Categories: Editoria ed eBook

Come gli editori vi vorrebbero (e un futuro poco roseo)

Oggi un breve video sul lettore ideale che gli editori attuali, ovvero gruppi di economisti che pubblicano in base alle indicazioni del marketing, vorrebbero. Indicazioni del marketing che comunque sono sbagliate a priori (poco o molto, dipende) perché sono basate sul passato, che non è il presente e non è il futuro, e perché è un passato saturo di bias collegato alla scelta limitata che influenza i lettori nelle loro decisioni… o che li porta a smettere di leggere.

Se i lettori non leggono qualcosa perché quel qualcosa non viene venduto nelle librerie, per chi fa i conti bovinamente nelle Case Editrici (o in modo simile nel mondo dei grandi produttori di videogiochi) quelli sono zero lettori possibili, anche quando potrebbero essere tanto uno quanto centomila. E infatti l’hobby preferito degli editori è far rischiare gli altri e poi copiare se le cose vanno bene. Aspettare che qualcuno “rischi” con Twilight (o Harry Potter) e poi lanciarsi a imitarlo se i dati di vendita dicono che sta andando bene.

Quando gli editori USA smetteranno di avere un minimo di idee originali (per quanto becere e commerciali in senso negativo), i nostri non sapranno più da chi copiare. Da noi ci fu pure il fenomeno del Fantatrash, con il suo apice nel 2008-2010, quando gli editori si accorsero del successo consolidato di Licia Troisi e iniziarono con notevole ritardo a inseguirla, pubblicando spazzatura random. Ricordate il Baby Boom, autori minorenni come se piovesse e la corsa a chi avesse l’autore più giovane? Patetici.

Questo mix a partire dal video in cui Matteo Montesi faceva merenda (con la confenzioncina di nutella) mi è sembrato perfetto per rappresentare il pubblico ideale. Gli editori vi vogliono così di fronte alla nuova moda/personaggio editoriale con cui intenderanno riempire programmi televisivi, giornali e piazzare pile di volumi sul pavimento delle librerie:

Fonte: http://www.youtube.com/watch?v=vRQ6Ao8cvIk

Ora qualche parola in più.
Questo articolo è una rielaborazione di un commento lasciato su sudareinchiostro.it quasi tre mesi fa. Ho deciso di ripubblicarlo qui perché penso che possa interessare i miei lettori tipici e perché non ho tempo per rielaborare quei concetti in articoli diversi.

Ora un po’ di background su quel commento.
Riguardo le prospettive dell’editing per gli autopubblicati avevo scritto:

Nel 2013-2014 forse il mercato sarà cambiato abbastanza da rendere necessario agli autori l’editing per sistemare romanzi di qualità inadeguata ed evitare così danni di immagine (l’autore mette a rischio il proprio “marchio” proprio come un editore che pubblica schifezze).

Nel 2015 spero che il settore sia a regime e che la qualità venga premiata abbastanza da far avvicinare all’editing anche quegli autori che ragionano in termini di investimento sul singolo libro, come fanno ora gli editori (sbagliando), invece che di miglioramento professionale (addestramento) da reinvestire nei decenni successivi spalmandolo su molte opere.

In risposta Mattia, l’admin del sito, mi aveva chiesto:

Speriamo davvero che bastino 3-4 anni perché la qualità venga premiata (e lo schifo punito, in termini economici). Mi viene da chiedermi: questo processo positivo riguarderà solo il digitale o si diffonderà al cartaceo (in tempi ragionevoli)? Le case editrici si adegueranno al modello virtuoso o continueranno a investire sulla pubblicità anziché sulla cura del testo?

Ecco la mia risposta, rielaborata e arricchita.

Secondo me le grandi case editrici, quelle che possono quindi puntare in un modo o nell’altro a “spingere” prodotti (modello push classico), non miglioreranno.

Il primo motivo è che non vogliono farlo. E non gli interessa farlo.
Come già faceva notare mezzo secolo fa l’autore di fantascienza e critico Damon Knight, gli editori non vogliono un pubblico educato ed istruito, capace di discernere i prodotti di qualità da quelli schifosi.

Ribadisco, questo libro non sarebbe così male se si togliesse la space-opera; ma Signet [l’editore] sembra pensare che invece proprio la space-opera renda il volume degno di essere comprato: titolo, copertina e blurb supportano questa convinzione.
Quello che temo è che Signet abbia ragione. Questo genere di idiozia senza senso potrebbe essere ben adatta per il livello mentale di un lettore per il quale “spazio”, “pianeti”, o “galassie” sono parole senza un significato preciso, che semplicemente comunicano un vago senso di “là fuori”. Se è così – se esiste un vasto pubblico di lettori di fantascienza poco sofisticati (e poco educati in materia) pronto a essere imboccato – allora possiamo aspettarci un fiorire di autori come Vernon… in mezzo ai quali, tra un vent’anni, potrebbe emergere una piccola schiera di scrittori di fantascienza decenti, che si domanderanno perché le loro opere non vendono.
Che incubo! Grazie al cielo non ci ho creduto neanche per un momento!

(Traduzione presa da Gamberi Fantasy, dove si può leggere il brano originale)

Gli editori non vogliono un pubblico di forti lettori informati perché è un pubblico esigente. Vogliono un pubblico più affidabile, più prevedibile, il tipo di pubblico che legge POCO e lo fa in base alla moda del momento e che non è in grado, perché ha pochissime letture alle spalle, di distinguere “attivamente” un testo bruttino da uno bello.
Al massimo questo tipo di pubblico distinguerà i testi oscenamente brutti da quelli decenti, ma pure qui gli editori stanno tirando sempre più la corda per vedere quanto può essere orrendo un testo prima che il pubblico se ne lamenti… Unika, Amon, Il Re Nero… un’editoria che lavora ragionando sul minimo termine, non sulla qualità.
Vomitevole.

Emergenza Rifiuti: dalle Strade alle Librerie.
Un ringraziamento a tutti gli scrittori che lo hanno reso possibile!

Un pubblico privo di capacità critica e di gusti individuali sviluppati tramite moltissime letture (che appunto non ha fatto) è un pubblico ideale per l’editore-bandito perché il suo comportamento è “prevedibile” da esperti di marketing che non sanno NULLA di narrativa. Prevedibile nei limiti del possibile: come già detto all’inizio dell’articolo, il bias è talmente grande da distruggere le previsioni che siano più raffinate di “un paranormal romance coi vampiri potrebbe vendere bene”.

Né la qualità della scrittura né l’originalità delle opere sono rilevanti per valutare la vendibilità di un prodotto alla moda che va solo spinto in bocca ai lettori (strategia push) con articoli sui giornali, forme di pubblicità di scambio “gratuita” o pile di libri nei negozi. Gli addetti al marketing possono fare il loro lavoro senza problemi (se dovessero servire competenze da Editor per farlo, non potrebbero lavorare!).

Gli editori non vogliono un pubblico esigente, perché un pubblico esigente li costringerebbe a dover lavorare molto di più e con molte meno certezze di successo. In cambio ci sarebbe una crescita della lettura in generale e dei forti lettori in particolare, quindi un mercato più ricco e ampio sul medio e lungo periodo con però costi maggiori sul breve periodo. Tutta la fatica subito senza nessun vantaggio immediato: e il vantaggio immediato è alla base del capitalismo predatorio degli ultimi anni, ossessionato dalle quotazioni in Borsa e dai guadagni mese per mese.

Un pubblico esigente li giudicherebbe. Sarebbe come andare a fare l’idraulico malfattore in casa di un altro idraulico che lo smaschera e poi lo sputtana in pubblico. Meglio fare l’idraulico che si inventa i guasti per incassare 500 euro in casa di uno sprovveduto, no?

“Il capolavoro della regina del fantasy italiano.”
“Il mondo conoscerà un nuovo livello di crudeltà.”
“Potente come un romanzo di Gaiman e inquietante come il Barker più efferato.”
“Ma prima di ‘sto ragazzo chi s’era inventato il trasloco dentro carne e ossa del dirimpettaio?”
“Un mondo fantasy che si distaccava tantissimo da tutto il fantasy che avevo letto finora.”

I ciarlatani del XIX secolo erano dei gran signori rispetto ai loro colleghi attuali dell’editoria.

Dopo 50 anni possiamo notare che le cose sono andate sempre di più in quella direzione schifosa che Damon Knight aveva denunciato. Nessuna novità in quest’ambito.

Finché vi saranno negozi, fisici o digitali, in cui il grande editore potrà comprare un posto in “vetrina” e quel posto sarà fondamentale per vendere bene, questo meccanismo perverso continuerà a funzionare.
L’intera esperienza di acquisto online va ripensata per essere interamente basata sulla ricerca tramite keywords da parte dei lettori, per educarli e abituarli a cercare in base all’argomento di interesse (e nel caso anche ai generi e sottogeneri) senza farsi imboccare con le ultime uscite e i libri dei personaggi famosi. Imparare a leggere in base agli argomenti che interessano DAVVERO, non in base alle novità editoriali. Imparare a scegliere secondo i propri gusti (e scoprire quali sono i propri gusti!), non a subire solo le scelte del marketing

Esempio: Steampunk + Marte + “Fantascienza Militare”
La prima e la terza key rimandano sia ai tag dell’eBook che a categorie di genere/sottogenere, mentre la seconda riguarda solo i tag caratteristici legati al contenuto.

Il modello push del cartaceo, in cui si crea un sottoinsieme di prodotti e si costringe il lettore a comprare solo tra quelli o a non comprare nulla, va affiancato a un modello pull digitale in cui tutti i prodotti possibili sono presenti (i libri non spariscono dopo pochi mesi se vendono poco) e il lettore è invogliato a CERCARE ATTIVAMENTE ciò che desidera invece di limitarsi a COMPRARE PASSIVAMENTE ciò che gli editori i quel momento vogliono che compri.
I lettori deboli continueranno a basarsi sul push (pubblicità, classifiche, moda), anche perché non hanno idea di cosa leggere, mentre i lettori meno sprovveduti potranno usufruire del pull.

L’ideale sarebbe evocare in ordine casuale i risultati delle ricerche, dando poi l’opzione al cliente di riordinarli per data di pubblicazione (dalla più vecchia oppure dalla più giovane), utile per scoprire le novità. Perché prima i risultati dovrebbero essere random? Perché se di base si mostrassero i più recenti, allora certi furbetti continuerebbero ogni mese a togliere e rimettere le loro opere, giustificando la cosa con una nuova versione corretta (prova che non lo è, ah!), per risalire in cima alla selezione.
E se servisse un nuovo ISBN per farlo, beh, pensate che quei 2-3 euro di costo fermerebbero qualcuno convinto di poter vendere di più così, moltiplicando gli eBook (pressoché identici) e gli ISBN?

Le classifiche di vendita fanno più male che bene: sono semplicemente le vecchie vetrine e i vecchi scaffali fisici, in quanto i posti sono limitati, trasposti nel digitale. Una nuova economia digitale che ricostruisca i vecchi problemi fisici di rigidità e predominanza della strategia “push” sarebbe l’apice del fallimento concettuale della rivoluzione dell’eBook che sta, principalmente, nel cambiare la mentalità del cliente da PASSIVO (push) ad ATTIVO (pull), ovvero capire che ha diritto di “desiderare” qualcosa di diverso e che può cercarlo, se sa cosa cercare.

Qui Gamberetta esprime la mia stessa posizione, comune a chiunque sappia usare internet (tipo, uh, cercando spesso su Google per trovare informazioni curiose invece di usare solo Facebook, Youtube e la posta), e che è la base della rivoluzione digitale degli eBook che altrimenti si ridurrebbe a un semplice cambio di supporto e non sarebbe una vera rivoluzione:

Prima di tutto un lettore deve meditare sui propri gusti. Spesso la gente dice: “Ah, a me non interessa il genere di un romanzo o chi lo ha scritto, mi interessa solo se è bello!” Questo è un problema, perché “un libro bello” non è il tipo di dato che puoi cercare con Google, con Amazon o con emule. Però la mia esperienza personale è che quando si approfondisce non è vero che sul serio la persona legge di tutto basta che sia bello. La persona ha delle preferenze di argomento, di (sotto)generi, di periodo storico.
C’è chi adora le storie di invasione aliena e chi adora gli scrittori ungheresi del settecento. E questi dati SONO ricercabili.
[…]
Spesso questa ricerca è sufficiente: se l’argomento interessa, se un libro è dedicato proprio al feticcio che ci eccita, lo leggeremo volentieri, anche se lo stile non sarà granché.
Se si vuole ulteriormente scremare, bisogna un po’ imparare le tecniche narrative, in modo da riconoscere al volo chi sa scrivere e chi no.
Il criterio delle tre pagine (e tantissime volte bastano tre paragrafi) è un criterio valido. Sono rarissimi i casi in cui uno scrittore comincia scrivendo come un mongoloide fuggito dalle fogne e poi d’improvviso a metà romanzo diventa un novello Dante. Perciò sapendo cosa guardare ci vuole un attimo a selezionare la pila dei PDF e tenere da parte solo quelli che si avvicinano ai nostri gusti e sono scritti in modo decente.

(Intervista pubblicata su Lega Nerd)

Il problema non è che siano di legno o di plastica, il problema degli scaffali e del mondo dei libri in alberi morti è che lo spazio espositivo è molto limitato e di conseguenza la scelta è limitata e la vita delle opere, se non vendono bene, molto breve.

Tornando al discorso iniziale.
C’è un secondo motivo per cui gli editori attuali non cambieranno: è perché non potrebbero, neanche se lo volessero.

Se gli editori ormai sono economisti a cui dei libri non frega nulla e i loro editor sono una manica di inetti, CHI dovrebbe avere le competenze per selezionare altri editor?
Se non si è in grado di fare l’editor allora non si può nemmeno valutare il lavoro di un altro editor perché non si sa cosa aspettarsi e come giudicarlo. Basta vedere quanto spesso gli editor professionisti sbattono gli occhiucci per lo stupore di fronte a concetti come Show, Don’t Tell (metà ‘800) e che lodano come scrittura sperimentale l’utilizzo del filtro con penetrazione profonda sul personaggio (noto già a fine ‘800 e divenuto una normale realtà studiata dagli esperti, ad esempio da Wayne Booth, negli anni ’50).

L’editore e i suoi editor incompetenti non sanno come preparare un esame di valutazione, dando un testo di un certo tipo (ovvero con errori tecnici oggettivi, ma possibilmente del tipo che favorisca più soluzioni diverse da suggerire per vedere quanto si spreme il cervello l’editor, non semplici pezzi da cancellare con un segno rosso) e dando indicazioni specifiche su come lo si vuole analizzato (ovvero: Narrativa Immersiva oppure Literary Fiction oppure Comico ecc…).

È un problema simile a quello che rende quasi impossibile per loro valutare i manoscritti per cui, presi dallo sconforto (e dalla mole di testi arrivati), nemmeno ci provano più e pubblicano l’amico del fratello del giornalista che dopo ti deve una recensione sul giornale o altri scambi di amicizie.
O, facendo nomi, la fidanzata e l’amico di gioventù di Pierdomenico Baccalario: Elena P. Melodia e Marco Menozzi, che hanno pubblicato porcate indegne offensive per la loro dignità (se ne hanno) e per quella di Baccalario (che ne ha, ma sembra che non gliene freghi nulla).
Gli editor sono ignoranti, non hanno idea di come lavorare e (giustamente) non vogliono perdere decine di ore per leggere spazzatura che tanto non saprebbero valutare (perché se sapessero farlo saprebbero anche buttarne il 90% e più alla prima pagina, senza dover perdere tempo a leggerne capitoli e capitoli, e invece di venti ore ne impiegherebbero una sola a scremare la pila degli ultimi arrivi), per cui “merda per merda” fanno un favore a un amico.

“Dottore, un nuovo manoscritto appena arrivato!”
“Me lo dii, me lo dii, me lo facci leggere: potrebbe essere il nuovo Harry Potter!”
[Un’ora dopo]
“Com’era, dottò?”
“Quel tuo cugino cieco scrive ancora fantasy?”

Un tempo (e ancora oggi) noi italiani ci rivolgevamo al mercato americano, perché da loro una certa tradizione di editing c’era e, considerando anche la massa maggiore di autori, i titoli belli o almeno decenti si trovavano. Beh, ci sono pessime notizie: quella tradizione sta morendo.

Come mai? Semplice. Il mestiere di editor, che non ha lauree o qualifiche col “pezzo di carta” ma solo l’abilità dimostrata e dimostrabile, era tradizionalmente considerato nel mondo anglosassone un mestiere da gentiluomini fatto più per l’Onore che l’editore doveva difendere che non per motivi di utilità al fine delle vendite. Come già detto, il pubblico di massa raramente può distinguere un testo bruttino da uno molto bello: se l’argomento è interessante se li godrà entrambi e probabilmente li consiglierà entrambi. L’editing è quindi una questione di prestigio che, in un’ottica di capitalismo predatorio senza alcun concetto d’Onore, non ha motivo di esistere: quasi sicuramente i 1000-2000 euro di editing non porteranno 1000-2000+ euro di guadagni ulteriori (soprattutto non nella breve vita -prima di sparire dalle librerie- dei normali romanzi cartacei).

Che la spazzatura vendesse benissimo lo hanno sempre saputo, solo che un tempo gli editori erano persone rispettabili e avevano di conseguenza Senso dell’Onore, mentre ora sono consigli amministrativi che se potessero vendere eroina invece di libri lo farebbero ben volentieri. D’altronde, pensateci, i grandi editori non si vergognano di tenere magazzini zeppi di libri da macerare senza dare il permesso di farli macerare, inclusi libri scolastici obsoleti da tempo (ho un amico che si occupa proprio di scolastica e ne è zeppo), per avere grossi stock che tengano alto il loro valore in borsa… soliti ragionamenti da economisti truffatori: libri senza valore, da macero, tenuti immobili e spacciati per merce che valga qualcosa.
D’altronde stanno ormai risparmiando perfino sulla correzione delle bozze: i testi sono zeppi di refusi che fino a pochi decenni fa avrebbero riempito di vergogna gli editori!

Quando si toglie la “faccia” del singolo Editore che si sente uomo di cultura e si mette al suo posto un anonimo gruppo di economisti riuniti attorno a un tavolo, e pronti a cambiare settore o azienda in qualsiasi momento se arrivasse una buona offerta, scompare in fretta qualsiasi parvenza di senso dell’onore, come è ovvio. Non c’è lungo periodo, non c’è una missione di miglioramento e di contributo alla società: c’è solo il guadagno ora e sperare che il crollo arrivi quando si otterrà un incarico ancora più prestigioso e il danno dovrà subirlo il proprio successore.

Nonostante tutto le cose andarono bene fino agli anni ’70-’80. Notate che proprio negli anni ’80 comincia ad emergere sempre più il modello attuale, grazie alla spinta intellettuale di premi Nobel dell’economia come Friedman e dei loro seguaci, secondo cui le aziende devono pensare solo al proprio profitto, fregandosene del bene pubblico, mentre prima le aziende (secondo la tradizione ottocentesca) si ritenevano parte della nazione (che non vuol dire “campare di aiuti di stato”, ma significa “non pugnalare alle spalle i tuoi concittadini”) e pensavano di dover agire nell’interesse sia proprio che del bene pubblico, bilanciando le due cose.
Il concetto del ruolo sociale dell’azienda col tempo (la Krupp già nell’800) si estese anche al benessere del singolo lavoratore, visto come uomo da rispettare in quanto uomo e non solo come fornitore disumanizzato di forza lavoro (e ora pensate al precariato attuale…).
Pensate all’Olivetti che, quando era all’apice della sua forza, spendeva soldi per migliorare la condizione dei propri lavoratori:

[…] di fronte al golfo più singolare del mondo, questa fabbrica si è elevata, nell’idea dell’architetto, in rispetto della bellezza dei luoghi e affinché la bellezza fosse di conforto nel lavoro di ogni giorno. La fabbrica fu quindi concepita alla misura dell’uomo, perché questi trovasse nel suo ordinato posto di lavoro uno strumento di riscatto e non un congegno di sofferenza.

(Adriano Olivetti, inaugurazione dello stabilimento di Pozzuoli, 1955)

Torniamo all’editing.
A partire dagli anni ’90, ma le avvisaglie c’erano già state negli anni ’80 con le prime lamentele degli esperti sul degrado qualitativo delle pubblicazioni, gli editori iniziarono a esternalizzare il lavoro di editing.
Ah-ah. In pratica i loro vecchi editor, competenti e qualificati, vennero cacciati o se ne andarono da soli, perché talvolta più conveniente, e si misero in proprio. Per un po’ di anni il problema non fu grave, in fondo loro erano sempre lì a lavorare. Anche se dovevano lavorare sempre peggio per colpa dell’editoria più frenetica e demenziale: un testo “brutto” commissionato a un autore noto per seguire una certa moda difficilmente diventerà più che “bruttino” nonostante tutto l’impegno dell’editor nel poco tempo concesso dall’editore.
Ora però pesa sempre di più il problema del cambio generazionale: un tempo gli editor esperti educavano i loro successori e i futuri colleghi dentro la casa editrice… e ora che sono esterni non educano più nessuno.

E questa grandiosa scelta di abbandonare la qualità e limitarsi a usare il proprio peso per invadere le librerie, venne presa poco prima che arrivassero gli eBook! Bisogna essere fessi a ridurre il proprio ruolo di Editore a mero stampatore e imbottitore di librerie proprio quando la carta e le librerie fisiche stanno per diventare non più essenziali.
Ma lo hanno fatto.
E ora frignano.
Cavoli loro.

Cavoli. E sono tutti per gli editori! Yum-yum!

La formazione del personale, che trasforma un giovane apprendista ingenuo in un editor esperto (non dico molto bravo, ma quantomeno decente), non avviene più a meno che un novello editor non la faccia da solo, in anni e anni di studio (ma quanti sono disposti a farlo?). E poi se nella casa editrice non hai un editor esperto, come fai a capire a chi affidarti? Solo chi ha competenze può giudicare le competenze. Appunto.
Magari ci sono tanti editor qualificati fuori dalle case editrici, senza un lavoro, e finiranno per cambiare settore e dire addio all’editoria. Questo è il mondo che è stato creato APPOSTA dagli editori, visto che avendo agito conoscendo le conseguenze allora hanno SCELTO le conseguenze.

E non dite che non le hanno scelte, perché è da bambini ragionare così. È il bambino che agisce pensando “ora faccio questo” e poi si stupisce della conseguenza. L’adulto è tale, se vuole essere davvero un adulto e non un bambino invecchiato, in virtù del prendere decisioni NON in base al ragionamento “faccio questo”, ma in base a “desidero questa conseguenza e quindi scelgo l’azione che la genera”.
Non si fa qualcosa per farla, la si fa per la conseguenza desiderata.

Poi ci si può sbagliare, ma è il ragionamento alla base che conta. Nell’Ottocento, ma in realtà fino a pochi decenni fa, l’uomo era tale in quanto dotato di manliness e questa mascolinità era principalmente la capacità di agire domandandosi che effetto l’azione avrebbe avuto sugli altri. L’uomo come individuo responsabile in una società di individui responsabili. Vedere anche il famoso The Art of Manliness.

Per esempio, il cellulare è acceso al cinema e arriva una chiamata: l’adulto vero pensa “Voglio rispondere, ma la mia azione disturberà gli altri che hanno diritto a godersi il film in pace. Devo rinunciare a rispondere o uscire dalla sala per farlo”; l’adulto bambino invece pensa “oh, una chiamata! Rispondiamo!” e poi passa 30 minuti chiacchierando ad alta voce nel cellulare, come se fosse in strada o a casa propria, senza domandarsi che impatto avrà sugli altri spettatori (che hanno pagato il diritto di godersi il film in pace) la sua azione egoista. Non è semplice maleducazione: è la completa incapacità di concepire che il proprio agire abbia un effetto sugli altri, per cui non si riflette mai prima di agire.

Nel caso dell’editoria, tutto questo era prevedibile facilmente. Non c’è la scusante dell’errore in buona fede.
Se non le volevano, non dovevano scegliere queste conseguenze. Ma se uno agisce contro la propria volontà, cambiamo argomento dall’editoria alla psichiatria.

Tra pochi anni (10, 20?) potrebbe non esserci più una cultura dell’editing.
Se non cambierà qualcosa, se il mercato degli eBook non diventerà qualcosa di diverso dalla becera trasposizione nel digitale dell’editoria cartacea e dei suoi meccanismi demenziali fatti di pubblicità, cricche e amichetti, tutti intenti a tosare un pubblico concepito da loro come un gregge di pecoroni, ci troveremo con editori bene intenzionati che non sapranno come trovare il personale qualificato che vogliono. Se l’eBook non porterà grandi modifiche al modo in cui il pubblico sceglie cosa leggere (o perlomeno la nicchia dei forti lettori), rischiamo che il “romanzo”, prodotto culturale piuttosto recente, attraversi un’epoca buia di degrado, un vero medioevo in senso negativo, o si estingua.
Il processo, come detto, è in corso.

Ricordate la profezia di Damon Knight di 50 anni fa, a cui lui stesso non voleva credere:

una piccola schiera di scrittori di fantascienza decenti, che si domanderanno perché le loro opere non vendono.

Sostituite “fantascienza” con qualsiasi altro tipo di narrativa, Literary Fiction inclusa.

Questo hanno creato gli editori con le loro pratiche truffaldine basate su standard sempre più bassi e sul becero inseguimento delle mode, fregandosene della qualità delle opere. Una mentalità da piccoli banditi, tutta puntata al breve termine e al guadagno immediato (spesso nemmeno presente, visto l’eccesso di schifo prodotto), prima che la moda sparisca, che sul lungo termine sta assassinando la narrativa.
Noi stiamo vivendo nel lungo termine di pratiche iniziate mezzo secolo fa e copiate senza rimorso anche dai nostri editori. Bello schifo, eh?
Bisogna fermare il meccanismo di distruzione della Narrativa avviato decenni fa, prima che sia troppo tardi.

 

Il Duca di Baionette

Sono appassionato di storia, neuroscienze e storytelling. Per lavoro gestisco corsi, online e dal vivo, di scrittura creativa e progettazione delle storie. Dal 2006 mi occupo in modo costante di narrativa fantastica e tecniche di scrittura. Nel 2007 ho fondato Baionette Librarie e nel gennaio 2012 ho avviato AgenziaDuca.it per trovare bravi autori e aiutarli a migliorare con corsi di scrittura mirati. Dal 2014 sono ideatore e direttore editoriale della collana di narrativa fantastica Vaporteppa. Nel gennaio 2017 ho avviato un canale YouTube.

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