Un anno e un giorno fa, il 22 febbraio 2014, è morto Giancarlo Livraghi. Molti potrebbero non riconoscere il nome, e tanti di questi di sicuro riconosceranno quelli di Pippo Inzaghi o di Sasha grey, il che ci dice più di quanto vorremmo sapere sulle priorità culturali in Italia.

Livraghi è stato un grande pubblicitario italiano, un esperto di comunicazione, del ruolo di internet per le aziende e della cultura nata grazie alla web, con all’attivo un centinaio di pubblicazioni. Fu tra i primi, negli anni ’90, a occuparsi del ruolo chiave di internet nel futuro delle imprese e dei cambiamenti culturali che avrebbe portato… ed era nato nel 1927, eh.
Aveva una flessibilità mentale che non hanno molto ventenni. Il suo sito, aggiornato fino a un mese prima della morte, era Gandalf.it (ancora visibile, spero non sparisca troppo presto).

Ciò per cui voglio ricordarlo però non è l’attività di pubblicitario o di esperto di comunicazione, è qualcosa di diverso: un suo libretto che ha fatto parte della mia vita negli ultimi anni. Mi venne consigliato di leggerlo perché apprezzavo gli spunti dati da Cipolla a tema intelligenza e stupidità, le sue famose cinque “leggi fondamentali della stupidità umana” pubblicate nel libello Allegro ma non troppo. Sto parlando naturalmente de Il potere della stupidità, arrivato alla terza edizione aggiornata nel 2008, conosciuto anche fuori dall’Italia grazie alle edizioni in inglese e in spagnolo.

Giancarlo Livraghi nel 2009
Giancarlo Livraghi nel 2009

La stupidità è la più grande forza distruttiva nella storia del genere umano. Non è eliminabile, ma non è invincibile. Capirla e conoscerla è il modo migliore per ridurne gli effetti. Che la stupidità sia un problema grave e pericolosamente diffuso è cosa nota fin dall’antichità. Ma è sorprendente quanto siano scarsi in tutta la storia della cultura umana i tentativi di capire che cosa sia la stupidità e come se ne possano ridurre i perniciosi effetti. Una cosa è chiara: di tutte le possibili forze distruttive nessuna è così insidiosa, pericolosa e onnipresente come la stupidità umana.

Il libro affronta lo studio della stupidità come qualcosa di diverso dallo studio dell’intelligenza. Stupido non è l’opposto di intelligente “in generale”, la stupidità va studiata come qualcosa a parte rispetto all’intelligenza.  La stupidità, nell’approccio pratico di Carlo Cipolla da cui parte Livraghi, riguarda aspetti specifici, senza bisogno di definire in teoria il concetto stesso di stupidità, perché si basa sul risultato:

Una persona stupida è una persona che causa un danno a un’altra persona o gruppo di persone senza realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo un danno

Come notate è escluso chi danneggia (volontariamente) sé causando benefici ad altri: non è necessariamente “stupido”, essendo questo il meccanismo alla base della carità e dei comportamenti positivi per la società in cui chi può e sente di doverlo fare usa i propri mezzi (spendendo denaro, tempo, competenze ecc.) per dare vantaggi ad altri. Non è, insomma, “stupido” l’avvocato che volontariamente fornisce assistenza legale completamente gratuita a un paio di clienti poveri per volta, anche se quel tempo avrebbe potuto usarlo per guadagnare con due clienti a pagamento.

Come diceva Cipolla, la stupidità “è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della stessa persona“. Si può essere un genio della matematica ed essere socialmente stupidi, capaci solo di distruggere il lavoro di squadra e incapaci di mantenere relazioni personali soddisfacenti.
Essendo tutto basato solo sul risultato, non importa quale numerino un cosiddetto test di intelligenza attribuisca al soggetto: se uno secondo un test è molto intelligente, ma poi in pratica è il Re-Mida-alla-Rovescia che dovunque tocca si trasforma in merda, penso concorderete che il risultato pratico conti molto più di un numero conseguito eseguendo giochini (e uno può iniziare a farsi serie domande su cosa abbia di rotto nel cervello uno con un Q.I. di 130 per agire sempre e solo come un imbecille in uno o più ambiti).

Se uno è un individuo con un quoziente intellettivo normale, ma poi quando si tratta di decidere e agire è sempre quello capace di conseguire sempre il massimo beneficio per sé e per gli altri, chi reputereste più intelligente? Quello “geniale” che propone e causa disastri, perché ogni suo ragionamento e scelta si rivelano sbagliate, o quello “normale” che propone e causa successi? Alla fine, prima che nascesse l’idea che l’intelligenza fosse qualcosa di misurabile con dei test (It’s over 9000!!!!), i concetti di intelligenza e (soprattutto) stupidità erano puramente pratici.

Ma sto divagando.

thesimpsons-homersbrainUna delle idee analizzate da Livraghi nel suo libro è il “principio di Peter”.
Questo principio analizza il risultato di ciò che accade, tipicamente, in una organizzazione gerarchica in cui la carriera si fonda su basi meritocratiche. Non parliamo di nepotismo, di carriere fasulle ecc. solo l’uomo che si dimostra competente premiato elevandolo di rango appena possibile, sempre. Il risultato generale di una carriera basata sulla meritocrazia pura quale può essere? Pensateci un attimo.
La risposta ovvia è nel principio di Peter:

In una gerarchia, ogni dipendente tende a salire di grado fino al proprio livello di incompetenza

Esatto.
Se ogni volta che il dipendente si dimostra competente viene premiato con un aumento di grado, alla fine arriverà a coprire il suo ultimo incarico quando non si dimostrerà più competente e quindi non verrà più aumentato di grado. E lì, proprio dove non dovrebbe essere, continuerà la sua carriera, danneggiando così l’efficienza dell’azienda. Bello, eh? Non c’è un modo facile di risolvere il problema, anche se l’esercito tedesco cercò di trovarne uno perché sapeva che non sempre chi ha le doti per fare un lavoro di prestigio inferiore ha poi quelle per farne uno superiore… o viceversa.

Sarebbe brutto se un dipendente competente, che macina successi, venisse scavalcato da uno incompetente (nella precedente posizione) solo perché si sa per certo che questi sarebbe perfetto per un ruolo più elevato mentre si sa ugualmente che quello più competente (nel ruolo che ha ora) farebbe un disastro se promosso. La prospettiva di non poter fare più carriera e di vedersi scavalcare potrebbe bastare ad annientarne la volontà di vincere e a tramutarlo in un incompetente anche nel ruolo in cui si trova ora. Insomma, citando un mio lettore quando si parla dell’editoria italiana: non se ne esce (temo).

L’ideale del metodo di promozione basata sui risultati sarebbe, come si cerca nelle forze armate, di avere ufficiali di mente flessibile (quindi pensarla così: “ha successo perché ha la mentalità per avere successo”) che grazie a questa dote imparano ogni volta a fare bene anche un lavoro nuovo. Per un ufficiale è importante sapere come lavorano gli altri ufficiali sotto di lui, per questo deve fare carriera coprendo i diversi ruoli, senza saltarne. Addirittura nell’esercito tedesco di era obbligati a fare pure l’addestramento come soldati semplici, prima di poter divenire ufficiali, per conoscere ogni aspetto del mondo militare in cui si sarebbe entrati.

Ma neppure l’esercito, famoso perché “non fa le cose nel modo giusto o nel modo sbagliato, le fa nel modo dei militari”, scampa al principio di Peter, ovviamente. Ricordo un generale di Napoleone, Macard, che con la rivoluzione fece una carriera velocissima in cavalleria da trombettiere a generale di brigata, saltando di grado in grado, grazie alla sua mole colossale e al suo coraggio. I suoi successi prima come soldato e poi come ufficiale inferiore erano legati allo sforzo eroico e al coraggio che con l’esempio dava ai suoi uomini, capaci di seguirlo fino all’inferno in una carica a cavallo.

Macard urlava “ora mi vesto come un animale”, si toglieva la giubba e la camicia, rimanendo a petto nudo (pelosissimo), poi caricava urlando insulti verso il nemico che talvolta andava in rotta o ripiegava senza bisogno di combattere. Divenuto un generale, se tenuto lontano da dove poteva agire come un eroe degno dei poemi omerici, non valeva nulla. Aveva il grado da generale, ma poteva servire a qualcosa solo se agiva come un capitano o un maggiore tra i tanti.

E ora un po' di von Moltke il Vecchio, perché un articolo senza von Moltke è come un giorno senza sole.
E ora un po’ di von Moltke il Vecchio, perché un articolo senza von Moltke è come un giorno senza sole.

Questo mi fa venire in mente il modo in cui l’esercito tedesco divideva gli ufficiali stupidi e quelli intelligenti, ben prima di Carlo Cipolla e di Livraghi. Facciamo un salto indietro alla seconda metà del XIX secolo e al feldmaresciallo Helmuth Karl Bernhard Graf von Moltke, per trent’anni capo di stato maggiore dell’esercito (prima prussiano, dal 1857, e poi dell’Impero Tedesco, dopo il 1871).

Von Moltke divideva gli ufficiali in quattro categorie, in base alle combinazioni di due coppie di valori:

  • Intelligente o stupido.
  • Pigro o energico.

Dovreste aver già capito dove si va a parare: è più dannoso uno stupido pigro o uno stupido attivo? L’energica azione degli stupidi è naturalmente ciò che von Moltke temeva. Ecco quali consigliava fossero i ruoli ideali per i quattro tipi di ufficiali:

  • Intelligenti e pigri devono essere Comandanti, perché sanno esattamente cosa è meglio fare ed essendo pigri vogliono farlo con il minimo sforzo possibile, per cui troveranno la soluzione più semplice.
  • Intelligenti ed energici devono essere nello staff dello Stato Maggiore: sanno cosa va fatto e si impegnano al massimo per farlo al meglio, fornendo al Comandante i migliori piani possibili e le migliori analisi che gli permetteranno di decidere.
  • Stupidi e pigri devono essere ufficiali con ruoli di routine: ci sono un sacco di attività che non richiedono ingegno né troppo impegno, che sono alla base del funzionamento di un esercito e che anche quando fatte male (nei casi in cui il pigro abbia lampo improvviso di attività in più) non causeranno danni eccessivi.
  • Stupidi ed energici: devono essere cacciati dalle forze armate, perché col loro continuo volersi impegnare, ed essendo degli imbecilli fatti e finiti, causerebbero un danno dietro l’altro.

Pensieri simili li espresse il barone Kurt von Hammerstein-Equord, che guidò l’Alto Comando tedesco tra 1929 e 1935, e sotto cui venne realizzato e stampato il celebre manuale Truppenführung del 1933-1934. Per esempio in quel manuale per ufficiali scrive:

Io divido i miei ufficiali in quattro gruppi. Ci sono gli intelligenti, i diligenti, gli stupidi e i pigri. Normalmente due di queste caratteristiche sono combinate tra loro nella stessa persona. Alcuni sono intelligenti e diligenti e il loro posto è nello Stato Maggiore. Altri sono stupidi e pigri: questi sono il 90% di ogni esercito e sono indicati per compiere attività di routine. Chi è intelligente e pigro è qualificato per i massimi incarichi di comando, perché possiede la necessaria chiarezza intellettuale e la compostezza per le decisioni più impegnative. Bisogna temere chi è stupido e diligente: non gli deve essere affidata alcuna responsabilità perché causerà solo danni.

Difficile non essere d’accordo, soprattutto su come la pigrizia sia vista in questo caso anche come l’opposto dell’eccessiva rapidità decisionale (pensare bene, senza prendere decisioni precipitose) anche se il problema di fondo è chiaro: se per far carriera bisogna essere Energici e Intelligenti, e non solo Intelligenti, come fa il Comandante ideale, che è addirittura Pigro, ad arrivare fino a quel ruolo? Come detto, neppure la terza via dell’esercito funziona molto bene. :-)

four_types_720Notate che mai si è parlato di malafede. L’agire dello stupido è in buona fede, convintamente sicuro di star facendo il meglio (per sé e magari anche per gli altri) e incapace di notare che sta causando disastri a tutti, cominciando da sé stesso! C’è un principio che ci ricorda questo, si chiama “rasoio di Hanlon”:

Non attribuire mai a malafede quel che si può ragionevolmente spiegare con la stupidità

Pare che il misterioso Robert Hanlon a cui viene attribuito sia semplicemente Robert Heinlein, il grande autore di fantascienza, che venne citato storpiandone il cognome. Infatti Heinlein nel 1941, in Logica dell’Impero, aveva scritto qualcosa di molto simile: “Hai attribuito a malvagità circostanze che si spiegano più semplicemente con l’idiozia”.
Il rasoio di Hanlon è un principio valido per capire e giudicare gli altri, senza farsi ingannare dal proprio desiderio di voler vedere malevolenza in coloro che non approviamo. Se ci pensate, io da anni parlo degli editori criticandone la stupidità come fonte di tutti i loro problemi, non i maligni complotti o chissà quali piani consapevoli di distruzione culturale o che altro. Ma ci torneremo in futuro, forse, sulla malafede.

Questi discorsi su pigri ed energici mi hanno ricordato un episodio di Star Trek.
Credo la serie con Picard. Non sono sicuro. Ricordo solo il discorso di fondo.

Il ponte olografico era uno dei motivi per cui mi sembrava una serie per svantaggiati.
Il ponte olografico era uno dei motivi per cui mi sembrava una serie per svantaggiati.

Si parlava di come il comandante da giovane fosse stato intrepido, addirittura ai limiti dell’incoscienza, e che grazie ad azioni eroiche (e alla fortuna per sopravvivervi!) fece quella grande impressione ai suoi superiori che gli permise di fare carriera fino a comandare l’Enterprise. Però, una volta divenuto un ufficiale di alto rango, nel corso degli anni, divenne sempre più calmo, capace di decidere con attenzione e valutando tutti i rischi. Da molto energico a composto.

Se fosse stato fin da giovane saggio e capace di valutare con cura come era da anziano, non avrebbe mai fatto quella carriera così rapida e sarebbe finito ad avere un grado ben più basso, non il comando dell’Enterprise. Da un ufficiale ci si aspetta che all’inizio sia in un modo e che per dare il meglio cambi col tempo, divenendo diverso in base alle necessità del ruolo. Per niente facile. E infatti avere ottimi alti ufficiali non è facile, come non lo è avere ottimi ministri o ottimi leader in qualsiasi altro campo, anche quando è davvero meritocratico!

Ma stavo divagando. Come al solito.
Torniamo a Livraghi di cui volevo ricordare la morte. Finché saranno disponibili, leggetevi e salvatevi i suoi articoli presenti sul sito, in particolare quelli riguardanti la stupidità (cominciando a leggere dal primo) e procuratevi il suo libro. Se la stupidità è un argomento che vi interessa, non vi deluderà.

4 Replies to “Giancarlo Livraghi, un anno dopo”

  1. Il “Rasoio di Hanlon” viene citato anche nei libri “2010: Odissea due” e “3001: Odissea finale”, per spiegare il malfunzionamento di Hal (gli vengono dati due ordini contraddittori, e da buon computer impazzisce nel tentativo di eseguirli entrambi).

  2. Dove non è riuscito l’esercito tedesco è riuscita l’economia, almeno per il principio di Peter.
    Oggi le grandi aziende lavorano usando consulenti, il consulente (almeno sulla carta) è bravissimo in un ambito specifico e non ha bisogno di essere promosso, al limite la sua tariffa aumenta in maniera vergognosa.
    Con questo sistema puoi avere la gente capace per quel ruolo senza preoccuparsi che, se migliora, verrà spostata a fare altro, mal che vada la pagherai di più.

    Ottima segnalazione, sto divorando il sito di Livraghi!

  3. Articolo da incorniciare!
    Faccio mea culpa per il fatto di non saper chi fosse Livraghi, ma sto decisamente recuperando leggendomi i vari articoli del suo sito. Mi si è aperto un mondo!

    Grazie mille per la dritta!

  4. Oggi un certo Andrea Rapisarda si è iscritto al mio canale su YT e sono capitato su un suo video in cui espone un “test” del principio di Peter tramite un semplice modello matematico. Ovviamente mi sono ricordato del Duca. https://www.youtube.com/watch?v=djXsnJRXd_Q
    Il tipo ha vinto il premio IGnobel per il management nel 2010 proprio grazie a questa ricerca!

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