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Le Armature: una panoramica degli acciai

Le armature metalliche di cui parlerò saranno tutte in ferro o in acciai al carbonio. Per comprendere meglio i test di penetrazione e la differenza che può passare tra armature di uguale spessore, ma costruite usando acciai differenti è meglio prima dotarsi di un bagaglio di nozioni utili minime. Una rapida panoramica senza troppe pretese per farsi un’idea degli acciai usati nel medioevo/rinascimento.

 
Qualche informazione di base sui metalli
Il ferro ha iniziato a diffondersi a partire dal 1900-1400 a.C. circa fino a diventare di uso comune attorno al 900 a.C., quando già veniva impiegato per fabbricare spade, pugnali, gambali e scaglie d’armatura. Circa 150 tonnellate di ferro sono state rinvenute nel palazzo di Sargon (710 a.C.) presso Dur Sharrukin (oggi Khorsabad, vicino a Mosul in Iraq) e parte del materiale rinvenuto era formato da “acciaio” anche se non vi sono prove che all’epoca si praticasse alcun genere di tempra (quenching in inglese) per ottenere acciai invece di ferro. Anche gli antichi Greci, sebbene utilizzassero regolarmente il ferro da secoli, continuarono a fabbricare corazze ed elmetti in bronzo fino al tempo delle Guerre Persiane (V secolo a.C.). Il ferro povero di carbonio e ricco di impurità, come si poteva produrre con i metodi di fusione precedenti l’invenzione dell’altoforno, era inferiore al bronzo per durezza e resistenza alla corrosione.
Prima degli altiforni si usavano infatti fosse scavate nel terreno, per trattenere al meglio il calore, coperte da una cupola di pietre o mattoni in cui il fuoco veniva ravvivato da un mantice (forni a cupola). Questi forni permettevano di liberare il ferro dalle rocce in cui si trovava, seppur lasciando al suo interno molte scorie, ma non favorivano affatto la sua combinazione con il carbonio per formare leghe d’acciaio. E in ogni caso l’acciaio non è detto sia sempre più duro del bronzo lavorato, come vedremo dopo.
Gli altiforni alimentati a carbone permettevano una migliore combinazione del carbonio con il ferro per la produzione di ghise e acciai. I più antichi risalgono al XII secolo e la diffusione capillare degli altiforni in Europa avverrà solo nella seconda metà del XV secolo, permettendo di produrre quegli acciai duri e resistenti necessari per le armature bianche sempre più diffuse e richieste.

 
Cos’è la Durezza?
La durezza di un metallo o di una lega è la proprietà di lasciarsi scalfire da un minerale e può essere determinata misurando quanto a fondo penetri una punta di diamante piramidale collegata a un carico noto (durezza Vickers). Un test simile che però sfrutta una sferetta è il test Brinell (HBS, durezza Brinell). Il test Vickers fornisce la misura della durezza Vickers (VPH, HV, Vickers Pyramid Hardness) sotto forma di “forza applicata / penetrazione”. L’unità di misura dei VPH sono i chilogrammiforza su millimetro quadrato (kgf/mm2). Entrambi i test sono chiamati prove di microdurezza.
Più il VPH è alto e più il metallo offre resistenza alla deformazione.

Il rame puro ha una durezza di circa 40 VPH e fonde a 1080°C. La lavorazione a freddo, tramite il martellamento o la riduzione in filo di rame, può alzare la durezza fino a 100 VPH ottenendo però una riduzione dello spessore e un corrispondente incremento della fragilità (ovvero è più facile che si fratturi quando sottoposto a una tensione).
Unire il rame con lo stagno porta progressivamente la durezza della lega di bronzo da 50 VPH (3% di stagno) a 110 VPH (10% di stagno) con la semplice unione a caldo e può essere ulterioramente incrementata con una lavorazione a freddo del bronzo fino a 270 VPH (10% di stagno).
Il ferro puro ha una durezza di 60 VPH, fonde a 1550°C e diventa più duro assorbendo carbonio, formando la lega chiamata acciaio. Se l’acciaio viene lasciato raffreddare ad aria, lentamente, la sua durezza sarà paragonabile a quella del bronzo (in base alla % di carbonio assorbito). Dopo il raffreddamento ad aria un acciaio con poco carbonio (0,2%) avrà una durezza di circa 110 VPH ed uno con un ottimo contenuto di carbonio (0,5-0,6%) arriverà a 170-180 VPH circa. Una durezza che lo pone nella fascia media del bronzo lavorato, con in più la difficoltà di ottenere un livello di carbonio alto senza disporre di un altoforno: le fornaci con la fossa producono perlopiù ferro, come già detto.
Se invece l’acciaio viene raffreddato rapidamente (quenching, tempra) si potrà ottenere una durezza tra 300 e 700 VPH in base al contenuto di carbonio.

 
La Tempra degli Acciai
Lasciamo da parte i dettagli su come il carbonio si leghi lentamente al ferro formando austenite, una soluzione interstiziale di ferro e carbonio che può esistere solo sopra i 723°C, e passiamo a vedere come l’acciaio ottenuto può essere indurito.
Infatti, seppure l’acciaio raffreddato ad aria sia già molto più duro del comune ferro, il vero vantaggio dell’acciaio si ottiene indurendolo ancora di più con pratiche di raffreddamento rapido (ad esempio: buttandolo subito in acqua, come si vede fare ai fabbri nei film).

Se l’austenite viene raffreddata ad aria il carbonio che si era dissolto nel ferro sopra i 900°C tornerà a riunirsi in “blocchi” formando un aggregato lamellare di ferrite (ferro poverissimo di carbonio) e cementite (un carburo di ferro, Fe3C) chiamato perlite.
La pura ferrite (in pratica purissimi cristalli di ferro) ha una durezza di 80 VPH. Naturalmente non è possibile ottenere pura ferrite con le tecnologie medievali e verrà fuori invece un metallo più o meno ricco di scorie (slag in inglese, un materiale fragile simile al vetro) e di tracce di altri elementi dissolti nella ferrite, la cui durezza varierà tra i 100 e i 180 VPH. La presenza di cementite (carburo di ferro) rende la perlite ancora più dura, in base al livello di carbonio, permettendo di ottenere durezze tra 180 VPH (0,2% C) e 260 VPH (0,6% C).

Se l’austenite viene raffreddata più rapidamente di quanto avvenga in aria (trattamento di tempra, di norma tempra di soluzione) si può evitare la condizione di equilibrio che porta il carbonio a riaddensarsi in cementite e si possono ottenere di conseguenza dei cristalli differenti.
Si può ottenere la perlite globurale, in cui cementite e ferrite si uniscono in strutture sferiche, oppure la bainite, ferrite circondata di cementite in forma aciculare che la rende più dura della perlite, o perfino la martensite, un acciaio durissimo di struttura tetraedrica ottenibile solo con un brusco raffreddamento che “congeli” l’acciaio in una forma molto simile a quella austenitica, ovvero con il carbonio mischiato uniformemente al ferro senza, usando un linguaggio terra-terra, “grumi”.
La dimensione dei cristalli che formano il metallo è importante dato che i piccoli cristalli si deformano con maggiore difficoltà e quindi una “granularità” più fine aumenta considerevolmente la durezza dell’acciaio.

La rapidità del raffreddamento, le dimensioni dell’oggetto e la quantità di carbonio presente nell’austenite determinano il tipo di cristalli che si otterranno. Immergere l’austenite nell’acqua solitamente porta a un raffreddamento così rapido (full quenching) da formare una struttura di sola martensite di durezza fino a 800 VPH (0,6% C) e oltre. Raffreddare il metallo in olio, nel piombo liquido (che lavoro salubre: facciamo tutti “ciao ciao” al saturnismo…) o in altre sostanze determina un raffreddamento meno brusco (slack quenching) e l’acciaio risultante sarà composto da una combinazione di perlite, bainite e martensite con una durezza tra i 300 e i 400 VPH in base alla composizione.
Lo slack quenching era frequentemente praticato nel Medio Evo (le sostanze usate nella soluzione di tempra facevano parte dei segreti degli armaioli) mentre ormai è evitato e si pratica solo il full quenching, che avviene di norma in semplice acqua per gli acciai al carbonio.

Microscopiche :icon_mrgreen.gif: foto al microscopio

Il problema della martensite eccessivamente dura sono le tensioni interne che potrebbero rendere l’acciaio fragile causando delle microfratture. Per aumentare la resistenza all’impatto dell’acciaio è necessario sottoporlo a rinvenimento (tempering in inglese), ovvero scaldarlo di nuovo (al massimo fino a 700°C) e raffreddarlo di nuovo in modo da rimuovere gli stress interni. Il rinvenimento può portare al peggioramento dell’acciaio, in particolare negli acciai al carbonio che nella fase del riscaldamento a 250-400°C possono cadere vittime di una fragilità irreversibile (a meno di non rifondere d’accapo tutto). Anche nella fase dei 450-500°C gradi può avvenire un indebolimento dell’acciaio dovuto alla minore coesione intercristallina, la malattia di Krupp, ma è un problema reversibile. In caso di problemi si può sempre pensare alla ricottura: riportare il metallo allo stato di austenizzazione e mentenerlo il tempo necessario a riomogenizzare il macello fatto precedentemente per poi ripartire col lavoro.

Il rinvenimento può ridurre la durezza a 400-500 VPH, ma la resistenza agli impatti dell’acciaio aumenterà notevolmente: sarà duro ed elastico. Ma non bisogna eccedere: troppi rinvenimenti possono indebolire l’acciaio, formando blocchi di cementite e rendendo la martensite meno dura perfino della perlite non temperata (a pari percentuale di carbonio).

 
La Tenacità alla Frattura
Abbiamo visto cosa è la durezza e come ottenerla, ma la durezza non è tutto. Anche il vetro è duro (1500 VPH circa), ma se lo colpisci si spezza più facilmente dell’acciaio di pari spessore. Se contasse solo la durezza tutti indosserebbero corazze di vetro che di certo “non si piegano sotto i colpi”, ma sappiamo che in realtà una simile corazza andrebbe in frantumi al primo impatto violento (ma senza deformarsi prima: sai che consolazione…). Quindi la durezza per quanto importante non è l’unica proprietà, come abbiamo visto parlando del rinvenimento della martensite, ma deve essere accompagnata da una adeguata tenacità alla frattura (oppure da un valore adeguato di resistenza alla frattura, tensile strength in inglese, ma Williams ha preferito usare KJ/m2 nel suo libro che usiamo qui come riferimento al posto dei classici MPa).

La tenacità alla frattura (fracture toughness in inglese) misura la resistenza che un materiale contenente una imperfezione offre alla rottura. Dipende da vari fattori: microstruttura del metallo, durezza, dimensione dei cristalli e presenza di scorie. I test che misurano la resistenza alla frattura totale indagano sia la deformazione plastica che la frattura elastica (un test molto comune è quello di Cottrell-Mai).

Più scorie sono presenti nel metallo (ossido di ferro, silicato di ferro magari mischiato a calcio o alluminio o altre porcherie) e più il metallo è sensibile alla frattura a causa delle aree imperfette che rendono più debole la struttura complessiva. La tenacità alla frattura di un ferro puro, senza carbonio e senza scorie (es: il ferro ARMCO), è circa 200 KJ/m2. Una presenza di scorie al 1-2% (considerata come piuttosto bassa per gli standard medievali) può abbassare fino a 170 KJ/m2 la tenacità. Con un 4,7% di scorie siamo già a 150 KJ/m2 che scende a 120 KJ/m2 al 4,7% e arriva a 28 KJ/m2 al 7,5%.

Il carbonio influendo sulla durezza influisce anche sulla tenacità alla frattura. Un ferro privo di scorie e di carbonio (il ferro ARMCO già accennato) ha una tenacità di 200 KJ/m2. Un contenuto di carbonio allo 0,1% alza la tenacità a 235 KJ/m2 che sale a 320 KJ/m2 per una presenza di carbonio allo 0,55% e raggiunge quasi i 400 KJ/m2 con lo 0,85%.

 
E ora…
Ora che abbiamo un po’ di informazioni più di prima sugli acciai possiamo passare a vedere di cosa erano fatte le armature medievali e da che genere di impatti potevano offrire protezione.

Seconda parte: breve presentazione delle armature.
Terza parte: i test di penetrazione.

Il Duca di Baionette

Sono appassionato di storia, neuroscienze e storytelling. Per lavoro gestisco corsi, online e dal vivo, di scrittura creativa e progettazione delle storie. Dal 2006 mi occupo in modo costante di narrativa fantastica e tecniche di scrittura. Nel 2007 ho fondato Baionette Librarie e nel gennaio 2012 ho avviato AgenziaDuca.it per trovare bravi autori e aiutarli a migliorare con corsi di scrittura mirati. Dal 2014 sono ideatore e direttore editoriale della collana di narrativa fantastica Vaporteppa. Nel gennaio 2017 ho avviato un canale YouTube.

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