L’Apice dell’Avancarica: la percussione e i proiettili a espansione

Dopo gli acciarini a miccia, a ruota, alla micheletta, alla chenapan e “alla moderna” siamo arrivati all’apice tecnologico dei meccanismi di accensione per le armi ad avancarica: l’acciarino a percussione.

I primi esplosivi da innesco

Fino alla fine del Settecento l’unico esplosivo noto era la polvere da sparo o, più semplicemente, la “polvere” e gli esplosivi stessi fino a quel momento non avevano nemmeno una classificazione paragonabile a quelle attuali: c’era la polvere e nient’altro (suddivisa in “da mina”, “pirica”, “da guerra” ecc… in base all’impiego).
Lo stesso nome “polvere nera” diverrà di uso comune con l’arrivo delle polveri da sparo di colore diverso, come la Poudre B (Poudre Blanche, polvere bianca) o Polvere Vieille dal nome dell’inventore Paul Vieille (1886). Il problema principale della polvere nera era che esplodeva col calore, per cui ci si doveva affidare a micce accese o scintille per poterla utilizzare.
Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento apparvero però due esplosivi rivoluzionari in grado di reagire agli urti e che quindi potevano essere adoperati come “esplosivi da innesco”: il clorato di potassio e il fulminato di mercurio.

Quando gli scienziati del Settecento compresero che la combustione della polvere da sparo avveniva grazie all’ossigeno ceduto dal nitrato di potassio (salnitro) si ottennero due importanti risultati:
1) la polvere da sparo venne standardizzata nel 1780 nella formula ideale di 75 parti di salnitro, 15 di carbone e 10 di zolfo;
2) si iniziarono a studiare e scoprire nuovi composti in grado di svolgere la stessa funzione del salnitro, magari con potenza perfino maggiore.

Uno dei candidati alla sostituzione del nitrato fu l’iperossimuriato di potassa o, con un nome più comprensibile ai giorni nostri, il clorato di potassio o sale di Berthollet, dal nome del grande chimico Claude Louis Berthollet che lo scoprì nel 1785.
Il clorato era meno ricco di ossigeno del nitrato ma lo cedeva per intero, per cui Berthollet pensò di sostituirlo al nitrato fabbricando una polvere con 75 parti di clorato, 12,5 di carbone e 12,5 di zolfo. Berthollet prevedeva così di ottenere una maggiore velocità di combustione e quindi di pressione: in parole povere una polvere da sparo più potente. Il governo francese, molto interessato alla cosa, mise a disposizione del chimico il polverificio di Essonne. Peccato che Berthollet non avesse capito “quanto” la sua nuova polvere di colore bianco fosse più potente: ben tre volte di più.

Il polverificio di Essonne saltò in aria uccidendo quattro operai, la figlia del direttore e il direttore stesso, Letort, a cui va imputata tutta la colpa. Letort, convinto di poter preparare la polvere anche senza acqua, decise di sbriciolarne un frammento secco con il bastone, procurandone la deflagrazione, seguita dall’incendio e dall’esplosione dell’impianto stesso. Berthollet, miracolosamente, rimase incolume. Di positivo c’è da notare che Berthollet, ora, aveva scoperto qualcosa di ben più utile di una semplice variante della polvere da sparo: un esplosivo innescante. Evviva.

Il conte Claude Louis Berthollet, 1748-1822.
Uscì illeso dall’esplosione del polverificio di Essonne per pura fortuna. ▼
Il che lo accomuna a Licia Troisi, che dice di essere stata pubblicata da Mondadori per pura fortuna. La differenza tra le due “fortune” sta nell’uso: il primo fece molte scoperte utili all’umanità, mentre la seconda inquina le librerie con delle stupidate scritte da cani.

Nel 1799 l’inglese Edward Charles Howard scoprì il fulminato di mercurio, una sostanza dotata di altissima velocità di reazione e molto sensibile agli urti. Queste sue proprietà lo rendevano inadatto come esplosivo in sé, ma particolarmente valido come innescante della deflagrazione della carica di lancio del proiettile. Il fulminato di mercurio viene preparato dissolvendo mercurio in acido nitrico e aggiungendo al tutto etanolo. È un precipitato cristallino di colore bianco che esplode se esposto al calore (150 °C), se sottoposto a frizione o se urtato. A causa dell’effetto lente dei suoi cristalli può esplodere se lasciato a lungo al sole. Il suo principale vantaggio sul clorato di potassio, il concorrente dell’epoca per gli inneschi, è di non essere corrosivo, ma il suo svantaggio è quello di perdere efficacia con l’umidità nel corso del tempo (proprio come la polvere da sparo).
Per la sua scoperta Howard nel 1800 vinse la Medaglia Copley, il più antico (1731) e importante premio assegnato dalla Royal Society di Londra.

Questa funzione di innesco dei nuovi esplosivi, sfruttata negli anni successivi da Forsyth e da altri armaioli, fece nascere la prima classificazione degli esplosivi in base alla loro funzione: deflagrante o innescante.

L’acciarino a bottiglietta di profumo di Forsyth

Alexander John Forsyth (1768-1843) fu l’inventore del primo meccanismo a percussione per armi ad avancarica. Alexander Forsyth era un pastore presbiteriano scozzese e quando il padre, anch’egli ministro del culto, morì nel 1790 Alexander lo sostituì nella direzione della parrocchia di Belhelvie, nell’Aberdeenshire. Tenne questo ministero fino alla morte, nel 1843. A parte il “lavoro” di sacerdote, ereditato dal genitore, Alexander Forsyth aveva due passioni: le armi da fuoco e la caccia alle anatre. La Scozia però non ha il clima più soleggiato del mondo e Forsyth viveva una vita da cacciatore frustrato: nonostante i suoi fucili a pietra fossero i migliori e nonostante la polvere impiegata fosse la più pregiata sul mercato, la pioggia e l’umidità scozzese rovinavano le sue battute di caccia all’anatra.

Quando il reverendo Forsyth sparava spesso la polvere nello scodellino prendeva fuoco in ritardo, rovinata dalla pioggerella e dall’umidità, per cui passava qualche decimo di secondo tra la pressione del grilletto e lo sparo reale e questo, oltre a rovinare la mira, metteva in allarme gli uccelli. Senza contare che spesso, a causa dell’aria umida in modo intollerabile, era la pietra stessa a non cavare nemmeno una scintilla per accendere la polvere. E le anatre scappavano via, spaventate dal suono della pietra che raschiava la martellina, e magari bombardavano con un paio di scagazzate il povero Alexander intento a bestemmiare tutti i santi del calendario.
Forsyth, non potendo costringere Dio (nonostante le ripetute preghiere) a rendere la Scozia meno umida, decise di risolvere il problema da solo inventando un nuovo tipo di fucile. Nel 1805 nacque l’acciarino a bottiglietta di profumo. La primavera successiva Forsyth partì per Londra.

Acciarino a percussione Forsyth
Disegni provenienti da “The Edinburgh Encyclopedia”, Sir David Brewster, 1832
vol. X – “Gunmaking” – Tv. CCLXXXV

L’acciarino a percussione di Forsyth era un meccanismo innovativo, ma, come vedremo, non privo di difetti. È composto da un cane H e da un serbatoio che ricorda una “bottiglietta di profumo” (fig. I, MN). Il serbatoio (in sezione trasversale e diametrale, fig. III-IV) è composto da mozzo A, che funge da asse di rotazione, avvitato lateralmente alla culatta S e da un corpo in grado di ruotare attorno al mozzo.

Nella parte superiore del mozzo (fig. III) si trova lo scodellino B dal cui fondo Bf parte il canale m (fig. IV) che sbocca nella camera della culatta S. La polvere di innesco, composta da 3 parti di clorato di potassio, 1 di zolfo e 1 di carbone, è contenuta nella cavità C del serbatoio che ha una capacità di 40 cariche (30 secondo altre fonti, 12 secondo altre ancora: dipende dalle dimensioni della cavità C). Nella cavità superiore D sono invece ospitati il percussore d’acciaio e la sua molla E. Le due F sono le viti tra le cui punte e un pezzo di sughero si trova il lubrificante del mozzo.

Per usare un fucile a bottiglietta di profumo bisogna prima di tutto caricarlo ad avancarica, come il precedente fucile a pietra focaia. Immaginando che sia rigato, essendo arma da caccia di una certa precisione, si dovrà versare nella canna la polvere da sparo ben dosata e poi inserire la palla di piombo con la pezzuola ingrassata da spingere fino in fondo con la bacchetta (la pezzuola di cuoio ingrassata aiuta la discesa). Come nel fucile Baker, famoso proprio in quegli anni come arma delle Giubbe Verdi.
Bisogna poi armare il cane H e ruotare il serbatoio in modo che il percussore punti in basso (fig. I): ora la cavità C si trova sopra lo scodellino B e vi deposita una piccola quantità di innesco. Il serbatoio va ruotato di nuovo (fig. II) per avere il percussore in alto, posizionato sopra lo scodellino carico di innesco. Premendo il grilletto il cane va a colpire il percussore che a sua volta scende e colpisce l’innesco nello scodellino: la fiammata prodotta può fuggire solo attraverso il canale m fino alla culatta S in cui si trova la carica di polvere. Il proiettile vola via dalla canna verso l’odiosa anatra, vera nemesi del signor Forsyth. ^__^ La molla E riporta il percussore nella posizione di riposo.

Acciarino Forsyth sopravvissuto fino ai giorni nostri
Replica moderna di pistola con acciarino Forsyth

Al posto dell’innesco a base di clorato di potassio è possibile caricare l’arma con fulminato di mercurio in grani (e alcune fonti, sbagliando, non citano il clorato affatto).
L’acciarino di Forsyth a causa dell’eccessivo costo della manifattura di precisione e della pericolosità dell’innesco non ebbe molto successo. Talvolta le cariche di innesco del serbatoio esplodevano tutte assieme, distruggendo l’arma (sono arrivati ai giorni nostri vari acciarini rotti). In più l’innesco al clorato era più corrosivo della polvere da sparo e l’arma andava pulita accuratamente dopo l’uso per non rovinare il meccanismo. Un oggetto più per appassionati cacciatori, che non per militari. In compenso Forsyth dimostrò in modo inequivocabile la superiorità della percussione sulla pietra focaia: bisognava solo trovare un acciarino più adatto all’impiego militare della bottiglietta di profumo.

Nel 1807 Forsyth brevettò la sua scoperta. Il Maestro Generale Francis Rawdon Hastings (1806–1807) permise a Forsyth di lavorare alla sue nuove armi a percussione nelle armerie della Torre di Londra. Gli esperimenti di Forsyth si rivelarono distruttivi e, per timore che saltasse in aria tutto l’arsenale, il nuovo Maestro Generale John Pitt (1807-1810) lo cacciò via. Secondo alcune fonti (e riportato anche in “The Columbia Encyclopedia”, sesta edizione) Forsyth, cacciato in malo modo, ricevette un’offerta di 20mila sterline per la sua invenzione da Napoleone. Forsyth rifiutò di tradire la sua patria passando la nuova tecnologia ai francesi, ma in compenso intentò una serie di cause legali contro chiunque cercasse di produrre nuovi “acciarini a percussione”.
Pare che in realtà il brevetto fu registrato nel 1812, ma grazie all’aiuto dell’amico James Watt (il famoso inventore, proprio lui) con cui si era messo in affari per fabbricare armi, Forsyth ottenne la retrodatazione al 1807. Ma senza l’appoggio del governo, e quindi senza le commissioni militari, la nuova invenzione di Forsyth poté avere successo solo nell’ambito delle armi da caccia.

Nonostante l’esercito britannico avesse adottato un sistema a percussione nel 1836 (fucile Brunswick basato sul sistema a percussione con la capsula e il luminello -di cui parlerò dopo-, ma il brevetto di Forsyth era sul principio della percussione dell’innesco in sé e non sulla sola boccetta di profumo), il governo si rifiutò per anni di pagare il dovuto ad Alexander Forsyth. Alla fine, nel 1842, si decisero a pagare la ridicola cifra di 200 sterline. Troppo poco. L’opinione pubblica lo vide come un oltraggio a un prestigioso e stimato inventore e nel 1843 il governo corse ai ripari offrendo altre 800 sterline, per un totale di 1000 complessive. Ma il reverendo era morto da alcuni mesi e i soldi finirono agli eredi.

L’acciarino a pastiglia e l’acciarino a canale

Nel 1816 Joseph Manton, il più sveglio dei fratelli Manton (l’altro è John, che firmava le sue armi con il solo cognome), brevettò l’acciarino a pastiglia (pill lock). Questo generò un contenzioso legale con Forsyth, dato che il nuovo acciarino si basava anche lui sulla percussione dell’innesco, seppure in modo molto diverso dalla bottiglietta di profumo del reverendo. Vinse Forsyth. Manton continuò lo stesso a produrre armi basate sul sistema a pastiglia. Tiè!

L’invenzione di Manton utilizzava come innesco del fulminato di mercurio mischiato con gomma arabica, modellato fino a formare una piccola pastiglia e infine coperto con cera o vernice per proteggerlo dall’ambiente esterno. Questa pastiglia andava poi posta, in base al design specifico dell’arma, o dentro a un canale comunicante col focone dell’arma oppure, nel caso delle pistole, dentro a un incavo del cane che andava ad abbattersi sopra il focone (il canale di collegamento tra l’innesco alla camera con la polvere di sparo).

Fucile con canna parzialmente ottagonale prodotto da Ephraim Gilbert nel 1829.
Ha un acciarino a pastiglia da inserire nel focone e il cane posto lateralmente.

I vantaggi rispetto all’arma ideata da Forsyth erano vari: assenza di un pericoloso serbatoio; assenza di inneschi corrosivi per l’arma; innesco protetto per evitare che si rovini con l’umidità. Ma dal punto di vista militare l’arma non era priva di difetti inaccettabili: la pastiglia era troppo piccola e il soldato, nella furia della battaglia, poteva perderla di mano; la cera e la vernice utilizzate per isolarla erano entrambe troppo suscettibili al calore (oltre alla gomma in sé) e nel clima caldo di posti come l’India gli inneschi si sarebbero fusi in una massa appiccicosa come cioccolatini abbandonati nell’auto in pieno agosto.

Però Joseph Manton non aveva finito le idee! Non contento della pastiglia ideò anche un secondo tipo di acciarino, quello “a canale” o “a tubetto” (tube lock), brevettato nel 1818. L’acciarino a canale utilizzava un tubetto di rame aperto a entrambe le estremità e riempito di fulminato di mercurio. Il tubetto andava inserito in un foro della piastra comunicante con il focone, poggiando con una delle estremità su una piccola incudine dello scodellino. Il cane abbattendosi sull’estremità esposta attivava l’innesco e chiudeva l’estremità del tubo appiattendo il morbido rame: la fiammata poteva fuggire solo verso il focone. Questo perlomeno in teoria.
In realtà spesso il tubetto non veniva ben sigillato dal colpo e la fiammata partiva in entrambe le direzioni, investendo il compagno accanto o finendo in faccia al tiratore stesso. In alcuni casi l’intero tubetto veniva sparato fuori dal canale, causando serie lesioni a chi si trovava vicino.
Non c’è da stupirsi se anche in questo caso i militari dimostrarono scarso interesse. Ottenne comunque una certa popolarità nell’ambito delle armi da caccia.

L’acciarino a canale, nonostante la realizzazione di Manton non particolarmente efficace, ebbe un certo successo in versione modificata nell’Europa continentale. L’italiano Giuseppe Console nel 1830 ideò un acciarino a canale modificato basato su quello di Manton. E l’armaiolo tedesco Augustin ideò “l’acciarino a percussione Augustin”, una versione molto migliorata dell’originale di Manton. Il sistema Augustin ottenne un buon successo e venne impiegato dall’esercito Austriaco dal 1840, con la conversione dei moschetti a pietra già esistenti al sistema Augustin e poi la realizzazione del fucile ad anima liscia da fanteria del 1842 e quello rigato del 1844 (e per la cavalleria il moschetto corto, la carabina rigata e la pistola del 1851). Nel 1854 anche l’Austria passò, come tutte le altre nazioni europee, alla percussione con la capsula e il luminello (col fucile rigato da fanteria Lorenz M1854).

Fucile austriaco rigato, percussione con sistema Augustin, Modello 1844.
Lunghezza 122,8 cm, peso 4,6 kg, calibro 18,1 mm.
Sotto si vede la baionetta modello Lockart con lama da 59,5 cm.

La principale differenza tra il “tube lock” originale e il sistema Augustin è nella maggiore sicurezza e affidabilità, ottenuta tramite un percussore: il cane non si abbatte più direttamente sul tubetto di rame, ma colpisce (come nel sistema Forsyth) un percussore che a sua volta colpisce il tubetto di rame custodito in uno scodellino chiuso da cui non possono partire pericolose fiammate verso l’esterno.
Osservare le foto del meccanismo nel dettaglio renderà tutto più chiaro. Volendo lo stesso sistema si può adottare anche per pastiglie di innesco, ma il tubetto di rame è più sicuro perché evita il problema dello scioglimento con il calore a cui si accennava prima.

Pistola austriaca ad anima liscia modello 1851, sistema Augustin.
Lunghezza 42,3 cm, peso 1,55 kg, calibro 16,9 mm, fornimenti in ottone.
Vista dall’alto, dal basso, lato sinistro e col cane armato.
Acciarino, chiuso e aperto: notate il “canale” in cui inserire il tubetto di esplosivo innescante.

L’acciarino a percussione per eccellenza: capsula e luminello

Prima di tutto: cos’è la capsula? La capsula a percussione è un cilindretto di rame spalmato all’interno con del fulminato di mercurio. In questa forma di “vernice” e non di grani il fulminato di mercurio è meno sensibile all’umidità e al degrado nel corso del tempo. Percuotendo con il cane la capsula, che fa da innesco, si ottiene una fiammata che accende la carica di polvere nera.
Tra i vari inventori che affermarono di aver ideato per primi la capsula a percussione, il candidato più probabile è Joshua Shaw, un artista e inventore di origine inglese emigrato a Filadelfia nel 1817. E proprio negli Stati Uniti ottenne il brevetto per la capsula a fulminato di mercurio nel 1822.

Capsule a percussione per pistole e fucili. Diametro 4,5 e 6 mm.
Sul fondo si vede lo strato di fulminato di mercurio spalmato.

Dopo aver individuato il miglior materiale sia per la capsula (rame: gli esperimenti col ferro non furono soddisfacenti) che per l’innesco (fulminato di mercurio al posto di altri fulminati più corrosivi), Shaw e i suoi “concorrenti” (Egg in particolare) dovettero affrontare un ulteriore ostacolo per produrre una capsula che fosse veramente pratica e ben realizzata. Durante gli esperimenti le prime capsule tendevano a soffrire molto lo stress dell’esplosione, talvolta frantumandosi in pericolose schegge.

Vennero allora applicate due soluzioni, in grado assieme di risolvere il problema:
1) le capsule più grosse, quelle dei moschetti/fucili, vennero tagliate sui lati in modo da potersi aprire invece che spezzare mentre le capsule più piccole, quelle delle pistole, vennero dotate di sottili solchi per favorire resistenza alla frattura aumentando la dilatazione;
2) il cane venne dotato di un affossamento nel punto di percussione, in modo da poter circondare la capsula con il proprio acciaio proteggendo il tiratore da un’eventuale esplosione.

Capsule nel dettaglio:
notare i tagli nel primo e le rigature nel secondo

Shaw successivamente inventò macchinari per la produzione in massa delle capsule e partecipò alla nascita del Frankford Arsenal di Filadelfia. Oltre a tutto questo l’esercito degli Stati Uniti pagò Shaw 18mila dollari per usare i suoi brevetti. Decisamente meno tirchi di quello inglese con Forsyth.

Box: la Paternità della Capsula

I due più diretti concorrenti di Shaw alla paternità della scoperta furono l’inglese Durs Egg, famoso armaiolo, che brevettò in Inghilterra la capsula nello stesso anno (1822), e il francese François Prélat che la brevettò a Parigi nel 1818.
Guardando solo le date, senza guardare ai fatti, parrebbe che la paternità vada attribuita a Prélat, ma non è così. Shaw inventò la capsula a fulminato nel 1814-1816, ma non riuscì a patentarla perché spaventato dal “terrorismo a base di avvocati” di Forsyth che proprio in quel periodo stava contestando il brevetto di Manton sull’acciarino a pastiglia. Shaw, che non sapeva molto di brevetti, si convinse che Forsyth ne avesse uno che copriva tutti i meccanismi a base di fulminato di mercurio (non era esattamente così: la capsula in sé non poteva violare i diritti monopolistici di Forsyth). Fuggì negli Stati Uniti, dove riuscì infine a ottenere il brevetto anni dopo. Sfortunatamente la sua scoperta era ormai pubblica e altri imprenditori si lanciarono, a suon di avvocati e uffici brevetti locali, per “ottenerne la paternità” per primi. Durs Egg vinse la competizione in Inghilterra, ma può anche darsi che abbia davvero inventato anche lui la stessa cosa in modo autonomo, come accade spesso con innovazioni tecnologiche di questo tipo. In ogni caso Egg fu uno dei migliori produttori di acciarini a percussione basati sulla capsula.
Si sa invece per certo che Prélat era un ignobile truffatore, con una carriera ben nota di furti di idee: il suo business, a parte l’armaiolo, era scoprire le invenzioni di altri, copiarle e correre a Parigi prima di loro per ottenere il brevetto. Il suo brevetto francese del 1818 al fine della “paternità storica” vale quanto la carta per pulirsi il culo.

Come funziona un acciarino a percussione con capsula e luminello?
Prima di tutto l’arma ad avancarica deve essere stata caricata con la polvere e il proiettile (ne parlerò in modo più dettagliato più avanti nel corso dell’articolo).
Sull’asse del focone (che, se vi ricordate, è il foro che porta la fiammata dall’innesco alla carica di polvere da sparo) è avvitato il luminello, un cilindretto forato sulla cui cima viene posta la capsula. Quando si spara il cane schiaccia violentemente la capsula e il fulminato di mercurio esplode sprigionando una fiammata che, attraverso i fori del luminello e del focone, raggiunge la carica di lancio contenuta nella camera di scoppio della canna.

Nell’esempio è raffigurata una palla di piombo con pezzuola, ben aderente alla canna

La nuova tecnologia ottenne subito moltissimi consensi tra gli appassionati di caccia, mentre fu più lenta l’accettazione da parte degli ufficiali dell’esercito abituati alle loro armi a pietra che si erano dimostrate sul campo soddisfacenti. Va considerato però che gli ufficiali usavano in pratica solo la pistola e pure quella molto meno di quanto un fante usasse il fucile: gran parte dei problemi dovuti alla sporcizia dell’arma (caricamento rallentato, perdita di precisione, accensioni mancate) e alla manutenzione non li toccavano. In più la minaccia napoleonica era appena stata debellata una volta per tutte, facendo tirare un bel sospiro di sollievo ai membri della Settima Coalizione (l’alleanza militare delle potenze europee contro Napoleone che comprendeva, grossomodo, TUTTI) e questo “senso di pace” non favoriva certo la disponibilità di fondi per innovare gli armamenti. Anzi, i governi dovevano pensare a cosa fare di interi reggimenti arruolati negli ultimi anni per sconfiggere Napoleone e ora superflui: l’equipaggiamento disponibile per l’organico militare ridimensionato in tempo di pace era sovrabbondante!

Ma alla fine, negli anni ’30 dell’Ottocento, tutte le potenze iniziarono test sui nuovi sistemi di accensione. Dalla metà degli anni ’40 ogni potenza europea era dotata di nuove armi a percussione, dalla grande e arretrata Russia alla potente e tecnologica Inghilterra fino al piccolo e scalpitante Regno di Sardegna (tutti con capsula e luminello a parte l’Austria che preferì il sistema a canale Augustin). Iniziarono convertendo i fucili rigati e i moschetti già esistenti, per conservare canne, legni, fornimenti e munizioni, per poi investire in nuovi modelli “tempo e denaro permettendo” (e dopo accurati studi e valutazioni delle commissioni).
L’Inghilterra prese il buon vecchio Brown Bess da 0,75 (19 mm), che attraverso i vari modelli aveva ormai 130 anni di storia, e lo trasformò nel modello 1839. Sfortunatamente un incendio nel 1841 distrusse gran parte dei moschetti convertiti a percussione. Il modello 1842 è in pratica la stessa arma del 1839, nella nuova “serie” di conversioni.
Conversioni simili avvennero nel Regno di Sardegna, negli Stati Uniti, in Austria ecc… inutile elencare tutti i modelli delle varie nazioni qui.

Fucile da fanteria Württembergisch Mauser modello 1857.
Lunghezza 1390 mm, calibro 13,9 mm (0,547), peso 4,6 kg.
Arma d’ordinanza fabbricata dal 1857 al 1866 presso la Gewehrfabrik di Oberndorf. Si tratta del fucile da fanteria “Vereinsgewehr” (fucile federativo) modello 1857 adottato negli Stati del Württemberg, del Baden e dal Granducato d’Assia.

I vantaggi del nuovo sistema di accensione sono parecchi ed evidenti. Perfino le teste di legno Sardo-Piemontesi alla fine ci arrivarono: col dispaccio numero 3734-35 del 23 ottobre 1844 la Segreteria di Stato di Guerra e Marina dell’Armata Sarda ordinò che i moschetti in dotazione ai Carabinieri (moschetto ad anima liscia a pietra focaia modello 1833) venissero ridotti, ovvero convertiti, a percussione (creando così il modello 1844 che fu l’arma lunga dei carabinieri anche nella Guerra di Crimea del 1855-1856).
Ecco quanto era scritto a riguardo della percussione nel “Manuale sulla costruzione e conservazione delle armi a Fuoco Portatili” del 1854:

I. – Riduzione considerevole di colpi mancati per causa di cassula.
Ciò succede con molto meno frequenza che quando s’usava i fucili a pietra (selce).
A) Perché il meccanismo dell’acciarino è più semplice.
B) Perché la quantità della polvere impiegata nelle cariche è sempre la stessa, non essendo più il rischio di mettere più o meno polvere nello scudetto.
C) Perché la polvere a fulminante contenuta nella cassula difficilmente s’inumidisce, né si altera per conseguenza di pioggia o vento, come succedeva nelle armi a scudetto.
D) Soppressa la pietra e la batteria, non succedono più colpi riusciti a vuoto per causa di deteriorazione della pietra, o per ingrasso della stessa, o per quello del copriscudetto come accadeva dopo un certo numero di colpi.

II. – Riduzione considerevole di colpi mancati per cause di canna.
Il getto prodotto dall’infiammazione della polvere a fulminante è dotato di una energia sufficiente per comunicare il fuoco alla carica, malgrado le poche feccie che ingombrar potessero il canale del luminello da un colpo all’altro. Per il modo d’escar l’arma usato in prima nei fucili a selce, l’infiammazione della carica doveva riuscire meno rapida, e meno certa, per la sua minor energia ed istantaneità, perché successiva di granello in granello, e potendo inoltre la striscia di polvere venire interrotta.

III. – Giustezza maggiore nei tiri.
A) Per conseguenza di perfetta uniformità delle cariche di polvere, perché non si è esposti ad impiegare più o meno polvere nell’escar l’arma.
B) Per effetto della più pronta infiammazione, che non espone il tiratore a scomporre la sua arma prima che il colpo sia partito.

IV – Diminuzione di polvere nella carica.
A) Perché la polvere per escar l’arma non viene presa dalla carica.
B) La infiammazione più pronta produce i medesimi effetti con meno polvere.
C) Perché l’effetto della polvere a fulminante della cassula si aggiunge all’effetto della polvere della carica.
D) Perché quasi nulla sono le feccie che si generano nel foro del luminello”.

Nello scodellino (scudetto) di un fucile a pietra focaia veniva versata parte della polvere della cartuccia, all’incirca 10 grani su un carica di 120-200 grani (15,43 grani fanno 1 grammo). Questi, bruciando, scaricavano i propri gas in gran parte all’esterno dell’arma (lo scodellino è aperto all’accensione e nei video di sparo si può vedere una bella fumata dalla batteria) e solo in minima parte dentro il focone. In pratica sono 10 grani di esplosivo persi.

Con la capsula fulminante, come viene fatto notare al punto IV-A nemmeno un grano della carica è perso: la carica si accende tutta e più in fretta, grazie alla fiammata, garantendo una spinta migliore del proiettile migliore (e il raggiungimento di alte velocità anche in canne più corte di quelle usate per la pietra focaia). In più il fulminato di mercurio stesso, tre volte più potente della polvere da sparo, collabora alla spinta del proiettile (seppure in modo blando: ci saranno 2-3 grani di fulminato sulla capsula… nei giocattoli con le capsule le dosi sono di 1/10 di grano, ovvero 1/154 di grammo).

Inoltre, come vedremo parlando dei proiettili allungati, anche la superficie su cui concentrare la spinta sarà minore e la traiettoria più stabile. Pur usando molta meno polvere da sparo (1/7-1/10 del peso del proiettile contro 1/3) i proiettili allungati di pari peso delle precedenti “palle”, ma di calibro inferiore, arrivano a distanze maggiori e con traiettorie molto più stabili e prevedibili. E tutto ciò nonostante la minore velocità alla bocca: 300-350 metri al secondo alla bocca, contro i 400-470 dei moschetti ad anima liscia.

I fucili a percussione rigati, a differenza dei moschetti ad anima liscia usati per tutto il Settecento, vengono dotati di mirini e alzi/tacche di mira regolabili per sfruttare la gittata e la precisione superiore: un soldato ben addestrato al tiro, correggendo l’alzo in modo conforme alla distanza (che ora DEVE saper valutare con margine di errore minimo), può inviare con discreta precisione i propri proiettili fino a 500 metri (in situazione non di battaglia: lo stress rende molto più difficile sparare bene).
L’alzo dell’Enfield 1853 era regolabile per 100 (distanza “di battaglia”), 200, 300 e 400 iarde (365 metri). Per distanze superiori veniva utilizzato un alzo a cerniera, graduato fino a 900-1250 iarde (1140 metri).

Il tiro utile reale, in cui l’arma mostra al massimo tutta la precisione e l’accuratezza di cui dispone, è più basso, probabilmente sui 300-350 metri: 500 metri è una gittata da cartucce ben più moderne, come il 577-450 Martini-Henry del 1871 o le altre da 11 mm (mauser, gras…) dello stesso periodo o il 5,56 Nato attuale (che però è intrinsecamente più preciso e con un traiettoria più piatta).
Anche la gittata regolabile con l’alzo a cerniera è decisamente eccessiva per le reali capacità dell’arma, ma all’epoca (e fino alla prima guerra mondiale) era normale graduare anche l’eccesso: la pistola Mauser del 1896, gittata utile reale sui 150 metri circa, aveva una tacca graduabile fino alla gittata massima di due chilometri!

Tacca di mira con alzo a due foglie dello Springfield 1855: 100, 300 e 500 iarde.
È il tipo di alzo più semplice e comodo da produrre, che copre tutta la gittata utile dell’arma.
Alzo dell’Enfield 1853.
Notare l’alzo a cerniera in posizione per il tiro sulle lunghe distanze.

Tutto questo a patto di saper sparare decentemente: un imbranato alle prime armi non prenderebbe un uomo a cinquanta metri nemmeno con un fucile moderno in 7,62×51 col tiro teso a 800 metri, facendosi umiliare da un soldato del Settecento che lo colpirebbe con un aborto di arma ad anima liscia il cui proiettile sottodimensionato rimbalza nella canna come un coniglio pazzo. ^__^

I soldati armati con le nuove armi a canna rigata vennero quindi addestrati a mirare e a sparare “al bersaglio scelto”, e non solo a manovrare e a ricaricare in fretta per poi scaricare piombo alla cieca come accadeva invece fino a pochi anni prima.

I bersaglieri nelle prove del marzo 1855 con la nuova carabina ottennero con il tiro “a braccio sciolto” (normale tiro) ben 66 colpi a segno su 100 contro un bersaglio largo due metri (e si presume alto pure due metri: i classici bersagli che simulano due uomini) a 280 metri e quasi un terzo di colpi a segno a 465 metri (distanza probabilmente al di sopra di quella ottimale per il tiro, ma nel limite in cui l’arma ha ancora una discreta precisione nella rosata). Si tratta di prove effettuate da normali tiratori, non da geni del tiro: negli stessi anni le prove effettuate da quelli che per noi sarebbero autentici “tiratori scelti” nelle competizioni tra costruttori di armi da caccia arrivavano a 1000 e più metri (ben oltre il tiro utile accettato di queste armi rigate).

Da Carabine da Bersaglieri: Costruzione, Uso e Teorie sulle medesime (1855):

[…] considerare che una carabina non dovrebbe essere giudicata accettabile, se non quando sparando con essa alla distanza di 350 metri (Nota: probabilmente la distanza massima a cui l’arma può esprimere ancora tutte le sue doti al meglio) in un circolo di un metro di diametro vi si colpirà tre volte su cinque sparì.

Carabina da Bersaglieri Mod. 1856
tavole I-IV pubblicate sul Giornale Militare
Tavola III e Tavola IV

Il sistema di innesco a nastro di Maynard

L’avvento della percussione col luminello non terminò la ricerca di un modo per evitare di dover inserire un nuovo innesco ad ogni colpo: serbatoi interni (alla Forsyth) e i sistemi di cambio dell’innesco automatici (con nastri di pastiglie fulminanti) avrebbero potuto rendere più veloce il caricamento dell’arma (cosa che ai militari faceva sempre piacere) ed evitare il problema delle piccole capsule che scivolano di mano.
Nel 1834 Charles Louis Stanislaus, barone di Heurteloup, brevettò un’arma dotata di un sistema automatico di inneschi sotto forma di un nastro messo in moto dall’azione del cane. Ne progettò anche una versione in grado di resistere agli elementi esterni (immagino pioggia e umidità), denominata Koptipteur. Le armi di Heurtleloup avevano serbatoi di inneschi da 70 cariche.
L’Esercito Britannico si interessò all’invenzione ed effettuò dei test nel 1837 e nel 1842. Il sistema, più complesso di quello con capsula e luminello, venne rifiutato entrambe le volte. Alcuni esemplari di armi basate sul sistema di Heurteloup vennero acquistate dagli eserciti di Francia, Belgio e Russia, ma non ci sono informazioni sulle loro performance sul campo. Considerando che non presero mai piede, probabilmente non furono entusiasmanti.

Anche Edward Maynard, un inventore e dentista americano, ideò un sistema di innesco a nastro. Gli inneschi erano pastiglie custodite tra due strati di carta, in una striscia che avanzava posizionandosi sul luminello ogni volta che il cane veniva armato. In più il cane oltre a detonare l’innesco tagliava anche la carta, facendo cadere in terra le parti di nastro già utilizzate. Per il resto l’arma andava caricata ad avancarica, come al solito.

Il sistema Maynard ottenne il brevetto nel 1845. Molti costruttori di armi lo adottarono e anche il governo degli Stati Uniti se ne interessò fin da subito: il sistema venne installato in prova su 300 moschetti convertiti a percussione (e a Maynard vennero pagati royalties di 1$ per arma, che non sono male su un prezzo complessivo di circa 18-20$).

Oltre al vantaggio di diminuire il numero di gesti necessari per caricare l’arma, aumentando di conseguenza la rapidità nel caricamento, c’era un secondo vantaggio molto importante: le strisce per gli inneschi fatte di carta costavano molto meno delle capsule di rame ed erano perfino più facili da produrre.

Nel 1855, su pressione del Ministro della Guerra (e futuro presidente degli Stati Confederati d’America) Davis Jefferson il sistema Maynard venne adottato per il nuovo fucile da fanteria Springfield 1855, prodotto in 60mila esemplari tra il 1855 e il 1860.
Il sistema era stato garantito a prova d’acqua, ma era tutta una balla: i nastri di inneschi erano estremamente sensibili e si rovinavano con facilità perfino con la semplice umidità ambientale! E il meccanismo stesso era delicato e sensibile al fango e alla polvere, richiedendo molta più manutenzione dei normali fucili a capsula per funzionare bene.
A parte questi problemi enormi, l’arma era ottima: ma altrettanto ottimo e ben più affidabile poteva esserlo qualsiasi fucile a capsula. L’arma venne sostituita dallo Springfield 1861, un normale (e più economico) fucile a percussione.
Lo stesso problema di affidabilità lo ebbe nella Guerra di Crimea la cavalleria britannica a cui erano state fornite 2000 carabine Greene, basate sul sistema Maynard.

Dettagli del sistema Maynard: serbatoio del nastro e meccanica interna
Dettagli del sistema Maynard della carabina britannica Greene

Proiettili a forzamento: palle sferiche e proiettili con alette

I militari non volevano solo armi più affidabili, ma anche più precise.
Dopo le guerre contro Napoleone il bisogno di armi che “sparassero dritto”, possibilmente seguendo una rigatura e a grande distanza, era diventato sempre maggiore: possedere un fucile con il doppio della gittata di quello nemico sarebbe stato un vantaggio enorme. Il fucile rigato Baker, di inizio ‘800, usando una palla forzata con la pezzuola poteva colpire bersagli con discreta precisione a 200 iarde (182 metri) e, in mano di un valido tiratore, era ancora pericoloso fino a 300 iarde (274 metri). E qualche centro saltuario (leggasi “con molto culo”) contro un bersaglio di dimensioni umane si poteva mettere a segno fino a 400 iarde, secondo il costruttore.
Molto meno dei 500 metri di gittata utile assicurata dei fucili rigati di metà Ottocento. Il problema non era tanto nella rigatura del Baker (o del Kentucky o di altri), il cui passo e numero di linee probabilmente era più che buono, ma nella palla sferica in sé.
La palla sferica ha un pessimo rapporto volume-superficie e in più, col suo centro di massa coincidente col centro geometrico, tende a ruotare su se stessa mentre vola perché la coda (che non subisce l’impatto dell’aria, formando una depressione) cerca continuamente di scavalcare la testa (che subisce l’impatto dell’aria rallentando) in un continuo scambio di ruoli. Con la pezzuola e la forzatura perlomeno queste rotazioni casuali non le fa pure dentro la canna, aderendo alla rigatura e seguendola al meglio delle sue ridotte capacità, ma una volta in volo la brusca decelerazione dovuta al violento impatto contro l’aria pone fine in breve al moto rotatorio impresso e il tiro si destabilizza molto riducendo la gittata (sia utile che massima) rispetto a un proiettile allungato.

Con un fucile a canna liscia sparante proiettili sferici sottodimensionati (un 0,71 in una canna da 0,75) la precisione è molto minore perché la palla, oltre a ribaltarsi e girare su se stessa, tende a ribalzare nella canna aggiungendo un ulteriore fattore casuale nella propria traiettoria.
Un soldato delle campagne napoleoniche se anche avesse voluto mirare (cosa che non erano addestrati a fare e non c’era neppure il comando di mira né la tacca di mira sull’arma) si sarebbe trovato a pensare qualcosa del tipo: “Questa volta i suoi 20 cm di derivazione (lo sbandamento orizzontale dalla traiettoria ideale) a tal distanza li farà a destra o li farà a sinistra? E li farà tutti di lato o magari tenderà un po’ più in basso o un po’ più in alto del solito? Dove correggo la mira, a destra o a sinistra?”
Lancia la monetina e buona fortuna…

Derivazione (sbandamento orizzontale) di un palla sferica sottodimensionata ipotizzando un ultimo urto a sinistra della canna, tratto dal manuale sull’uso della carabina da bersaglieri del 1855. Notare il moto rotatorio della palla attorno al suo baricentro indicato con le frecce.

Non c’è nemmeno la possibilità di agire sull’alzo del mirino (che non è presente proprio perché inutile) in quanto lo scostamento dalla traiettoria ideale non è prevedibile con precisione. Invece coi fucili rigati moderni con palle appuntite sparate a velocità supersoniche tutto può essere regolato -caduta verticale e derivazione orizzontale rispetto al piano di tiro- a patto di conoscere la direzione e la forza del vento, la distanza del bersaglio, l’umidità ecc…

Il tiro col moschetto ad anima liscia con palle sferiche sottodimensionate è tiro istintivo, come quello con l’arco lungo. E con perfino meno gittata utile da sfruttare (ma per tirare decentemente a 50 e più metri con un arco lungo ce ne vuole di addestramento). ^__^
Sulle performance delle armi antiche tornerò con un articolo specifico in futuro, recuperando parte di quanto detto qui.

Il proiettile sferico, o palla, come visto non è adatto al tiro a lungo distanza con il fucile rigato. Serve un proiettile che non ruoti su se stesso a caso e abbia quindi una traiettoria più stabile e che sia possibile calcolare con precisione. O, se si vuole ancora usare la palla, serve perlomeno un metodo per poterla caricare con più rapidità di quanto non accada con il forzamento tramite pezzuola.

Box: caricamento a forzamento con la pezzuola

Nel caricamento a palla forzata si usa una palla sferica dal diametro poco inferiore a quello interno della canna (una 0,615 per una canna 0,625 nel caso del fucile Baker) che con l’aiuto della pezzuola unta, che agisce sia come lubrificante che come sabot, aderisce alla rigatura. Questo è il sistema di caricamento usato dalle Giubbe Verdi inglesi durante le guerre napoleoniche e dai miliziani americani della Guerra d’Indipendenza che usavano i temibili fucili da caccia Kentucky -derivati dai fucili da caccia tedeschi- in calibro 0,40-0,50)

1. Si versa la polvere nella canna con un corno dosatore o una cartuccia senza palla.
2. Si poggia sul centro della bocca dell’arma la pezzuola, un quadratino di cuoio ben lubrificato con olii vegetali o grasso animale.
3. Si poggia la palla sopra la pezzuola e si spinge dentro col pollice: la pezzuola deve essere abbastanza grande da coprire più di metà della palla (in modo che aderisca sui lati contro la rigatura), ma non più dei due terzi (per non interferire con la traiettoria ed essere “scartata” agevolmente all’uscita dalla canna, come se fosse un sabot).
4. Quattro.
5. Con la bacchetta si spinge la palla giù per la canna, fino a farla poggiare contro la polvere (distanza nota, registrata per comodità con un segno sulla bacchetta): la palla, per quanto aderente grazie alla pezzuola, scivolerà aiutata dal lubrificante senza costringere a sforzi sovrumani. Lo sforzo e il tempo di caricamento diventano sempre maggiori a mano a mano che le rigature della canna si riempono di “feccia”, ovvero polvere da sparo mal combusta, piombo e residui di pezzuole bruciate. Non bisogna spingere di più perché altrimenti la palla per scendere spezza i grani di polvere, modificandone le proprietà esplosive e quindi il comportamento della palla. La spinta deve essere lenta, per piccoli tratti, tramite colpetti.
6. Se a circa dieci centimetri dalla polvere la palla offre una maggiore resistenza alla discesa bisogna fermarsi subito. Il focone potrebbe essersi otturato, impedendo all’aria di fuoriuscire. Se si spinge con forza l’aria verrà compressa aumentando la pressione e la temperatura fino a far esplodere la carica di polvere (e infatti la bacchetta si maneggia per sicurezza tenendola di lato e non spingendo da sopra, così se viene “sparata” non colpisce la mano). Bisogna prendere lo spillo (che fa parte del set di pulizia dell’arma) e scrostare il focone prima di proseguire il caricamento.
7. Finito: ora si carica lo scodellino (arma con acciarino a pietra) o si mette la capsula (acciarino a percussione).

Un’arma di rara stupidità fu il fucile Brunswick con palla cinturata. Gli inglesi con l’avvento della percussione invece di ridurre al nuovo sistema i vecchi fucili rigati Baker, armi ottime, adottarono nel 1836 un nuovo fucile per il tiro di “precisione”: il Brunswick.
La particolarità di quest’arma è di avere una rigatura di sole due righe, belle larghe e grosse, in cui la palla non aderisce per deformazione del piombo (incastrandosi), ma perché la palla stessa ha una “cintura” adatta per calzare bene nelle righe. Ne vennero prodotti anche ad anima liscia e in calibro 0,654 (sono in totale quattro le versioni prodotte: 1836, 1840, 1841 e 1848).

Fucile a percussione Brunswick, calibro 0,704, 4-4,5 kg in base al modello
con tacca di mira fissa (200 iarde) e foglia (300 iarde)

In teoria l’arma doveva essere più rapida da caricare dei vecchi Baker a palla forzata, in quanto la frizione è minore (e quindi è minore anche l’impiombatura della rigatura) In realtà senza la pezzuola unta è molto faticoso far scendere il proiettile lungo la canna perché la rigatura per imprimere il moto rotatorio deve ruotare.

Considerando che tra i competitori per diventare la nuova arma rigata inglese c’erano fucili hannoveriani con canna ovale e altre cose di questo tipo, senza però lo svantaggio della pessima aerodinamica della palla sferica cinturata. Misteriosamente vinse la competizione il Brunswick.
Una canna ovale non è molto diversa come principio da quello del Brunswick: invece di imporre il moto al proiettile con una rigatura, lo si impone con una canna la cui stessa forma (ovale, esagonale ecc…) agisce come rigatura tramite un’andatura elicoidale che impone la rotazione. Ovviamente vanno usati proiettili di forma adatta alla canna. Fucili da caccia a canna ovale Lancaster di altissima precisione (e ormai a retrocarica) erano ancora prodotti a fine Ottocento (es: fucile Lancaster Express .577 – 2 3/4 del 1886).
C’erano cose ancora più bizzarre del Brunswick: Whitworth ideò una canna ad anima esagonale elicoidale (con palle analogamente a sezione esagonale e facce elicoidali).

Fucile Withworth con proiettili appositi…

Il Brunswick si rivelò poco preciso (la palla cinturata è instabile in volo) e molto difficile da caricare: a parte il lento lavoro di spinta per far scendere la palla, era anche difficile posizionarla correttamente nella canna quando c’era poca luce o si era sotto stress in combattimento.

Simile al Brunswick (in pratica una copia) e con gli stessi problemi di caricamento era la carabina russa Luttich del 1843, che impiegava un proiettile allungato di forma appuntita, con alette da inserire nella rigatura (il peso ufficiale del proiettile era 776 grani -50 grammi-, ma quello di alcuni reperti era solo 760 grani). Venne usato durante la Guerra di Crimea, assieme ad altre armi e tipi di palle.

Un’arma molto valida fu anche il fucile di Jacob (ideato dal generale britannico John Jacob), disponibile con canna singola e con due canne giustapposte (tipo doppietta). I suoi proiettili avevano una gittata massima di 2000 iarde e un tiro molto preciso a 800 almeno (Jacob sosteneva che la precisione era ancora buona fino a 1200 iarde). Era un’arma estremamente precisa per la sua epoca, paragonabile probabilmente ai successivi fucili a retrocarica con bossolo metallico come il Martini-Henry o il Mauser 1871.
La canna, di calibro 0,50-0,58 (12,7-14,7 mm), aveva quattro rigature e veniva caricata ad avancarica con un proiettile dotato di quattro alette (una per riga) dalla forma appuntita, in grado di tagliare l’aria molto meglio dei proiettili round nose (ma non è ancora un vero “spitzer”, nome che va usato sui proiettili appuntiti incamiciati dal 1905 in poi).

Poteva impiegare anche proiettili esplosivi-incendiari. In questo caso il proiettile era cavo e all’interno, sul davanti, si inseriva un tubetto di rame pieno di fulminato di mercurio. All’impatto il proiettile esplodeva, causando seri danni e incendiando materiale combustibile. La gittata era di circa 1000 iarde. Era studiato per essere impiegato nell’attacco ai treni delle artiglierie, in particolare alle scorte di munizioni per farle saltare in aria. Venne impiegato da un apposito reggimento chiamato “fucilieri di Jacob” (ufficialmente il 3rd Baluchi Rifles nel 1861) in Sud Africa e India.

“Two good riflermen so armed could annihilate the best battery of field artillery in 10 minutes.” (brigadier-generale John Jacob)

Altri estimatori della palle a forzamento con la pezzuola furono gli americani (nell’ambito sportivo e di caccia) e gli svizzeri. Entrambi usavano proiettili molto lunghi, di piccolo calibro (10-12 mm). La loro precisione e la loro gittata erano ottime, paragonabili a quelle dei successivi fucili rigati con palle minié, ma lo sforzo per far scendere il proiettile con la pezzuola era enorme (tutta la superficie cilindrica aderisce alla rigatura, non solo una piccola porzione), tanto che i tiratori scelti svizzeri pare agissero in gruppi da tre: uno metteva la polvere e spingeva il proiettile fino in fondo, un altro armava il cane e metteva l’innesco e il terzo sparava. Così il tiratore di turno non si sarebbe trovato con le braccia tremanti per la fatica dopo pochi colpi.

Delvigne e Thouvenin: nuovi sistemi per caricare i fucili rigati

Nel 1826 l’ufficiale francese Henri-Gustave Delvigne ideò un sistema per unire la velocità della palle sottodimensionate all’adesione alla rigatura delle palle forzate. Negli anni precedenti si era già provato a schiacciare a colpi di bacchetta le palle di piombo morbido contro la carica di polvere di sparo, per farle appiattire e deformare in modo che aderissero alla rigatura, ma la rottura dei grani di polvere e la deformazione irregolare del proiettile rendevano il tiro poco preciso. Qual era l’idea di Delvigne? In fondo alla canna andava fatta una camera più piccola, in modo che vi cadesse la polvere da sparo ma non la palla. Schiacciandola con la bacchetta la palla sottodimensionata si sarebbe deformata, aderendo alla rigatura, e i grani di polvere non si sarebbero rotti. La versione ad avancarica di “salvare capra e cavoli”. Peccato che la palla si deformasse male, con un naso piatto molto poco aerodinamico e formando una protuberanza posteriore che spostava il centro di massa indietro: la traiettoria risultava molto instabile.

Palla di piombo deformata nella camera di una carabina con sistema Delvigne

Delvigne provò a inserire un tacco di legno sotto il proiettile, in modo che la deformazione posteriore venisse limitata da questo, ma non bastò: il tacco spesso si spezzava o si girava male quando veniva inserito nella canna. E comunque era un pezzo in più che rendeva meno “semplice e geniale” il sistema.

Dal 1830 Delvigne provò anche proiettili cilindro-sferici e clindro-conici a base piatta, per ovviare ai problemi di stabilità. I nuovi proiettili erano effettivamente migliori. Quando si batteva il proiettile, per mantenerne la forma appuntita e farne dilatare la porzione cilindrica si usava una bacchetta con l’incavo di percussione sagomato.

Proiettili: sferico, cilindro-sferico a base piatta e cilindro-conico a base piatta
Bacchetta sagomata per preservare la forma del proiettile
in fucili e carabine coi sistemi “a camera” di Delvigne o “a stelo” di Thouvenin

I Bersaglieri al tempo della Guerra di Crimea erano equipaggiati con la carabina “La Marmora” modello 1844. Era un’arma rigata (otto righe) a percussione con capsule, peso 4,2 kg, calibro 16,9 mm (0,665 pollici) con sistema Delvigne e proiettili cilindro-conici. Era lunga 1,12 metri, ma ovviava alla limitata lunghezza in corpo a corpo montando una sciabola-baionetta con lama di 47 cm.
I Bersaglieri non usavano cartucce preconfezionate, ma inserivano la carica con un fiaschetta che dosava esattamente 3,25 grammi e, per i tiri più lunghi, portavano cariche extra da 3,5 grammi. Il proiettile utilizzato, di cui sono stati trovati parecchi reperti nelle aree in cui hanno operato i Bersaglieri durante la Guerra di Crimea, pesava 550 grani (35 grammi) ed era lubrificato con una mistura di sego e cera ai lati.

Nel 1841 Louis-Etienne de Thouvenin, un ufficiale francese collega di Delvigne, ideò un sistema ancora migliore per far aderire il proiettile alla canna rigata: invece di una camera più piccola per la polvere che avrebbe fatto sprofondare parzialmente il fondo del proiettile compresso a colpi di bacchetta, si inseriva uno “stelo” di acciaio al centro della camera di sparo.
Questo stelo, un cilindro di acciaio avvitato (e graduabile in lunghezza in base alla necessità) nel vitone della canna, avrebbe fermato il proiettile al centro, evitando lo sprofondamento e migliorandone l’allargamento. La polvere da sparo si sarebbe depositata attorno allo stelo in fase di caricamento, evitando qualsiasi rischio di contatto con la palla mentre veniva deformata. Thouvenin propose il suo fucile a stelo nel 1844: piacque subito e venne adottato nel 1846 in Francia per la “Carabine à tige” (gli Chasseurs, tiratori, la impiegarono dal 1853), in Belgio per la carabina del 1853, in Prussia per i nuovi fucili degli Jäger (tiratori) e anche dal Regno di Sardegna (ma non per i bersaglieri che preferirono tenersi il già valido sistema Delvigne).

Carabina a stelo, dal manuale di teoria e uso della carabina da bersaglieri del 1855

Il difetto dello stelo stava nella sua fragilità: con l’uso si corrodeva e poteva spezzarsi durante lo sparo, costringendo il soldato a portare pezzi di ricambio ulteriori, e in più era difficile pulire la canna attorno allo stelo (a meno di non smontare la canna per il lavaggio).

In alcuni libri sono presenti illustrazioni scorrette dei proiettili impiegati dalle armi a stelo (es: “La Macchina da Guerra” di Giovanni Santi-Mazzini, che a parte questo errore e il disegno scorretto delle palle Nessler è un libro eccellente), a causa della confusione generata dalla loro somiglianza “esterna” (i solchi di Tamisier) con i più famosi proiettili minié.
I proiettili francesi e sardi della Guerra di Crimea erano tutti a base piatta e non cava. Negli esemplari sparati è possibile notare la piccola cavità formata dallo stelo quando la palla vi veniva battuta sopra.
Alcuni libri, dato l’aspetto di nicchia dell’argomento “stelo”, inseriscono spesso raffigurazioni di proiettili minié (ovvero cavi dietro, come vedrete tra poco), sia dotati di capsula di metallo che privi, nelle illustrazioni di questo tipo di arma. A tutti gli effetti è superfluo (anche se non “dannoso”) mettere proiettili simili dentro una carabina a stelo: loro sono già in grado di espandersi da soli senza bisogno di essere deformati prima dello sparo. E lo stelo non ha bisogno di cavità esistenti per agire in modo corretto.

I francesi usavano nelle loro carabine a stelo della Guerra di Crimea proiettili cilindro-conici a base piatta, calibro 17 mm (0,670) di circa 715-770 grani (46-50 grammi). Proprio come quello nell’illustrazione mostrata sopra: nel manuale del 1855 appare anche uno spaccato del proiettile francese che mostra l’assenza di cavità posteriori.
Idem per i proiettili sardi usati dalla fanteria nelle armi rigate a stelo: cilindro-conici a base piatta, di circa 700 grani (45 grammi), leggermente più tondeggianti di quelli francesi.

A sinistra e al centro due proiettili Tamisier con solchi: il primo ha la forma netta “teorica” di quello francese usato al tempo della Guerra di Crimea, mentre il secondo ha la forma più tondeggiante dei reali proiettili usati dai francesi anche a Solferino (1859) o con i fucili a stelo Thouvenin sardi in Crimea. A destra il proiettile senza solchi per la carabina da Bersagliere Modello 1844.

Questi proiettili per fucile a stelo avendo punte ancora più leggere rispetto alla coda di quanto accadesse coi proiettili da carabina Delvigne, tendevano a ribaltarsi in volo nella fase discendente, soprattutto sulle lunghe distanze quando l’effetto stabilizzatore della rotazione diminuiva (il loro baricentro, come nei proiettili moderni, era più verso la coda che verso la testa).
Come risolvere il problema?

La soluzione arrivò subito (1841) grazie a un altro ufficiale francese, il capitano di artiglieria Tamisier: per contrastare la tendenza della coda a scavalcare la testa, bisognava aumentarne l’attrito contro l’aria praticando dei solchi attorno alla porzione cilindrica del proiettile. In tal modo la testa leggera e appuntita non veniva scavalcata dalla coda pesante che per colpa dei solchi veniva trattenuta indietro dall’impatto maggiore dell’aria.
Nei solchi, inoltre, si poteva inserire il lubrificante per pulire le rigature dalla feccia e dalle impiombature all’atto dello sparo.
Il sistema era meno efficiente nelle carabine Delvigne perché i proiettili, dovendo essere “compressi” a colpi di bacchetta (e non “dilatati attorno allo stelo”), si sarebbero ritrovati coi solchi rovinati e sarebbe diminuito l’effetto frenante. Comunque non risulta che i Bersaglieri avessero mai lamentato simili problemi, nonostante le palle prive di solchi: forse questo è da imputare al rapido passo di rigatura della carabina La Marmora, in grado di contrastare il capovolgimento meglio delle altre armi rigate contemporanee.

Proiettili a espansione: il trionfo di Minié

Claude-Etienne Minié, ufficiale francese degli Chasseurs in Africa, è famoso in tutto il mondo per la sua invenzione, la palla minié, la cui “letalità” è decantata dai sopravvissuti della Guerra Civile Americana. L’ennesimo genio tecnico dell’esercito francese assieme a Delvigne, Thouvenin e Tamisier? O forse non era tutta farina del suo sacco?

Da tempo si cercava di realizzare un efficace proiettile a espansione e lo stesso Delvigne si era interessato alla cosa, con scarsi risultati. Prima di lui, però, fu un ufficiale inglese a ideare un proiettile di questo tipo.
Nel 1823 il capitano John Norton del 34esimo reggimento inventò un proiettile cilindro-conico leggermente più piccolo del diametro della canna, in modo da scendere senza difficoltà, e dotato di un cavità alla base in modo che i gas dell’esplosione lo facessero dilatare e aderire alla rigatura.
Gli esperti del Ministero della Guerra, nonostante il proiettile funzionasse molto bene, lo rifiutarono con la motivazione che “solo i proiettili sferici erano adatti all’uso militare”.

Nel 1836 William Greener, un celebre armaiolo, propose un proiettile a base cava con l’aggiunta di un piccolo tappo di legno costruito in modo tale da spingere e dilatare il piombo sotto la spinta del gas: dato il maggior spessore del piombo, troppo perché i gas potessero sempre dilatarlo, questo assicurava l’adesione alla rigatura costante. Se lo spessore del piombo è troppo scarso e se manca un sistema di solchi Tamisier (ancora non inventato) che migliori la capacità di piegarsi senza spezzarsi, talvolta il cilindro di piombo può staccarsi dalla testa conica che volerà così priva del moto rotatorio imposto dalla rigatura. Questo piccolo tappo di legno risolveva i due problemi.
Il Ministero rifiutò l’invenzione perché un proiettile in due parti era troppo complicato da realizzare. Sigh.

Nel 1847 il capitano Claude-Etienne Minié “ideò” un proiettile praticamente identico a quello di Greener, basato sullo stesso principio, e successivamente arricchito con l’aggiunta dei solchi (proiettile Minié-Tamisier). Il proiettile Minié, sconvolgente differenza con quello di Greener, aveva uno scodellino di ferro al posto del tappo in legno. Uao.

Norton, liscio. Greener, con tappo di legno. Minié con solchi Tamisier e tappo di ferro.

Il governo francese se ne interessò e fece una serie di test a Vincennes nel 1849, ma alla fine preferì le armi con proiettili a fondo piatto già in dotazione, come i fucili a stelo Thouvenin (e comprandone perfino altri dopo il 1849: gli Chasseurs ottennero le loro carabine nel 1853) e senza desiderio di sostituire in massa i vecchi fucili a canna liscia sparanti proiettili Nessler (che vedremo dopo). In ogni caso pare che ricompensò Minié con 20mila franchi per la sua “invenzione”.
Nemmeno il Belgio fu impressionato dal nuovo proiettile, preferendo altri tipi di arma (e anche loro comprarono nuove carabine a stelo nel 1853).

Ai russi non dispiacque: nella caterva di armi e calibri diversi della Guerra di Crimea c’era anche il “minié russo” o “7 linee” (i russi dividevano il pollice in dieci “linee”, per cui il nome “7 linee” indica un 0,70 pollici e un “3 linee” uno 0,30, ovvero un 7,62×54 mm russo): uno strano minié con una protuberanza di piombo posteriore posta al centro dello spazio vuoto dei tipici minié, e con un anello di ferro attorno alla protuberanza che doveva favorire l’apertura dei lati. Pesa dai 780 agli 815 grani (50-53 grammi). È chiamato anche “palla di Peeter” o “palla Timmerhans” (venne usato anche dal Belgio al posto del minié autentico). Inutilmente strano e complicato. E con un design aerodinamico inferiore al minié originale.

Il governo inglese fu ENTUSIASTA del nuovo proiettile: ordinò di realizzare un nuovo fucile rigato, il modello 1851. Greener, che non era scemo e aveva il brevetto sul proiettile con l’aggiunta per favorire l’espansione, piantò un casino legale e il Ministero fu obbligato a pagargli 1000 sterline.
Il fucile rigato Minié modello 1851 britannico aveva un calibro di 0,702 pollici e una gittata utile di 550 metri circa. Per questo fucile vennero realizzati due tipi di proiettili minié con scodellino di ferro: tipo 1 e tipo 2, entrambi senza solchi laterali.
Il tipo 1 pesava 660-670 grani (43 grammi) e aveva un design interamente conico per tutta la sua lunghezza, senza una porzione cilindrica, rendendo così poco affidabile l’aderenza alla rigatura. Venne messo fuori produzione.
Il tipo 2 era un proiettile cilindro-conico da 690-700 grani (45 grammi) che si rivelò molto migliore del precedente, espandendosi senza difficoltà e aderendo senza problemi alla rigatura.

Il calibro 0,702 venne subito considerato troppo pesante: uno spreco di piombo e polvere. Venne scelto un nuovo fucile rigato da fanteria: Enfield modello 1853, calibro 0,577 (o 0,58 per comodità). Il nuovo fucile si rivelò un’arma solida, precisa, affidabile, venduta anche agli Stati Confederati d’America durante la Guerra Civile, e rimase in servizio nell’esercito britannico dal 1853 al 1867 (e poi venne convertito a retrocarica col sistema Snider-Enfield).
Ma il primo tipo di proiettile impiegato durante la Guerra di Crimea mise in cattiva luce la nuova arma, facendola sembrare meno precisa del modello 1851: il proiettile Pritchett (lo stesso fucile venne inizialmente chiamato Enfield-Pritchett 1853) era privo di scodellino metallico per l’espansione e questo, unito alla cavità della base troppo poco accentuata, rendeva difficile e incerta l’espansione del proiettile.
Venne subito sostituito con un secondo tipo di proiettile nel 1855, studiato e ideato a partire dal proiettile Pritchett alla Scuola di Tiro (School of Musketry) di Hythe, nel Kent.

Il rapporto Hythe del 12 maggio 1855 diceva:

The condition of the service ammunition for the rifle 1853, from the trials made, was found to be very unsatisfactory…. In order, therefore, to correct any imperfection which may exist, either in diameter of bullet or bore of barrel, it is desirable to adopt at once an iron cup in the Pritchett bullet, as in the Minie [1851] to insure increased expansion. Experiments are now being conducted at the School of Musketry to test the efficiency of the Pritchett bullet (fitted with an iron cup), the result of which shall be reported in a few days.

Quello del 17 maggio 1855:

The results of the experiments made with the bullets for musket 1853, fitted with an iron cup, have been most satisfactory; the shooting made with them, although the iron cup was of an imperfect shape, was far superior to that made with the service ammunition as at present manufactured, and justifies my recommending that the iron cup be at once adopted for the bullets for the rifle musket 1853. Further experiments will be made with a view to improve the shape of the iron cup.

Nel rapporto del 5 giugno 1855 venne discussa la scelta tra l’uso di una coppa emisferica di ferro (come nel 1851), un tappo conico con un buco in cima (suggerito dagli esperti di Hythe) oppure un tappo conico in legno. I risultati dimostrarono che il tappo conico di ferro era migliore dello scodellino, ma che il migliore di tutti (garantendo meno sporcizia della canna) era il tappo di legno.
I nuovi proiettili sono facili da identificare anche in assenza dello scodellino di ferro/tappo di legno, grazie alla maggiore lunghezza (29,7 mm contro i 27,4 mm dei vecchi) e alla cavità posteriore molto più profonda che nei Pritchett.
Il nuovo proiettile, conosciuto anche come Burton-Minié, pesava 530 grani (34 grammi) ed era spinto da una carica di 68 grani (4,4 grammi) di polvere da sparo, pari al 12,8% del peso del proiettile. Nelle cartucce prefabbricate era posto, col suo tappo di legno (o di metallo) in fondo e non in cima, con la punta rivolta verso la polvere da sparo. Questo avveniva perché era privo di solchi laterali in cui inserire il lubrificante (cera e grasso animale), per cui era la carta stessa attorno al proiettile ad essere lubrificata.

1851 primo tipo, 1851 secondo tipo, 1853 Pritchett, 1853 Iron Cup, Sette linee russo
Confezione da dieci cartucce Burton-Minié per il fucile Enfield 1853 e spaccato di una cartuccia che mostra la disposizione delle componenti.

Box: caricamento del fucile da fanteria Enfield 1853 (stando in piedi)

Istruzioni “semplificate” da The Infantry Manual containing Directions for the Drill and Instruction of Recruits, the Manual Exercise, the Revised Platoon Exercise, an Abstract of the Field Exercises and Evolutions of the Army ecc ecc… del 1854.
Questo è il sistema di caricamento del fucile che, a causa del grasso animale usato per ungere le cartucce, esasperò la situazione indiana e accese la scintilla della rivolta dei Sepoy del 1857. Una spiegazione dettagliata di questa complessa vicenda, spesso riletta in chiave nazionalista (e antistorica) dall’India moderna, si possono trovare in L’Assedio di Delhi di William Dalrymple.
Gli ordini che scandiscono le fasi di caricamento sono stati lasciati in inglese.

Prepare to Load
Tenendo l’arma per la canna con la mano sinistra, posizionarla con il calcio in terra e la bocca verso l’alto. La canna deve essere dritta, perpendicolare al suolo, a circa 15 cm dal corpo. Con la mano destra prelevare una cartuccia dalla borsa delle munizioni.

Load
1. Portare la cartuccia alla bocca, tenendola tra indice e pollice, l’estremità col proiettile posizionata nel palmo della mano. Il gomito deve essere vicino al corpo. Aprire coi denti l’estremità della cartuccia.
2. Portare il gomito all’altezza della spalla e rovesciare la polvere della cartuccia dentro la canna (il dorso della mano verso di sé, il palmo verso l’esterno).
3. Posizionare la mano sopra la canna con il palmo rivolto verso di sé, in modo che l’estremità col proiettile (e non quella con la carta svuotata dalla polvere) sia sulla bocca della canna. Tenendo la carta vuota tra indice e pollice, inserire l’estremità col proiettile dentro la canna.
4. Quattro.
5. Ora sporge dalla canna solo la porzione di carta vuota: strapparla con la mano e buttarla via. Sempre con la mano destra (la sinistra è rimasta tutto il tempo a tenere l’arma per la canna) afferrare la testa della bacchetta tra la seconda falange dell’indice e il pollice.

Rod
1. Estrarre la bacchetta a metà e afferrarla nel centro, tenendo il dorso della mano rivolto verso il viso.
2. Estrarla completamente e ribaltarla, in modo che la testa sia verso il basso e il dorso della mano verso l’esterno, e poggiarla contro il proiettile. La bacchetta va tenuta per l’asta con indice, medio e pollice, mentre anulare e mignolo devono rimanere chiusi.

Home
1. Spingere il proiettile giù per la canna fino a quando il dito medio tocca la bocca.
2. Afferrare la bacchetta come prima, ma subito sotto la cima.
3. Spingere il proiettile fino in fondo, tenendo sempre il gomito vicino al corpo.
4. Quattro.
5. Accertarsi che il proiettile sia posizionato sopra la polvere con due colpetti, evitando colpi troppo forti che potrebbero rompere i grani di polvere.

Return
1. Estrarre la bacchetta a metà e afferrarla con il dorso della mano verso il proprio viso e con l’avambraccio che fa angolo retto col bicipite.
2. Completare l’estrazione distendendo il braccio sopra la spalla e girare la bacchetta in modo che la sua testa sia verso l’alto e il palmo della mano verso il volto. Rimettere la bacchetta nella sua sede, arrivando alla fine a tenerla sotto la testa con l’indice e il pollice, come all’inizio dell’estrazione.

Cap
1. Afferrare il fucile con la sinistra poco oltre la batteria e portarlo in posizione orizzontale, stretto contro il fianco, con la mano destra che stringe l’impugnatura. Con il pollice della mano destra armare il cane a mezza corsa (per accedere al luminello).
2. Usando l’indice della destra far saltare via la capsula precedente, già utilizzata (se presente). Afferrare una nuova capsula tra indice e pollice. Posizionare la capsula sul luminello e premerla giù, usando il pollice. Riportare la mano destra all’impugnatura.

XXX yards. Ready
1. Aggiustare l’alzo. Usando il pollice e l’indice della mano destra regolare la tacca di mira per la distanza XXX ordinata. Nel caso usando l’alzo a cerniera. Riportare la mano all’impugnatura, con il pollice sul cane a mezza corsa.
[NdDuca. L’alzo varia da modello a modello. Nel moschetto del 1842 ad anima liscia c’è una tacca di mira fissa regolata per le 150 iarde (distanza limite del tiro utile per la palla sferica in anima liscia). Nel fucile minié del 1851 e in quello del 1853 l’alzo è regolabile fino a 900 iarde e più.]
2. Armare il cane completamente e riposizionare il pollice sull’impugnatura.

È possibile fabbricare anche cartucce vecchio stile, simili a quelle del Settecento, con il proiettile sopra e la polvere sotto. Ad esempio quelle dello Springfield 1861 avevano un proiettile minié con tre ampi solchi ingrassati, senza coppa di ferro e con la polvere sotto il proiettile. La carta si poteva buttare dopo aver fatto fatto cadere nella canna il proiettile oppure la si poteva inserire nella canna come stoppaccio proprio come accadeva nel Settecento con le palle sferiche di piombo (così se uno capovolgeva l’arma prima di sparare il proiettile non cascava fuori). La coppa di ferro era stata tolta perché un proiettile minié se accuratamente studiato (solchi, pareti non troppo spesse -ma nemmeno troppo sottili-, cavità ampia) può dilatarsi perfettamente senza aver bisogno di alcun aiuto ulteriore.

Cartuccia 0,58 per lo Springfield 1861

Il proiettile minié ha ottenuto una fama nell’ambito Ottocentesco superiore a quella che fu la sua reale diffusione in Europa. Questa fama è principalmente dovuta alla Guerra Civile americana e alla questione del grasso di mucca e di maiale al tempo della rivolta indiana del 1857. In realtà, come si è visto, i proiettili a “compressione” con la bacchetta coi sistemi Delvigne e Thouvenin furono perfino più diffusi nelle armi rigate dell’Europa continentale di quanto lo fosse il proiettile del signor Minié.
La Guerra Civile americana vide anche la nascita delle leggende sulla letalità delle palle minié, viste come “mostruosamente più letali” delle precedenti palle sferiche. In realtà a distanze molto basse (tiro sotto i cinquanta metri) avevano meno energia cinetica delle palle caricate con 1/3 del proprio peso in polvere nera, ma la maggiore densità sezionale ne conservava la letalità anche sulle lunghe distanze (al limite del tiro utile) e aumentava enormemente la gittata in cui erano in grado di frantumare le ossa (anche quelle più spesse) costringendo i chirurghi all’amputazione dell’arto.
Tra i soldati circolavano leggende di ogni tipo, come quella che una palla minié potesse penetrare un soldato e il suo zaino a 1200 iarde ed essere ancora in grado di uccidere un altro soldato. Oppure che potessero uccidere quindici uomini in fila. Esagerazioni non dissimili da quelle nate un secolo dopo sull’efficacia (sopravvalutata) dei giubbotti antischegge.

Osso frantumato da una palla minié

Il proiettile a compressione Lorenz

Un design alternativo alla palla a espansione fu quello a compressione. Invece di comprimere e allargare la palla colpendola con la bacchetta, si creava una palla con profondi solchi laterali (al posto del buco posteriore) in grado di collassare con la coda contro il blocco della testa sotto la spinta dei gas dello sparo. Era un sistema ingegnoso, ma meno valido e affidabile di quello della espansione… o almeno così dicono.
Due famosi produttori di questo tipo di proiettile furono il britannico Wilkinson e l’austriaco Lorenz.

Il proiettile a compressione Lorenz venne adottato con una certa segretezza dall’esercito Austro-Ungarico (nel manuale sulla carabina da Bersaglieri del 1855 c’è un disegno piuttosto “fantasioso” di quel misterioso proiettile di cui ancora si sa pochissimo) per i nuovi fucili a percussione con capsula M1854 e per i fucili degli Jager.
Il proiettile aveva un calibro di 0,545 pollici (quasi 13,9 mm) ed era lungo 1 pollice (25,4 mm). Pesava 450 grani (29 grammi) e usava 62 grani di polvere (4 grammi), pari al 13,77% del peso del proiettile.
Negli ampi solchi laterali non si può mettere il lubrificante, perché si schiacciano in fase di sparo, per cui il lubrificante va messo sulla carta che avvolge il proiettile (come nell’Enfield 1853).
Questo tipo di proiettile venne usato anche nella Guerra Civile americana: il Nord importò infatti 100mila fucili austriaci M1854 mentre il Sud ne importò 225mila. Si potevano comunque impiegare, come infatti fecero, anche palle minié in calibro 0,54 (il fucile M1854 è uno 0,547).

Proiettile Lorenz: prima e dopo lo sparo.

Una curiosità sul piombo impiegato nei proiettili…

Si utilizzava piombo morbido non perché non si sapesse fabbricare piombo duro (fonti dell’epoca affermano che già molti anni prima -nel periodo napoleonico o nel Settecento- gli inglesi fabbricavano proiettili sferici per i moschetti utilizzando piombo reso più duro legandolo con un 3% di antimonio), ma perché il piombo duro nonostante il vantaggio di impiombare meno la canna non è in grado di dilatarsi bene per aderire alla rigatura.
Con l’arrivo delle armi a retrocarica (1866-1867 per gran parte delle nazioni europee) si ricominciò a usarlo per limitare la sporcizia delle rigature, fino al 1885 quando si diffuse l’incamiciatura dei proiettili in acciaio oppure in rame/ottone.

…e una sulla carta delle cartucce.

La carta per le cartucce, quella da usare pure come stoppaccio, non è semplice “carta”. Si può prendere un foglio di giornale o una pagina della Bibbia e farci una buona cartuccia, ma non si può poi ficcare quella carta dentro la canna. La carta delle cartucce, fin dai suoi esordi nel Seicento, veniva trattata col nitrato di potassio e simili per renderla altamente combustibile, in modo da non lasciare scorie ancora accese dentro la canna dopo lo sparo. Non sarebbe divertente versare la successiva carica di polvere da sparo sopra un pezzetto di carta incendiata, no?
Gli stessi borraggi, usati quando si tira senza pezzuola con le palle di piombo sferiche, sono in feltro spesso in modo da venir spinti via con il proiettile senza finire a pezzi dentro la canna. Lo svantaggio di borraggi, stoppacci e pezzuole é che dopo cadono ancora infuocati sul terreno, a qualche metro dal tiratore, e se l’erba è molto secca e la stagione bella (tipo in India d’estate) può venirne fuori uno sgradevole incendio…

E i vecchi moschetti convertiti alla percussione?

Avevo spiegato che negli anni ’40 un po’ tutte le nazioni si erano messe a convertire (ridurre) i vecchi moschetti ad anima liscia dalla pietra focaia alla percussione. Ma visto l’enorme svantaggio della palla sferica rispetto alle palle lunghe in canna rigata, non erano troppo svantaggiati? A che serviva avere queste armi se i propri fanti sarebbero stati massacrati con discreta precisione a 300-500 iarde di distanza dalla armi nemiche rigate, senza poter mettere a segno un colpo nemmeno per sbaglio con le palle sferiche che arrivavano a 150 iarde scarse di tiro utile?

Dato che, contrariamente al pensiero dei non addetti ai lavori (leggasi “ignoranti”), i militari non erano del tutto scemi, si corse subito ai ripari. A parte l’Inghilterra, che continuò a usare solo palle sferiche nei moschetti modello 1842, sia la Francia che la Russia che il Regno di Sardegna al tempo della Guerra di Crimea dotarono i reggimenti con armi ad anima liscia di un munizionamento migliore, la palla Nessler.

La palla nessler è un proiettile di invenzione belga creato per evitare il moto rotatorio della palla sferica tradizionale e permettere allo stesso tempo l’adesione precisa alla canna, evitando i rimbalzi interni. È un proiettile cilindro-sferico, con la porzione cilindrica non più lunga di 2/3 del diametro (altrimenti si appesantiva troppo in coda), e una concavità posteriore per permettere una limitata espansione al momento dello sparo. In tal modo la palla poteva venire caricata ad avancarica con la rapidità delle palle sferiche sottodimensionate (usando cartucce ingrassate simili a quelle dell’Enfield 1853) e allo stesso tempo poteva aderire alla canna bene come le palle a forzamento con la pezzuola. L’espansione della nessler non le permetteva di aderire a fondo alle rigature (in canna rigata salterebbe le righe andando dritta come in una canna liscia), ma era più che sufficiente per aderire alla canna liscia.

Una palla nessler aveva due volte la gittata utile di una palla sferica (sia secondo i test moderni che secondo le affermazioni dell’epoca), ovvero circa 300 iarde (270 metri), con una buona precisione garantita dal baricentro avanzato che le permetteva di non ribaltarsi in volo anche se priva del moto rotatorio impresso dalla rigatura.
La gittata rimane inferiore a quella dei fucili rigati con proiettili allungati, ma quantomeno si guadagna un po’ di gittata ulteriore (300 iarde contro 500 è meglio di 150 contro 500). I russi, forse i principali utilizzatori di palle nessler, durante la Guerra di Crimea si lamentarono che i loro moschetti non potevano colpire gli inglesi quando quelli degli inglesi già potevano far fuoco con precisione. Questa lamentela non è dovuta solo alla minore gittata delle palle nessler, ma anche al fatto che non tutti i reggimenti russi armati di moschetti ad anima liscia le impiegavano: molti utilizzavano ancora palle sferiche di piombo (ne sono state rivenute di varie dimensioni, come se neppure il calibro dei moschetti russi fosse standardizzato per tutto l’esercito).

Nessler russa, francese e sarda

Nessler russa: è leggermente più lunga delle Nessler francesi e sarde. Diametro e lunghezza di un tipico esemplare: 0,670 pollici (17 mm). Peso 488 grani (31 grammi).
Nessler francese: più corta e leggera della russa. Calibro 0,675 (17,1 mm), lunghezza 0,580 (14,7 mm) Peso 453 grani (29 grammi).
Nessler sarda: simile alla Nessler francese, ma con la punta tonda invece che appiattita. Peso 450 grani (29 grammi) e lunghezza poco inferiore al diametro (16,6 mm).

Nel frattempo in Prussia…

Mentre le nazioni europee si lanciavano nell’acquisto di armi ad avancarica con design sempre migliori, ma tutte piuttosto lente da caricare (2-3 colpi al minuto in battaglia, 3-4 teorici), la Prussia nel 1841 aveva acquistato e nascosto in un arsenale segreto 60mila esemplari del fucile ad ago Dreyse M1841. Tra i 10 e i 12 colpi al minuto.
Era un’arma così formidabile per l’epoca che il Ministero della Guerra prussiano mantenne la massima segretezza anche durante gli addestramenti dei reggimenti che la dovevano impiegare (molto difficile in un’epoca in cui lo spionaggio militare anche in tempo di pace era una prassi), perché dopo i primi successi sul campo erano sicuri che tutti l’avrebbero copiata. Ma dei fucili ad ago e dei revolver cap-and-ball parlerò nei prossimi articoli…

Due manuali d’epoca da scaricare

The Infantry Manual (Gran Bretagna, 1847)
Carabine da Bersaglieri (Regno di Sardegna, 1855)

Il Duca di Baionette

Sono appassionato di storia, neuroscienze e storytelling. Per lavoro gestisco corsi, online e dal vivo, di scrittura creativa e progettazione delle storie. Dal 2006 mi occupo in modo costante di narrativa fantastica e tecniche di scrittura. Nel 2007 ho fondato Baionette Librarie e nel gennaio 2012 ho avviato AgenziaDuca.it per trovare bravi autori e aiutarli a migliorare con corsi di scrittura mirati. Dal 2014 sono ideatore e direttore editoriale della collana di narrativa fantastica Vaporteppa. Nel gennaio 2017 ho avviato un canale YouTube.

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