella passo dopo passo
(clicca per vedere tutta la pagina)

 
Conclusioni: come simulare tutto ciò?
Partiamo dalle armi da fuoco: come visto bisogna ottenere una combinazione tra peso della palla sferica in piombo e velocità alla bocca che garantisca circa 1300 J per simulare l’archibugio classico con polvere serpentina e 3000+ J per simulare il moschetto con polvere in grani (o un moschetto con calibro poco più grosso di 20 mm, con polvere non in grani).
Disporre di un proiettile da 2300-3000 J è importante per rendere al meglio il test, data la presenza certa di grandi moschetti con la forcella a Pavia, vera “novità militare” degli spagnoli che unita al fuoco in massa, alle pessime armature francesi e alla stupidità di Francesco I permisero la vittoria straordinaria degli imperiali.

Come simulare le armature? Per simulare le corazze pettorali non servono vere e proprie corazze, ma basta sfruttare dei normali fogli di metallo di vario spessore variando quello al posto della qualità (così non bisogna mettersi a cercare ferri lavorati schifosi come i peggiori ferri francesi di primo ‘500).
Per simulare una buona armatura milanese basta prendere un normale foglio di acciaio dolce (mild steel) con le seguenti caratteristiche: 0,15-0,2% carbonio, sui 150-170 VPH, di 2 mm di spessore (o qualcosa di molto simile), con una resistenza alla frattura sui 235-250 KJ/m^2.
O qualcosa di simile, tanto se si usano armi del calibro e della potenza giusta (2-3000 J), non si noterà alcuna differenza.
Un foglio simile dovrebbe essere penetrato (inteso come “buco del diametro del proiettile”) con 750-800 J da un proiettile di 18 mm che non si deformi (ovvero in acciaio o, se in piombo, con energia sovrabbondante per non schiacciarsi all’impatto, come quello di un buon archibugio o di un moschetto). Per simulare l’angolatura dell’armatura basta inclinare il foglio in modo che il proiettile vi atterri con un angolo di 30 gradi. In tal modo la resistenza dell’armatura salirà a quasi 900 J (750 diviso il coseno dell’angolo).
Per simulare una corazza da 2 mm in pessimo ferro francese (robusto la metà del buon acciaio milanese) basta prendere un foglio dello stesso acciaio dolce di prima (AISI 1015-1020), ma con uno spessore di solo 1,6 mm (vedesi test di Williams).
Ma dimostrare di poter penetrare un buon foglio di acciaio è un test sufficiente: se passa un AISI 1050 è ovvio che passerà anche una schifezza che vale meno della metà!

Se invece dell’acciaio dolce si dovesse usare dell’AISI 1050, ovvero acciaio al carbonio con 0,5% di carbonio (e ovviamente senza scorie schifose dentro, trattandosi di acciai moderni), con resistenza alla frattura di 320 KJ/m^2 circa per un foglio da 2 mm, allora bisognerebbe variare gli spessori di tutto.
Per simulare l’armatura milanese da 2 mm usando un acciaio AISI 1050 (1,36 volte più robusto del mild steel a 0,15%, secondo Williams, ma secondo altri dati -tensile strength in MPa su eFunda- 1,6 volte più robusto) bisogna disporre di un foglio da 1,6-1,8 mm. Per simulare con l’acciaio 1050 una pessima armatura in ferro francese da 2 mm ne servirà uno da 1,4 mm, diciamo.

Alla fine, per simulare una delle migliore corazze pettorali possibili a Pavia, si è optato per un acciaio AISI 1040 (UNI C40) spesso 2 mm. E’ un 10-15% più robusto del tipico acciaio milanese che si voleva simulare, ma non importa. Il tiro eseguito, come spiegato nell’articolo sulla giornata di riprese, ha permesso un impatto angolato adeguato per simulare un’armatura arrotondata.

Nel futuro articolo dedicato ai moschetti con la forcella verrà inserita una modellazione fatta con le formule di penetrazione dei proiettili nella carne e nell’acciaio dolce per simulare, con un esperimento teorico che è più un giuoco che altro, le affermazioni di Paolo Giovio sulla potenza dei pesanti archibugi spagnoli. Giuochiamo con la Storia! ^__^
La simulazione era stata inclusa nel documento inviato a History Channel ed era piaciuta molto.

32 Replies to “Armature e Armi da Fuoco alla Battaglia di Pavia”

  1. volevo chiederti una cosa hai visto il film “alatriste” tratta vicende non troppo lontane (inizio 1600)

    mi è parso a tratti accurato e a tratti demenziale, una scena su tutte moschetti a miccia che sparano sotto la pioggia,

    i viene in mente prche la scina finale del film si svolge in una situazione praticamente ispirata al dipito con gli archibugieri e i fanti con le picche in formazione

    se l’hai visto che impressione ne hai avuto

  2. Oh, esperto, succinto e chiaro. Non ho mai apprezzato le formule fisiche, ma come hai spiegato tu l’energia cinetica…bè, utile anche per altri motivi. Applicazioni utili per Fantsy: penetrare una corazza lanciando contro di essa un sasso con una forza magica. Interessante…si, si…

    Anche la parte che riguarda la battaglia di Pavia, devo dire che è interessante sapere che la propria città un tempo è stata invasa da ogniqualsiasivoglia tipo di gente…[lol]

    Una domanda è necessaria: una stima su eventuali “rinculi”?

    Spirito Giovane a.k.a. Daniele

  3. Il rinculo in senso comune, formato da rinculo (spinta dell’arma all’indietro lungo l’asse) e rilevamento/impennamento (movimento della canna verso l’alto), dipende dalla velocità e dalla massa del proiettile in gioco in gioco e da eventuali meccanismi che sfruttino parte dell’energia del rinculo per far fuoriuscire il bossolo o arretrare la canna ecc…

    In linea generale, prendendo il caso più semplice possibile in cui il proiettile che esce ha una energia molto simile a quella che per reazione incide sul tiratore, puoi considerare il “rinculo” (la botta all’indietro contro la spalla/polso) proporzionale alla quantità di moto in gioco.
    Però considera che va usata la legge di conservazione della quantità di moto, per cui l’arma essendo molto più pesante del proiettile indietreggerà molto più lentamente (con l’ampia superficie di contatto sulla spalla non ti “penetrerà”)
    Motivo per cui un’arma per avere un tiro stabile, soprattutto a raffica e con proiettili da fucile, non può rinunciare al peso.

    Sono cose un po’ complesse per poterle spiegare bene senza complicare troppo il discorso.

    Proverò a fare due esempi cretini per spiegare:
    Fucile d’assalto di massa 4 kg in due versioni, una che spara un proiettile X a Y m/s e una che spara uno a 2Y m/s (immaginiamo che il primo sia semplicemente il secondo, es. un 7,62 Nato, con la carica di lancio sottodimensionata in modo che la velocità alla bocca sia la metà): il secondo scalcerà e picchierà contro la spalla il doppio dell’altro.

    Un moschetto calibro .75 che fa spara proiettili da 30 grammi a 450 m/s e pesa 5 kg avrà un rinculo molto peggiore se gli elfi lo fabbricano in una nuova versione in metallo elfico che pesa 1 kg. E se per renderlo più elegante hanno anche dimezzato la superficie di contatto tra spalla e calcio, uno si prende l’equivalente di un colpo di mazza e si rompe un osso. :-)

    Un main battle rifle in 7,62 Nato che spara proiettili da 9,7 g a 850 m/s (8,245 kg m/s) alla bocca ha molto più rinculo e rilevamento di un 5,56 Nato che spara proiettili da 4 g a 990 m/s (3,96 kg m/s), anche perchè non ha una massa proporzionalmente maggiore da opporre: un FN-FAL pesa 4-4,5 kg proprio come un M16 (o poco di più)!
    E pensare di fare un fucile d’assalto di 8 kg per abbattere il rilevamento non è un’idea intelligente (mentre lo è se devi fare un’arma leggera di squadra con un massiccio bipiede per abbattere il rilevamento e il rinculo e stabilizzare il tiro).

  4. Altro ottimo lavoro, come sempre dopotutto ^_^ Se non hai nulla in contrario, aggiungo il link questo tuo articolo alla lista delle “guide alla scrittura” presenti sul mio sito :)

  5. @iome:

    mi è parso a tratti accurato e a tratti demenziale, una scena su tutte moschetti a miccia che sparano sotto la pioggia

    Nell’insieme è fatto bene e i duelli con la striscia evitano il grosso delle cagate dei film di cappa e spada.

    La scena dello sparo a Breda mi pare improbabile, dato che il moschetto era a miccia. Se anche la miccia fosse stata impermeabile esternamente (si potevano fare), rimane il problema dello scodellino aperto con la pioggia che batte dentro bagnando la polvere di primino. E, dato che stava mirando da parecchio in attesa che il tiratore olandese uscisse fuori, significa che lo scodellino è rimasto sotto la fitta pioggia più che a sufficienza per infradiciare tutta la polvere.
    C’erano, se ricordo bene, aggiunte tipo tettoia per proteggere gli archibugi/caliver/moschetti a miccia in caso di pioggia, ma lì non appare nulla di simile.

    L’idea del cecchino, se resa meglio (senza pioggia?), era comunque un dettaglio realistico per Breda 1624. La precisione dei tiratori scelti (armati con appositi fucili a canna rigata) era tale che nel 1633 all’assedio di Rijnberg un soldato inglese disse “Lasciate che si mostri soltanto la punta di un vecchio cappello e lo vedrete immediatamente trapassato da tre o quattro pallottole” (da The Autobiography of Thomas Raymond a cura di Davies, citato in La Rivoluzione Militare di Parker)

    La battaglia finale, quella di Rocroi del 1643, con i sopravvissuti, a parte la correttezza delle posizioni e azione dei picchieri (sia in quadrato anticavalleria che in attacco, quando tentennano all’ultimo perché avvicinarsi per colpire equivale ad arrivare a portate delle picche nemiche) o dei cavalieri francesi che scaricano le pistole (caricare a fondo la fanteria non era più di moda, tornerà in auge successivamente) non ha nell’insieme molto senso: ai francesi sarebbe bastato proseguire i bombardamenti, senza far intervenire né cavalleria né picchieri. All’inizio infatti si vedono i cannoni falciare i sopravvissuti: ancora qualche tiro e vincevano. Non è molto intelligente smettere. Andava progettata meglio. ^__^

    @Okamis:
    non c’è problema, anche se non mi pare un articolo molto significativo… perlomeno non quanto i due indicati in cima che avevi già linkato. ;-)

  6. Guarda, in un primo momento anch’io sono stato incerto se inserirlo nella lista o meno, visto che, a differenza dei precedenti articoli, questo è di ambito meno generale e più “pratico”, se mi passi il termine. Tuttavia, lo ritengo comunque importante per chi si stia avvicinando al mondo dell’oplologia (me compreso). I precedenti capitoli erano un po’ come la spiegazione teorica, questo invece è più di ambito empirico, un po’ come gli esempi nei libri di fisica. Ecco perché lo ritengo comunque importante all’interno dell’ambito che stai affrontando ;)

  7. Bellissimo articolo, si legge come un racconto.

    Sulla questione del rinculo ho scritto due formulette: partendo dalla conservazione della quantità di moto, e dal fatto che questa è lineare rispetto alla velocità mentre l’energia va col quadrato, viene fuori che ogni volta che dimezzi la massa dell’arma raddoppia l’energia del rinculo. Di conseguenza, anche l’energia che viene sottratta al proiettile.

    Sarei curioso invece di sapere quali erano le prestazioni delle pistole nei confronti delle corazze: immagino avessero molti più problemi (anche se nei film sembrano sempre avere le stesse prestazioni dei fucili). Un’altra cosa che mi incuriosisce è: non hanno mai pensato, nei periodi storici a cui ti riferisci, a usare proiettili di metallo più duro del piombo, magari proiettili di piombo rivesto come si fa oggi?

  8. Sarei curioso invece di sapere quali erano le prestazioni delle pistole nei confronti delle corazze: immagino avessero molti più problemi (anche se nei film sembrano sempre avere le stesse prestazioni dei fucili)

    L’energia disponibile è minore per due motivi: carica inferiore (perché beccarsi su un solo polso tutto il rinculo non fa piacere… ma si può ovviare usando calibri inferiori, come “mezzo pollice” o poco più, e stessa dose percentuale) e, soprattutto, tempo di canna minore (e vanno usate polvere più fini per fare in modo che brucino il più possibile contribuendo alla spinta prima che la palla lasci la canna, ma allo stesso tempo avendo grani più piccoli sono meno ossigenate e quindi meno potenti).

    I dati che avevo di un paio di pistole a pietra/ruota indicavano energie di 907 J (9,54 grammi, 11,7 mm, velocità 436 m/s: ha perforato giusto-giusto una corazza spessa 3 mm e si è adagiato contro i due strati di lino dietro) e 1071 J (14 grammi, calibro 13,2 mm, 391 m/s).

    Un’altra cosa che mi incuriosisce è: non hanno mai pensato, nei periodi storici a cui ti riferisci, a usare proiettili di metallo più duro del piombo, magari proiettili di piombo rivesto come si fa oggi?

    La differenza in termini di penetrazione in acciaio dolce e legno di abete tra un proiettile FMJ e un LRN (piombo nudo a punta tonda) è del 20% a svantaggio del LRN.

    Dal punto di vista storico non ci sono motivi particolari di sviluppare l’incamiciatura dei proiettili prima della seconda metà dell’Ottocento: un proiettile incamiciato non potrebbe essere di tipo Minié perché non sarebbe in grado di espandersi alla base per aderire alla rigatura (quindi va usato rigorosamente in retrocarica).
    L’incamiciatura ha avuto successo grazie soprattutto al Trattato dell’Aia del 1899 che vietava l’uso di proiettili a espansione.

    Inoltre l’incamiciatura, per quanto permetta di evitare depositi di piombo nella canna, non è davvero una cosa “fondamentale”: i piccoli depositi possono essere abbattuti usando una pezzuola ingrassata che avvolga il proiettile, difendolo anche dal calore, oppure impiegando una lega di piombo più dura (piombo e stagno, questo effettivamente nel ‘700 lo facevano) rispetto al piombo morbido puro (per fucili a retrocarica non incamiciati, scelta ottima con velocità sopra i 300 m/s, ma non troppo elevate -non 700-800 m/s, in questo caso senza incamiciatura il proiettile fonde e deposita schifezze tremende nella canna-) oppure usare le palle Minié che erano ingrassate negli spazi sul fondo -quei solchi che si vedono- per pulire la rigatura dai depositi di polvere e piombo quando venivano sparate.

    Sarebbe un notevole aumento di complessità senza un vantaggio apprezzabile nel mondo precedente la polvere infume (i moschetti anti-armatura li hanno sviluppati, fino al punto di portare all’abbandono graduale delle armature stesse… quel 20% in più, da solo, non è così “desiderabile” anche immaginando che posseggano la tecnologia per incamiciarli in leghe di ottone o acciaio… nel ‘700, a armature ormai sparite, gli inglesi usavano regolarmente palle in piombo duro -la differenza in penetrazione rispetto alle incamiciate è minimo, credo attorno al 5%- ma non perché temessero le armature, che già non c’erano se non nei corazzieri, ma perchè il piombo duro permette di ottenere dimensioni della palla più precise e costanti)

    I proiettili incamiciati, soprattutto se hanno design spitzer, a causa del bilanciamento spostato in coda tendono a ribaltarsi all’impatto di bersagli spessi (sacchi di sabbia / tronchi di legno) peggiorando così di molto la penetrazione sulle brevi/medie distanze. Il ribaltamento è però necessario nei piccoli calibri per ottenere ferite decorose (ne parlerò in futuro nell’articolo di introduzione all’argomento, dedicato in particolare al 7,62 e al 5,56 NATO) Un trucco usato nei proiettili navali di fine ‘800 (o anche in quelli Armor Piercing da fucile) era quello di fare la punta scamiciata, in piombo morbido, così all’impatto si piegava appiattendosi ed evitando che il proiettile scivolasse e si ribaltasse sbattendo di fianco contro la corazza.
    I proiettili incamiciati, a differenza di quelli in piombo nudo, possono rimbalzare molto più facilmente aumentando in modo notevole la loro pericolosità nei luoghi chiusi.

  9. Un moschetto calibro .75 che fa spara proiettili da 30 grammi a 450 m/s e pesa 5 kg avrà un rinculo molto peggiore se gli elfi lo fabbricano in una nuova versione in metallo elfico che pesa 1 kg. E se per renderlo più elegante hanno anche dimezzato la superficie di contatto tra spalla e calcio, uno si prende l’equivalente di un colpo di mazza e si rompe un osso. :-)

    Esaaaaaatto: erano queste le domande alle quali volevo risposta. Paradossalmente, da questo articolo e dagli altri di oplologia si ricava un quadro allucinante: nei fantasy tradizionali le persone forse più adatte a tirar d’arco sarebbero dei nerboruti nani, mentre gli elfi non potrebbero che maneggiare spade; ma forse neanche quelle.

    Attenderò altri post di oplologia, di questo tipo.

    Spirito Giovane a.k.a. Daniele

  10. Grazie per le delucidazioni ^_^

    Se una pistola ha bucato una piastra da 3 mm si può quindi pensare che possa anche infliggere una ferita se la piastra è più sottile (2 mm), sparando a distanza ravvicinata…

    Insomma, mi pare di capire che il succo è che nei confronti delle armi da fuoco non c’era storia per le armature.

  11. Corazza di 4 mm fatta di due strati sovrapposti inchiodati, come nelle armature duplex (che sfruttano lo stesso principio poi scoperto nell’Ottocento da Krupp per le armature navali), in modo da sfruttare due metalli “non molto buoni” (un troppo duro e uno troppo poco duro) per ottenere il meglio di entrambi: il duro esterno (martensite ricca di stress, non ben rinvenuta) frena il proiettile, il metallo morbido dietro (acciaio dolce/ferro) incassa il colpo e tiene in piedi l’altra armatura che sta subendo un “crack” (il crack non si estende, sono due strati separati!).
    Le corazze da fanteria nel ‘600 stavano sui 2-4 mm, e quelle da cavalleria arrivavano comodamente a 5, 6 o perfino 7 o 8.

    Inoltre armature leggere, non concepite per fermare armi da fuoco a distanza ravvicinata, possono dare grossi vantaggi contro schegge (se si è arrivata a sviluppare un tipo di guerra in cui l’artiglieria e gli shrapnel hanno un ruolo chiave) e rendere molto più pericolosi in corpo a corpo se l’avversario non ha pure lui difese adeguate (e se il corpo a corpo conta ancora qualcosa).

    Ho anche in mente un esempio di reintroduzione di armature in acciaio vantaggioso per l’Ottocento (storia alternativa), ma arriverà in un altro articolo. Forse in quello sui giubbotti antichegge, forse in un altro, dovrò pensarci.

  12. Ricordo un film sulla prima guerra mondiale dove i soldati italiani vengono mandati a tagliare il filo spinato sotto il fuoco delle mitragliatrici austriache infilati dentro a corazze d’acciaio (portavano il nome del costruttore, ma non lo ricordo). Venivano crivellati alla prima raffica ^_^

    Sono andato a controllare: il film era “Uomini contro” e si parlava delle corazze Farina:

    http://www.cimeetrincee.it/farina.htm

  13. Si, ho presente il film. Avevo già rintracciato il video su youtube. Le ricordavo più simili all’armatura della banda di Ned Kelly, invece sono molto più grottesche e prive di un qualsiasi logica nel design: un enorme scafandro pesantissimo sulla testa, immagino per vedere quanto si impiega a sbilanciarsi e cascare al suolo, con una timida corazza più sotto eclissata dalla massa dell’elmo.

    Le armature nel film di Rosi sono una stramberia New Weird degna di “Tanto è Fantasy!!!” (che quando diventa “Tanto è Storia!!!” è un po’ più squallido). Perlomeno la Strazzulla e la Troisi con i loro “archi” non volevano fare un romanzo storico. ^__^

    L’armatura Farina è un’ottima armatura, ma di concezione sbagliata: gli studi iniziati nella Prima e proseguiti nella Seconda Guerra Mondiale e poi in quella di Corea dimostrano che tra il 70% e l’80% delle ferite della fanteria dipendono da schegge ed esplosioni che un’armatura leggera può fermare.
    L’idea più intelligente della corazza/scudo Farina è l’essere un riparo mobile, imbracciabile come uno scudo, ma non so quanto questo fosse effettivamente utile.

    Le sappenpanzer tedesche, nonostante il peso simile alla Farina (però coprivano fino ai genitali, essendo meno spesse), vennero usate con successo per tutta la Prima Guerra Mondiale, e il trend attuale nella fanteria è di reintrodurre sempre più armature e sempre più pesanti (dopo i decenni della stagione dei gloriosi “giubbotti antischegge”, visto che da conflitti tradizionali con altissimo numero di perdite dovuto alle schegge si è passato a conflitti dove le armi da fuoco individuali fanno gran parte delle vittime).

    Ci tornerò nell’articolo sui giubbotti antischegge, percorrendo la storia evolutiva delle armature da fanteria dalla prima guerra mondiale fino alle nuove armature MTV americane, con un paio di citazioni storiche su periodi precedenti.

  14. Splendido articolo, in linea con la tua abilità e documentazione.
    Solo un punto, secondo me, rimane un po’ debole, ossia degna di approfondimento, fonti alla mano:

    L’assenza della marchiatura che identifica con orgoglio il produttore, assieme alla richiesta di armature di importazione (i documenti a riguardo abbondano, con ordini di centinaia di bracciali, pettorali e gorgiere) e di artigiani stranieri (Gabriele e Francesco Merate, di Milano, dal 1494 al 1497 lavorarono nella città di Arbois, in Francia), sono tutte prove a favore dell’inferiorità tecnologica della metallurgia francese e della conseguente scarsa qualità della produzione locale.

    Per quanto ne so io, gli artigiani italiani e tedeschi erano, oltre che all’avanguardia, di gran moda.
    Gli artigiani stranieri erano erranti ormai da tempo, mi pare, a causa dell’indebolimento delle istituzioni corporative.
    La stessa presenza di artigiani stranieri lascia pensare che la qualità fosse in ascesa, visti i trent’anni di anticipo su Pavia.

    Che ne pensi?

  15. Per quanto ne so io, gli artigiani italiani e tedeschi erano, oltre che all’avanguardia, di gran moda.

    E infatti le armature del nord Italia e della germania meridionale (Augusta) erano marchiate e vendute per tutta europa.

    Gli artigiani stranieri erano erranti ormai da tempo, mi pare, a causa dell’indebolimento delle istituzioni corporative.

    Ehm, all’epoca c’erano centinaia di produttori in Francia. Tutti senza marchio. Idem nella Germania Settentrionale: produzione di massa, bassa qualità, spesso niente marchio.

    In Germania prima del 1450 le armature prodotte erano senza marchio (quelle identificate erano però tutte pessime, in ferrite o simili) il marchio è apparso proprio quando sono apparse anche quelle di acciai di altissima qualità nella Germania meridionale ed è iniziata la vendita all’estero (Germania del nord, Franchia, Polonia ecc…).

  16. In tema “periodizzazione delle armature alla massimiliana” uscirà un articolo prossimamente. Nasce da alcune risposte fornite al capo dei lanzi della Compagnia della Fenice via mail.
    Ci saranno tante foto.

    ^__^

  17. Belle dritte, Duca, grazie!

    Come potrei approfondire il tema delle varie tipologie di polvere da sparo?

    Hai mai pensato di scrivere un glossario sui termini del tempo?
    Tra nomi di bocche da fuoco, armi bianche, armature, ecc… più approfondisco più rischio di non capirci più un cappio (l’ho scritto “più”, vero?)! Possibile che ogni stato abbia un nome diverso per gli stessi oggetti, o devo ritenere che ci fossero differenze, magari infinitesimali. E se si, come faccio ad evitarmi ore di ricerca internettiana, naso sullo schermo?

    Grazie

  18. Come potrei approfondire il tema delle varie tipologie di polvere da sparo?

    Non saprei… non ho materiale particolarmente valido da suggerirti al momento.

    Hai mai pensato di scrivere un glossario sui termini del tempo?

    No. Non mi attira molto l’idea.
    È più probabile che in futuro raccolga gli articoli, li rimaneggi, inserisca disegni (come in certi libri di Oakeshott) invece di foto coperte da copyright e pubblichi il tutto come manuale in pdf utile per gli scrittori di fantasy (magari anche con esempi e pezzi dedicati per loro) e di introduzione a chi voglia avvicinarsi alle armi antiche.
    Però boh, prima devo avere prodotto abbastanza materiale. Tra qualche anno si vedrà. ^__^

    E se si, come faccio ad evitarmi ore di ricerca internettiana, naso sullo schermo?

    Vorrei saperlo anche io. ^__^
    Ogni volta che trovo un termine di cui non sono sicuro o cerco approfondimenti (o cerco l’equivalente in italiano) mi devo lanciare tra libri e pagine web per trovare riscontri. La cosa peggiore è quando le fonti sono discordanti sulla stessa cosa, ad esempio un nome: nella pagina di Wikipedia alla voce Spingarda, per mostrarne una leggera portatile (tipo moschetto da posta), hanno scelto di mettere la foto di un trombone (blunderbuss in inglese) invece di una più “decente”.
    E la voce Trombone è senza foto! LOL! Quando nella pagina inglese del Blunderbuss se ne trova una buona senza problemi.

    Alcuni blunderbuss (trombone in italiano):


    Una Spingarda “leggera”:

    (tipo moschetto da posta e non tipo cannone che spara palle di pietra di 3-5 kg come da definizione di Francesco di Giorgio Martini -fine ‘400-)

    Altra Spingarda “leggera”, ma ancora più grossa:

    Altra Spingarda ancora, più piccola:

    (Spingarda di primo ‘700. Costruttore Hans Rot, Lucerna. Ferro. 1590 – 1600. Lunghezza 163 cm)

    Una Spingarda secondo la Wikipedia italiana:

    (A me sembra così simile al Trombone e così diversa dalle Spingarde “accertate” da risultare un pessimo esempio… magari è una spingarda anche lei -dubito data la forma e la svasatura della canna tipica dei tromboni dei banditi del sud Italia-, ma di certo non è l’esempio migliore possibile!)

  19. Ho trovato una buona immagine d’epoca sulla battaglia di Pavia con gli archibugieri che tirano dalla spalla e non dal fianco.
    Viene dall’arazzo “La Battaglia di Pavia. L’avanzata di Carlo V.” di Bernard van Orley (1508-1541), scuola fiamminga, attualmente presso Museo Nazionale di Capodimonte (Napoli).

    L’ho aggiunta nell’articolo.

  20. Gentile Duca…,
    è possibile derivare il tipo di arma dal diametro delle feritoie dei castelli medievali? Spesso trovo fori circolari di 20 cm di diametro. Quale arma da fuoco potevano introdurre?
    Esiste un repertorio completo delle artiglierie in uso nei secoli XIV-XVI?

    grazie
    Andrea Fiorini
    Dottorando in Archeologia

  21. Uhmm, 20 cm sono pochi.
    Di libri specifici su tutte le artiglierie tra Trecento e Cinquecento non ne ho, anche perché fino al Cinquecento non c’erano vere e proprie standardizzazioni di calibri e modelli: ogni produttore faceva un po’ come gli girava, con una gran confusione di calibri e pezzi, nonché di formula della polvere usata o di dosaggi (c’era qualcosa a riguardo sul libro di Contamine, “La guerra nel Medioevo”, ma potrei ricordare male ad anni di distanza).
    E poi non è esattamente il mio argomento preferito.

    Comunque, per darti qualche idea ulteriore ti cito il primo tentativo fatto a fine Quattrocento da Francesco di Giorgio Martini di standardizzare nomi e calibri.
    Te lo riporto prendendo i dati dal libro di Santi-Mazzini (“La Macchina da Guerra”, pag. 249), sperando che tutte le conversioni di misura siano esatte.

    Suddivisione di Francesco di Giorgio Martini, con sei pezzi pesanti, due medi e due leggeri.

    Pezzi pesanti.
    1) Bombarda, lunga 5-6,7 metri, usa palle di pietra da 100 kg, calibro 412 mm.
    2) Mortaro, lungo 1,7-2 metri, palle di pietra da 67-100 kg, calibro 362-412 mm.
    3) Mezzana (o moiana), lunga 3,5 metri, palla in pietra da 17 kg, calibro 226 mm.
    4) Cortalda, lunga 4 metri, palla in pietra da 20-34 kg, calibro 240-286 mm.
    5) Passavolante, lunga 6 metri, palle di piombo e ferro da 5 kg, calibro 100 mm.
    6) Basilisco, lungo 7,5-8,5 metri, palle di pietra (2,5 kg, con una densità tipica di 2,8 volte l’acqua) o di ferro (6,8-7 kg), calibro 118-122 mm.

    Pezzi medi.
    1) Cerbottana, lunga 2,7-3,4 metri, palla in piombo da 0,7-1 kg, calibro 48-55 mm.
    2) Spingarda, lunga 2,7 metri, palla di pietra da 3,2-5 kg, calibro 130-150 mm.

    Pezzi leggeri:
    1) archibugio (ok…)
    2) schioppetto (che credo sia il cannoncino manesco, quello formato da una corta bocca da fuoco montata su un bastone, come già si usava al tempo delle guerre con gli Hussiti)

    Francesco I e Carlo V fecero entrambi delle riforme per standardizzare le artiglierie.
    Gli standard utilizzati a metà Cinquecento da francesi e tedeschi dovrebbero essere quelli riportati qui
    http://www.earmi.it/balistica/cannoni.htm
    sull’eccellente sito dell’avvocato Edoardo Mori.

    Tornando ai miseri 20 cm disponibili…
    Secondo me, se si tratta di farci sparare pezzi di fine-Quattrocento o inizio-Cinquecento, potevano usare o serpetine/falconi/falconetti da 1-9 libbre (5-10 cm circa di calibro, ma più facile che non superino gli 8 cm), schioppetti e grossi moschetti come gli “hacquebute à croc” di cui ho parlato nell’articolo

    ovvero archibugi da posta in italiano: grandi armi da usare in posizioni difensive, spesso poggiate su un sostegno a “uncino” come la forcella o dotate di un uncino di ancoraggio per il tiro dagli spalti e dai carri, da cui il “croc” indicato dal servo di Bayard).

    Escludo del tutto le già note colubrine dell’epoca, perché anche la più piccola è enorme. Forse troverebbe posto un sagro (sacher), ma mi pare che sia un pezzo che ha iniziato a diventare comune dalla metà del Cinquecento (non sono sicuro, come detto ne so poco di artiglierie del periodo).

    Comunque, così a naso, da una feritoia così ridotta penso che sparino perlopiù grossi moschetti da 20-23 mm.

  22. Grazie mille Duca,

    nel frattempo ho trovato due documenti scritti che informano sulle armi in dotazione in quella rocca (munita di feritoie da 20 cm di diametro). Alcune armi elencate sono compatibili con quelle feritoie? grazie. Andrea Fiorini

    Documenti 1
    […] in data 16 gennaio 1483 i Dieci di Balia, a Firenze, disponevano l’invio a Montepoggiolo di “iij spingarde di bronzo a cartoccio” con relativi rifornimenti: […].

    Documento 2
    Nel 1570 […] da una relazione del Provveditore Lorenzo Perini, sappiamo quale fosse l’armamento e l’approvigionamento in dotazione del Castello di Montepoggiolo: “Artiglierie[:] Mostetti di metallo 2[;] Spingarde di ferro cattivo 9[;] Archibusi a posta (4 senza casse) 23[;] Archibusi a braccia con casse cattive 5[;] Mortai di ferro 3[;] Munizioni[:] Polvere grossa[;] Piombo[…]

  23. Provo a ipotizzare.

    Documento 1
    Spingarde di bronzo.
    La spingarda nella suddivisione di Francesco di Giorgio Martini è un pezzo lungo quasi tre metri, che spara palle in pietra (i conti sul peso non è che mi tornino benissimo, ma mi sono dovuto affidare al libro di Santi-Mazzini e non so dove li ha presi).
    Però non è detto che in quel documento abbiano adottato una suddivisione di quel tipo preciso.
    Comunque la spingarda in generale è un pezzo d’artiglieria lungo, di calibro modesto (per l’epoca) oppure un grosso moschetto da posta. In questo caso tra anno, metallo e cartoccio (cosa intende? Che spara a mitraglia?) direi che è la spingarda come lungo cannone di calibro modesto.

    Se c’è posto sufficiente per posizionarla e farla sparare, immagino che possa infilare la bocca nello spazio di 20 cm, se il calibro non è eccessivo e lo spessore della canna non è troppo grande.
    Consideriamo che è in bronzo, metallo migliore per la fusione dei cannoni rispetto al ferro (le grandi fusioni in ferro danno ferro cattivo pieno di scorie e non acciaio… ancora nella metà nell’ottocento si facevano competizioni tecnologiche per la più grande fusione in un solo blocco di acciaio). Il bronzo è molto costoso e pesante, ma è più facile da fondere ed è più resistente del ferraccio (pieno di scorie che facilitano il crack) nel sopportare il calore e la dilatazione. Si usarono cannoni in bronzo fino alla seconda metà dell’Ottocento, fino a quando la superiore tecnologia degli acciai non li mandò in pensione.
    Se è di calibro non troppo grande, 10-12 cm, si dovrebbe poter rimanere entro i 20 cm anche conteggiando lo spessore del metallo.

    Sicuro che non ci fossero postazioni di tiro migliori per le spingarde? Quelle feritoie tonde c’erano già nel 1483 o le hanno fatte dopo e magari prima c’erano feritoie tradizionali per archibugi e balestre?

    Documento 2.
    I mostetti dell’epoca non so cosa siano. Perdonate la mia ignoranza.
    Spingarde vale il discorso di prima, ma essendo in ferro “cattivo” non so se devo immaginare che siano quindi più spesse, goffe e pesanti per via del materiale peggiore (e quindi non adatte alla feritoia piccola) o se sono poco spesse come se fossero in bronzo, ma essendo di “ferro” possono sostenere un fuoco consecutivo minore prima di rischiare la rottura e quindi sono “di ferro cattivo”.
    Archibusi a posta sono quelli grossi, ancora più grossi di quelli con la forcella usati in battaglia, e montati su una postazione fissa (tipo le “spingarde” intese come moschetti delle foto pochi commenti più sopra).
    Gli archibusi a braccia immagino che siano gli archibugi da usare con uncino/forcella, senza postazione fissa, e trasportabili agevolmente usando le sole braccia. Vanno bene anche loro, come quelli da posta.

    Dal “Vocabolario Marino e Militare” del 1889:

    L’Archibuso, in principio fu gittato di bronzo e posto sul pendìo dei parapetti; poscia fatto di ferro, e portato a braccia e spianato sulla forcella.
    […]
    Archibuso da posta, si chiamava Quello grande che non si portava a mano, ma stava sul cavalletto, in certi luoghi determinati delle fortezze per difesa, o sul cassero e parapetto de’ bastimenti.

    I mortai no. Già all’epoca la parola dovrebbe indicare artiglieria di medio/grosso calibro che tira nel secondo arco.

  24. Salve Duca,
    precisazioni:

    1. non si può essere certi del periodo di costruzione di queste feritoie. Mi sembrano coevi alla struttura (1471). Quindi funzionavano quando nella rocca si usavano le spingarde. L’unica cosa che posso dire è che all’interno queste feritoie si trovano “a raso pavimento”. Significa che le armi dovevano essere stese a terra, probabilmente su ceppo. Insomma, nessuno le imbracciava. Quindi: armi di calibro inferiore a 20 cm utilizzabili stendendole a terra. Esistono?

    2. Questo accade nelle torri, ma sopra agli spalti le cose potrebbero cambiare, cioè le feritoie (oggi non più conservate, ma visibili in vecchie foto) sono collocate nel parapetto a una certa distanza dal pavimento = le armi erano, forse, collocate su un supporto. Che dice?

    3. non “mostetti” (ho copiato male), ma moschetti. Ora torna?

    4. una curiosità: dove posso trovare figure delle “feritoie tradizionali per archibugi e balestre” menzionate da lei?

    grazie ancora

  25. Per quanto sia un avversario delle armi da fuoco, penso che “mostetti” sia una volgarizzazione di “moschetti”. Storpiature dei nomi originari sono comunissime in tutti i documenti medievali e rinascimentali.

    Zweilawyer

  26. L’unica cosa che posso dire è che all’interno queste feritoie si trovano “a raso pavimento”. Significa che le armi dovevano essere stese a terra, probabilmente su ceppo. Insomma, nessuno le imbracciava. Quindi: armi di calibro inferiore a 20 cm utilizzabili stendendole a terra. Esistono?

    Sì. Un pezzo d’artiglieria, soprattutto se leggera come la spingarda (che non supera le palle da 5-6 libbre), si può montare senza problemi su un affusto senza ammortizzatori di alcun tipo (nemmeno ruote su rotaie o altro) o con ruote ridottissime per ricaricarlo dalla bocca (ma se è piccolo è facile che sia anche a retrocarica, perlomeno nel Cinquecento: le spingarde di solito lo sono). Non potendo variare l’angolo di elevazione per il tiro si varia la gittata modificando solo la carica di polvere.

    La definizione di spingarda era molto variegata, pur rimanendo fissa l’idea del calibro modesto.
    Ad esempio, sempre su Santi-Mazzini, leggo questo:

    Chiamiamo spingarda (…) ogni genere di bombarda tirante palle di ferro o di piombo sino al peso di due o tre libbre.
    (Lampugnano Birago, Strategicon adversus Turcos, 1454)

    Dovrebbero andar bene, soprattutto visto che erano in bronzo che permette spessori minori e quindi la possibilità di fare pezzi campali o leggeri molto robusti (quelli in ferro pieno di scorie altrettanto robusti peserebbero molto di più… e quelli in acciaio non c’erano).

    Questo accade nelle torri, ma sopra agli spalti le cose potrebbero cambiare, cioè le feritoie (oggi non più conservate, ma visibili in vecchie foto) sono collocate nel parapetto a una certa distanza dal pavimento = le armi erano, forse, collocate su un supporto. Che dice?

    Sugli spalti gli archibusi a braccia e anche quelli fissi “da posta” col supporto si possono usare senza problemi.

    non “mostetti” (ho copiato male), ma moschetti. Ora torna?

    Ah, ok. Ora torna, sì.
    Consideriamo anche che moschetto in quel periodo non ha lo stesso significato che acquisirà dall’inizio del ‘600 (archibugio pesante con forcella) per poi cambiarlo ancora dopo (fucile ad anima liscia, dalla metà del ‘600 alla metà dell’800, prima con la forcella e poi senza, con l’affermarsi del “soldato universale” armato di fucile e baionetta e la scomparsa della distinzione netta tra archibugiere/moschettiere e picchiere) e ancora dopo (fucile rigato in versione con canna più corta, senza più distinzione con carabina o quasi).

    Sempre da “Vocabolario Marino e Militare” del 1889

    Moschetto. Specie di artiglieria minuta del secolo XIV. Ne parlò Santo Brasca nel viaggio di Terrasanta anno 1480, pag. 83: « Belli moschetti. » Erano cannoncini minuti, che poi, nell’ordinamento multiplo del secolo seguente, ebbero luogo e nome di sedicesimi cannoni, come lo smeriglio era la sedicesima colubrina. Portavano palle di ferro da tre libbre, e servivano specialmente per la difesa radente delle cortine, e per la difesa minuta delle galee.
    Moschetto, sulla fine del secolo XVI a poco a poco si assottiglia: lascia la cassa e le ruote, e monta sul cavalletto e sulla forcina: in somma diventa archibusone da posta.
    Moschetto, nel mezzo del sec. XVII diventa archibuso manesco a forcina.

    Spero possa essere d’aiuto.
    E’ un pezzo da tre libbre, un po’ come il falconetto che avevo ipotizzato io, e si può sparare per la difesa “radente delle cortine”.

    una curiosità: dove posso trovare figure delle “feritoie tradizionali per archibugi e balestre” menzionate da lei?

    Intendevo semplicemente queste, quelle classiche con lo spazio largo per poter puntare con un certo angolo di manovra.

    Mi era venuta la curiosità se magari quelle feritoie era inizialmente a fessura solo verticale, o a croce al massima, e poi erano state allargate/modificate per far passare anche l’artiglieria, arrivando ad assomigliare a quest’altra.
    Ma era solo una curiosità per via della difficoltà riguardo il termine spingarda.

  27. Ciao mi potresti informare a quanti decibel spara la colubrina?in particolare quando sparano la cartuccia a salve sul sagrato di Santa Croce per il Calcio Storico Fiorentino.Questa informazione per me e’ importantissima,grazie mille

  28. Buonasera Duca,

    Eccellente articolo.
    Molto buona la scelta di lasciare 1mm di “vento” negli archibugi da 20 mm (ho proiettili proprio da 19mm).

    Per quanto riguarda il moschetto :
    correttissima la tua affermazione che i calibri variarono
    da 20 a 23 mm.
    Ti manderò mail con un proiettile da 55gr (stimabile per un archiibugio da 21/22 mm e un proiettile da 45 gr.
    Quest’ultimo è atterrato in terreno morbidissimo e ha “miracolosamente” mantenuto la deformazione
    “cilindrica” dovuta al passaggio nella canna.
    Se ti può servire il diametro di questa deformazione va da 19,5mm a 20,5mm.
    Comunque ti scrivevo sopprattutto riguardo alla carabina da bersagliere 1848 Thouvenin.
    Non ne sto uscendo ! e mi scoccia!
    Stasere sentirò un altro specialista,ma sembra che sia stata usata solo in Crimea(e non sò la sua reale diffusione).
    Quindi introdotta nel 1849 e sostituita nel 1856.
    L’unici dato certo è che nessuna di queste armi operò nel 1859 (praticamente si volatilizzò).
    In tutte le aree di pertinenza della fanteria e dei bersaglieri (che ho esaminato) = impera il Peeter e il Nessler.
    L’unico tamisier “dubbio” e in un punto di congiunzione fra l’ala sinistra francese e la divisione “granattieri” comandata dal Generale Scozia.(quindi = dato dubbio =quindi inattendibile”.

    Ancora complimenti per l’articolo ….e spero di avere aggiornamenti risolutivi da comunicarti al più presto.

    Gladiumibericum.

  29. La differenza in termini di penetrazione in acciaio dolce e legno di abete tra un proiettile FMJ e un LRN (piombo nudo a punta tonda) è del 20% a svantaggio del LRN.

    I proiettili incamiciati, soprattutto se hanno design spitzer, a causa del bilanciamento spostato in coda tendono a ribaltarsi all’impatto di bersagli spessi (sacchi di sabbia / tronchi di legno) peggiorando così di molto la penetrazione sulle brevi/medie distanze. Il ribaltamento è però necessario nei piccoli calibri per ottenere ferite decorose (ne parlerò in futuro nell’articolo di introduzione all’argomento, dedicato in particolare al 7,62 e al 5,56 NATO) Un trucco usato nei proiettili navali di fine ’800 (o anche in quelli Armor Piercing da fucile) era quello di fare la punta scamiciata, in piombo morbido, così all’impatto si piegava appiattendosi ed evitando che il proiettile scivolasse e si ribaltasse sbattendo di fianco contro la corazza.

    Alla luce di quanto detto sopra Le chiedo: un esercito con armi a monocolpo a retrocarica a polvere infume potrebbe sviluppare l’incamiciatura prima dell’epoca reale, se i nemici fossero esseri più grossi di un uomo, più robusti, con armature o corpi protetti da strati di muscoli e ossa. Pensi ai classici troll del fantasy: enormi bestioni coriacei e incazzosi. Un proiettile incamiciato che si ribalta, o con la punta nuda per espandersi, sarebbe una soluzione logica nell’affrontare tali nemici?

  30. Buon giorno

    Sono un dottore di ricerca in storia moderna, specializzato in storia militare, ho fatto tesi di laurea e di dottorato su Gio. Giacomo de Medici detto il Medeghino (sopratutto sul suo periodo come brigante e Marchese di Musso).
    Posso testimoniare una certa abbondanza di polvere in grani durante la guerra di Musso e altri conflitti nel nord Lombardia degli anni 1520-1530.

    Spesso le ho interpretate come scorte per l’artiglieria, che Gio. Giacomo de Medici impiegava estesamente, ma in alcuni casi (come nell’inventario della fortezza di Domodossola, carente di artiglieria) l’entità delle scorte (e la scarsità del polverino) e la presenza di moschetti, archibugi ed archibugioni mi fa supporre servissero anche per le armi da fuoco manuali.

    Nei documenti riguardanti il Medeghino il moschetto diventa un’arma relativamente comune dopo il 1525 (anche se sempre decisamente minoritaria rispetto all’archibugio, mentre si parla spesso solo di schioppi), ma è segnalata (un’unica volta) poco prima della battaglia di Pavia. Aggiungerei però che alcuni archibugi da posta (o archibugietti da posta, anche in bronzo) parrebbero più simili al moschetto che all’archibugio (riecheggiando il “musket a false invention” di Eltis).

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