Nuova pubblicità della Treccani per promuovere la diffusione e l’uso del vocabolario italiano e del dizionario thesaurus dei sinonimi e dei contrari degli antonimi. Suona goffo chiamare il dizionario dei sinonimi e dei contrari con l’ampolloso nome thesaurus dei sinonimi e degli antonimi? Secondo questo spot direi proprio di no, tant’è che scelgono thesaurus (parola che usano anche gli inglesi, così si può essere assieme retrò-puristi e anche esterofili-anglobalbettosi! Yuppi!). Vi lascio al video. ^_^

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Cosa abbiamo in questo video?
Un tizio si presenta a una riunione molto importante. Desumiamo che i suoi anziani capi lo vedono sotto forma di pagliaccio perché non lo rispettano, forse solo per il ritardo o forse in generale perché è un consulente fuffaro. Non possiamo dirlo con chiarezza. Però appena inizia a usare parole poco diffuse, non comuni, che mettono in difficoltà i capi, questi iniziano a prenderlo sul serio. Il ragazzo non sta usando idee di pregio, sta usando solo sinonimi poco diffusi di parole comuni per condire le banalità che dice. Questo è sufficiente a impressionare i tre anziani.

Questo messaggio è in sé distruttivo, devastante.
È tornare indietro di un secolo, a prima delle idee di Popper. Siamo all’opposto del concetto di eleganza, su cui si fonda il pensiero razionale e scientifico. Siamo dentro al campo della fuffologia, per intero: usare parole oscure per confondere e mettere in inferiorità persone mentalmente deboli. Una persona mentalmente debole è in questo caso definita come persona che non ragiona in base ai contenuti dei ragionamenti, ma in base a come le parole usate vengono percepite come “ignote/artistiche” (ed eventualmente i ragionamenti “complessi e impossibili da seguire”, spesso perché pieni di errori logici camuffati) e sentendosi “ignorante” allora automaticamente dà ragione a chi conosce queste parole.

Quindi la scelta ufficiale di Treccani qual è? Dizionario o thesaurus dei sinonimi e dei contrari? Non è che usare sinonimi vale come scusa per l'incoerenza...
Quindi la scelta ufficiale di Treccani qual è? Dizionario (2010) o thesaurus (2016) dei sinonimi e dei contrari?

Il problema è che i soggetti che si fanno abbindolare dai paroloni sono tantissimi, proprio per questo la retorica dell’oscurità, promossa da Treccani, rimane una scelta demagogica sicura e facile, un caos goffo di finta raffinatezza che un individuo avvezzo può improvvisare con la facilità di una supercazzola (io so farli, ma evito). Risulta superiore nel fregare le persone rispetto alla retorica della chiarezza, che invece richiede profondità di pensiero, eleganza espressiva e rispetto dell’interlocutore. Rispetto, non demagogia. Sull’argomento vi consiglio Elogio dell’oscurità e della chiarezza di  Massimo Baldini.

Verrebbe da dire: bene, quindi la Treccani sta aggredendo la stupidità dei tre anziani? No. Non esattamente. Un individuo raziocinante vede anche questo, ma il messaggio della Treccani è molto diverso: promuove e giustifica le supercazzole, le parole oscure, senza accusare questi individui che se le aspettano. Succede anche nell’altra pubblicità, quella col bamboccio. Loro non diventano clown o bambocci, è solo il clown o il bamboccio a divenire un signore in giacca e cravatta che quest’ultimi vedono come un proprio pari “adulto”. Chiaro?

Eppure io credevo che le parole fossero importanti. Le parole giuste, usate bene, non per moda o per abbellire frasi vuote. Chi lo fa merita il trattamento Nanni Moretti:

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La giusta composizione di un video che promuova il pensiero razionale, la chiarezza e semplicità espressiva nel comunicare concetti oscuri e complessi (come fanno i grandi divulgatori scientifici), dovrebbe essere grossomodo al contrario. Qualcosa, scusate il ribaltamento molto rudimentale, così:

Finita qui?
No. Il top del trash L’apice dello schifo lo avevano raggiunto, secondo me, con il video in cui il ragazzo che sa usare il computer viene raffigurato come un perditempo che usa termini specialistici per mettere in imbarazzo e soggezione mentale il ragazzo che non sa usare un computer. Il messaggio passato è chiaro: la vera cultura, il vero studio, si fa sul libro di carta e non online, perché i computer li usano quelli che cazzeggiano tra facebook, blog e altre boiate.

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Ma… com’è che ora usare termini specialistici e ignoti all’altro soggetto, per porlo in inferiorità, qui è giustamente visto come un difetto della comunicazione che porta al fastidio e al rigetto (rifiuto dell’uso del computer, nonostante inizialmente volesse sinceramente imparare a usarlo), mentre nei due nuovi video è diventato un pregio e un modello da imitare per essere individui rispettati e di successo?

E come mai nel primo video il tizio che usa paroloni ricercati ha un portatile, mentre i tre vecchi che vengono fregati dal suo chiacchiericcio rimangono ammirati dalla sua magniloquenza hanno davanti a sé solo fogli di carta, ovvero gli autentici portatori dell’unica possibile conoscenza? Mah.

Cara Treccani, invece di cercare sinonimi per nascondere la pochezza delle tue idee, chiarisci il tuo pensiero: nessuna parola antica e raffinata può salvare un’idea contraddittoria e confusa dal giusto dileggio di chi usa il cervello per ragionare. Non siamo pochi come speri tu. :-)

10 Replies to “Treccani: chi è il vero pagliaccio?”

  1. L’elogio della supercazzola! Grazie Treccani, il Mascetti ne sarebbe fiero ^___^

    E comunque mi traumatizza sempre molto leggere ancora nel 2016 discussioni sul digitale vs carta.

  2. È giusto e bello, imparare il significato di parole complesse e magari, anche antiquate – significa poter capire testi antichi o avere la possibilità di simulare quei registri quando serve, tanto per dire.
    Però, poi devi anche usare le parole a proposito, nel giusto contesto logico e sociale: il primo spot lo vedrei bene parodiato col tizio che usa quelle parole col figlio di cinque anni, che vede il padre trasformarsi sempre più in un pagliaccio, a ogni frase :P

    Per far funzionare quello spot, non avrebbero dovuto scegliere parole a caso che non userebbe nemmeno un accademico della Crusca, ma termini un po’ più pertinenti per la riunione – e non lo dico per celia :P

  3. Io avrei messo un tizio che vuole unirsi a un gruppo nuovo e che usava “a me mi” nel modo indicato come corretto dalla Crusca. Il gruppo a cui vuole unirsi è formato dia intellettualoidi, i cui sensi di grammarnazi vibrano al sentirlo, e prendono a ghignare e a trattarlo come un povero deficiente. Lui capisce a fine serata che non potrà integrarsi in quel gruppo.

    Messaggio da far passare: chi si preoccupa tanto di parole e grammatica spesso è il primo a non saperne nulla, per cui non imparare la lingua italiana per davvero se non vuoi correre rischio con gli intellettuardati. ^_^

    Secondo messaggio da far passare per finale alternativo: il tizio, dopo il primo messaggio, passa accanto all’auto di uno degli intellettuardati e riga la fiancata da un estremo all’altro, e la voce fuori campo dice “E se sei un grammarnazi, impara a farti i cazzi tuoi.”

  4. Entrambi i video sono pensati malissimo.
    Il video “Il king dei nerd” è imbarazzante. Il ragazzo che sa usare il computer usa termini specialistici ma fino a un certo punto, alla fine si limita a un paio di parole che sono ormai nel linguaggio comune (mouse, click, mail, blog, photoshoppare) e a un mucchio di parole inglesi italianizzate (scrollare, postare, skillato). Il quindicenne medio non avrebbe problemi a seguire il suo discorso. L’altro ragazzo che nel 2016 non capisce cosa significhi “doppioclick con il destro” o cosa sia un mouse è anacronistico. L’idea stessa che non sappia come fare una ricerca su internet è cretina. Appare ridicolo e basta, fuori dal mondo, come la sua grandiosa idea di sostituire la ricerca su internet con l’enciclopedia.

  5. Appare ridicolo e basta, fuori dal mondo, come la sua grandiosa idea di sostituire la ricerca su internet con l’enciclopedia.

    Anche qui possiamo allora invertire il messaggio e dire che ciò che veramente esce fuori è: solo individui fuori dal mondo si sognerebbero di usare sempre e solo un’enciclopedia cartacea al posto di internet. ^^

  6. Però, poi devi anche usare le parole a proposito, nel giusto contesto logico e sociale

    Il che rappresenta esattamente il punto dei linguaggi specialistici, dove la proprietà linguistica garantisce la precisione nella comunicazione di settore evitando fraintendimenti e approssimazioni. Il problema, come osservato nell’articolo, emerge quando il linguaggio viene impiegato quale strumento per la evidenziare la presunta superiorità di chi lo adopera e sminuire l’interlocutore non appartenente alla cerchia degli ‘iniziati’, tradendo la propria finalità di trasferire efficacemente ad altri concetti e idee.

    Un’arroganza e una ristrettezza di vedute che, per esperienza diretta, noto abitualmente in ambito giuridico, dove oltre ad abusare della lingua italiana si fa violenza anche a quella latina. L’uso di brocardi latini nel settore serve da secoli a sintetizzare con formule brevi e facilmente memorizzabili concetti giuridici ancora validi senza ricorrere a perifrasi o a puntuali riferimenti normativi, ma non è rado trovare atti giudiziari che ne sono talmente (e in maniera del tutto pleonast…ehm superflua) infarciti da sembrare più simili ad una versione di Cicerone dei tempi del liceo.
    Anni fa un avvocato, in una comparsa difensiva, ironizzò sull’abuso del latinorum da parte del legale di controparte, scrivendo che “l’intecalare di espessioni in italiano con frasi latine era considerato comportamente tipico dei pastori di campagna e degli avvocati di provincia” (nonchè del manzoniano Azzeccagarbugli).
    L’esimio latinista si dimostrò piuttosto permaloso nell’essere equiparato a un pecoraio e pensò bene di ricorrere disciplinarmente al proprio Ordine. Alla fine la vicenda finì avanti al Consiglio Nazionale Forense che, dimostratosi una volta tanto lungimirante, ‘assolse’ l’autore del giudizio incriminato ritenendolo una legittima critica priva di cattive intenzioni (CNF, pronuncia n. 15 del 2 luglio 2001).

    Comunque sia la degna conclusione dello spot sarebbe dovuta essere questa, con la replica del vecchio barbuto:

    “Il suo asserto pare dapprincipio dotato di un fondamento assiologico legittimo, cionondimeno la grandiloquente scelta lessicale operata rende epifanica la pressochè totale vacuità logico-sistematica di quanto da lei dianzi proferito, appalesandola così alle nostre fosche pupille quale grottesco tristanzuolo”
    “Prego?”
    “Traduco: lei è un povero coglione e ha tentato di intortarci con un mare di fregnacce.
    Inizi pure a svuotare i cassetti della scrivania. Buonasera signori”

    [esce fischiettando “Vesti la giubba” mentre il tizio giovane si ritrova di nuovo vestito da pagliaccio]

  7. @Smilla

    Il quindicenne medio non avrebbe problemi a seguire il suo discorso. L’altro ragazzo che nel 2016 non capisce cosa significhi “doppioclick con il destro” o cosa sia un mouse è anacronistico. L’idea stessa che non sappia come fare una ricerca su internet è cretina.

    Sono quelli che Betty Moore definiva “vecchiettismi”, ma paro paro, la

    nitida comprensione del cuore giovinetto che potrebbe esibire un vecchiettino centenario allergico ai fili elettrici e al motore a scoppio

    Betty si riferiva al premio Nobel in divenire che è Federico Moccia, nella sua recensione di “Amore 14”:

    Ma l’ignoranza e l’inettitudine di Federico Moccia si fanno particolarmente sensibili là dove la tredicenne scemina e bburinetta esprime le sue opinioni su alcuni oggetti di ultima generazione o quasi,

    La cosa assurda è che ormai con questi telefonini si fa tutto. Cioè, prima servivano solo per comunicare. Ora sono degli iPod, delle telecamerine, dei computer per andare su internet e chissà quante altre cose che sinceramente io non so fare

    Non c’è più alcuno straccio di mimesi, qui sopra, non è la voce del tredicenne idiotino medio (non sa cazzeggiare col cellulare? tzè!) ma quella del cinquantenne idiotino medio imbottito di luoghi comuni, che predica paternalisticamente la sua ottusa e retrograda impermeabilità tecnologica. Di questo genere di pensierini ammuffiti (che ricercano quasi tutti un qualche effettino pseudo-moraleggiante), potete immaginarvelo, è strapieno tutto il libro, così gli ho dato un nome, li ho chiamati Vecchiettismi.

    Anche l’impermeabilità al senso del ridicolo è la stessa; da cui deriva: Treccani Moccia;

  8. Ti presenti a un colloquio con “esiziale” e “pernicioso” e l’unica risposta che puoi ottenere è “Ma che cazzo stai a ddì? Ma li mortacci tua aò, mo vattenaffanculo che qua dovemo lavorà”.
    In tutta onestà non riesco a capire chi sia peggio.

    Quella pubblicità è sbagliata due volte, però non è colpa sua, le buone intenzioni ci sono.

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