Armi da Fuoco

Il fucile Baker e la morte del generale Colbert

Oggi niente articoli sugli eBook e niente tristi constatazioni sul Fantasy in Italia. Oggi voglio parlare di balistica applicata a un evento realmente accaduto. Ricordate il vecchio articolo sulla nonnina con la pistola? Qualcosa di simile.

Non ho ancora scritto né un articolo specifico sulla balistica dei proiettili sferici né uno di introduzione dal punto di vista balistico (non medico) sulle ferite da armi da fuoco, ma penso che cominciare con un caso concreto per introdurre elementi che poi verranno trattati nei futuri articoli dedicati possa essere un modo divertente per entrare nell’ottica che tutta questa roba matematicosa può avere una qualche utilità pratica.

Utilità che si manifesta in più ambiti:

  • Per progettare regole per giochi: io stesso ho creato una gestione della penetrazione e delle ferite per GURPS interamente basata sui risultati reali e sulle formule.
  • Come supporto per la narrativa e i ragionamenti fantastici: il Gewehr 1898 impiegando proiettili a punta tonda del 1901 può trapassare da parte a parte un Ent e colpire l’Hobbit nascosto dietro? Un soldato italiano del 1915 proiettato col suo Carcano nel 1540, fino a che distanza può perforare le corazze più pesanti utilizzate dai cavalieri dell’epoca?
  • E per dare risposte a casi storici e dubbi forensi: un proiettile da 7,65 Browning può perforare da parte a parte un cranio a 100 metri di distanza o l’assassino era più vicino?

Affrontiamo un caso storico che ha fatto discutere per due secoli gli appassionati di tiro di precisione ad avancarica. Vediamo come la balistica esterna e la balistica terminale possano essere utilizzate nell’analisi della morte del generale Auguste François-Marie de Colbert-Chabanais.


Il generale Colbert (1777-1809)

La domanda a cui voglio rispondere è: qual era la distanza massima possibile a cui poteva trovarsi Thomas Plunkett quando sparò col fucile rigato Baker per uccidere Colbert?

La morte di Colbert: i fatti noti

Sintetizzo visto che non è l’intera vicenda storica in sé a interessare, ma il solo sparo.

Thomas Plunkett (o Plunket) è un fuciliere nel primo battaglione del 95esimo reggimento, uno dei due reggimenti di Giubbe Verdi. È il 3 gennaio 1809 e siamo nel pieno della disastrosa ritirata inglese iniziata nel Natale del 1808. Gli inglesi sono imbottigliati su un ponte presso il villaggio di Cacabelos, sulla strada per Corunna. Il giorno prima a Villafranca del Bierzo le truppe, centinaia di analfabeti ubriachi e affamati, si sono rivoltate: hanno saccheggiato i magazzini e distrutto la cittadina.

Siamo in una situazione in cui un attacco francese potrebbe mandare in rotta quel che resta dell’esercito inglese, ormai prossimo al collasso. Ai fucilieri del primo battaglione del 95esimo, essendo considerati tra i più disciplinati di fronte al nemico, viene assegnata la retroguardia: sono schierati su una collina a protezione dell’esercito mentre attraversa il ponte.

I francesi incalzano. Attaccati del 15esimo Cacciatori a Cavallo e dal terzo Ussari, le Giubbe Verdi scendono dalla collina e si ritirano verso il ponte. I francesi li inseguono, ma incontrano la compagnia leggera del 28esimo reggimento e il 15esimo Ussari, rimasti indietro per proteggere il passaggio di sei cannoni della Reale Artiglieria a Cavallo. Gli inglesi, affamati, incazzati e disperati, respingono l’attacco francese.

A questo punto entra in gioco il generale Colbert, un bel gentiluomo francese su un cavallo bianco. Colbert cavalca su e giù tra le truppe, cercando di riorganizzarle per tentare un secondo attacco e massacrare gli inglesi prima che possano completare la ritirata. Colbert è coraggioso, ma non è pazzo: è a circa 400-500 metri dagli inglesi per cui è sicuro che le Giubbe Verdi, che hanno un debole per l’uccisione degli ufficiali, non possano colpirlo.

Thomas Plunkett si è accorto di quello che sta succedendo, rompe i ranghi e si avvicina senza essere visto ai francesi. È molto distante da Colbert, secondo alcune fonti 700 metri (una distanza impossibile, come vedremo dopo), secondo altre meno di 200 (in fondo uccidere il generale nemico e salvare tutti è un gran cosa anche a 180 metri, no?). Colbert continua a riunire la cavalleria per lanciarsi sugli inglesi in un assalto che permetta di catturare i sei cannoni.

Plunkett si sdraia tra il fango e la neve, assumendo la peculiare posizione inglese per il tiro di precisione dell’epoca: sulla schiena, con il piede destro che scavalca la gamba sinistra e tende la cinghia del fucile, il calcio sotto l’ascella destra. Una posizione bizzarra e scomoda, ma che pare funzionare bene per stabilizzare l’arma come se fosse montata su un affusto.

Plunkett uccide il generale Colbert. Notate la posizione di tiro supina o “ortodossa”.

Il tiro di Plunkett

Plunkett è uno dei migliori tiratori del 95esimo. Nel 1807, a Buenos Aires, si è piazzato sul tetto del convento di Santo Domingo e ha ucciso da solo venti soldati spagnoli e un ufficiale (l’ufficiale sventolava una bandiera per chiedere la tregua, ma Plunkett non conosceva il significato delle bandiere). Plunkett prende la mira e spara. Colbert crolla da cavallo, morto o moribondo.

Plunkett sta già ricaricando il fucile, forse usando la scomoda procedura per la ricarica da sdraiati, mentre un aiutante di campo cerca di soccorrere il generale. I francesi sono in allerta: sparare ora equivale e indicare la propria posizione con una bella nuvoletta bianca e trovarsi addosso la cavalleria. Plunkett se ne fotte: prende la mira e uccide anche il secondo ufficiale.

Questo dovrebbe bastare a dimostrare che il primo centro non era stato solo un colpo di fortuna. Il suo prestigio di tiratore vale più del rischio di farsi ammazzare. La cavalleria francese lo individua e lo insegue, ma Plunkett riesce a tornare sano e salvo tra i suoi compagni che lo acclamano. Senza Colbert i francesi non saranno in grado di massacrarli!

La vicenda non è riportata da tutte le fonti storiche, dato che alcuni contemporanei che hanno parlato della ritirata non si trovavano su quel lato del fiume e quindi hanno raccontato la schermaglia coi francesi da un altro punto di vista. Non è nemmeno sempre specificato dove sia stato colpito Colbert. Io immaginavo nel petto, data la dispersione dei colpi di un fucile come il Baker sulle lunghe distanze, ma altre fonti indicano la testa (sopra l’occhio sinistro, pare).

Anche Napoleon’s Commanders (1) 1792-1809 di Philip J. Haythornthwaite segnala un colpo in testa. Seppur difficile da colpire con un fucile simile, è una locazione perfetta per uccidere all’istante. Nella sezione dell’articolo dedicata al calcolo della distanza, considererò che il proiettile abbia colpito il cranio.

Il fucile Baker

Avevamo già parlato delle armi a pietra focaia tre anni fa. Non spiegherò di nuovo il funzionamento generale per cui se proprio non sapete cosa sia un fucile a pietra focaia, leggetevi il vecchio articolo.

Il fucile Baker è un eccellente fucile rigato a pietra con acciarino alla moderna (l’eccellente acciarino militare a collo di cigno usato da francesi e inglesi). Quando la Board of Ordnance fece i test nel 1800 per scegliere un fucile per le Giubbe Verdi, il fucile di Ezekiel Barker sconfisse senza problemi la concorrenza. Un’arma in grado di rivaleggiare con i migliori fucili da caccia tedeschi, come quelli copiati e impiegati da certi ribelli americani durante la guerra di indipendenza.

Pesa 9 libbre (4 kg) e ha una canna da 30 pollici (76 cm) con sette solchi di rigatura e un passo piuttosto lento, appena un quarto di giro (le prove del 1803 in cui venne confrontato con un fucile rivale da mezzo giro mostrò che il passo più rapido rendeva meno stabile il proiettile sferico).


La lunga spada-baionetta serve a compensare la minore lunghezza della canna quando si forma un quadrato di fanteria per respingere la cavalleria nemica.

La canna ha un calibro di 0,625 pollici (15,9 mm), ma per semplicità nella logistica delle munizioni venne fabbricato a partire dal 1809 anche in calibro 0,75 (19 mm) in modo da poter impiegare nel tiro rapido le cartucce sottodimensionate del fucile Brown Bess usato dal resto della fanteria inglese (e anche le palle francesi, circa 1,5 mm più piccole: un vantaggio che faceva sempre piacere agli inglesi). Il fucile Baker in questo caso non era ovviamente un modello 1809, ma uno dei precedenti in calibro 0,625.

Polvere e palle

In base alla fonte ho trovato pesi diversi per le cariche di polvere nera del fucile Baker. Nel test del 1803 vennero usati 84 grani (5,44 grammi) di polvere per una palla da 1/20 di libbra (22,5 grammi circa), che è una dose un pochino bassa per gli standard dell’epoca (24%).

Vi ricordo che i fucili Brown Bess impiegavano cariche pari a metà del peso della palla, con botte sulla spalla così forti da portare i soldati a buttare in terra parte della polvere (nonostante il rischio di fustigazione) pur di ridurle, e nei test austriaci vennero velocità molto elevate anche usando cariche da appena un terzo del peso della palla. Queste cariche sembrano enormi rispetto a quelle per i proiettili cilindro-conici di metà Ottocento, ma come vedremo nel futuro articolo sulla balistica delle palle sferiche (e un pochettino anche in questo) è tutta colpa della “palla tonda”.

Su The King’s German Legion di Mike Chappell vengono indicati 4 dram (109-110 grani, 7 grammi) per il tiro con palla e pezzuola, ovvero per il tiro di precisione, e 6 dram (164-165 grani, 10,5 grammi) per il tiro rapido usando cartucce con carica pronta e palla sottodimensionata (1/22 di libbra, 20,5 grammi), come se il Baker fosse un moschetto ad anima liscia.

Altre fonti indicano anche la presenza di cartucce rapide di sola polvere, da usare al posto della fiaschetta, con 2,5 o 3 dram. I soldati portavano di solito due fiaschette di polvere, infilate in tasca: una con ottima polvere da fucileria, in grani uniformi (di dimensione FFg o forse perfino FFFg), l’altra con polverino fine per lo scodellino (FFFFg immagino) in modo da assicurare l’accensione certa.

Una fonte indicava due cariche diverse per il tiro di precisione: 2 dram entro le 150 iarde (135 metri) e 4 dram oltre. Mi pare ragionevole che si risparmi polvere quando non serve chissà quale velocità alla bocca, anche se 55 grani sono davvero pochini per una palla da 350 grani.

Se il dosatore della fiaschetta fa di base 2 dram non c’è nessun problema a calcolare una dose singola o una doppia. Mi paiono cariche ragionevoli, in particolare quella da 110 grani per il tiro lungo che equivale a quasi un terzo del peso della palla.

Lo stesso Ezekiel Baker in Twenty-three Years Practice and Observations with Rifle Guns del 1804, in riferimento alle cariche che ha impiegato per fare ottime rosate a 200 iarde (180 metri), dice:

The charge of good powder I have found to be nearly equal to one-third the weight of the ball, priming included

Che con palle da 350 grani equivale proprio a 110-120 grani di polvere, inclusa quella per lo scodellino. Facendo un po’ di conti, con l’ausilio di dati di altri test con cariche note, mi viene una velocità alla bocca di circa 470-500 m/s, perfetta per tirare (e ferire il bersaglio) entro le 400 yarde.

Il caricamento con la pezzuola

Nel caricamento a palla forzata si usa una palla sferica dal diametro poco inferiore a quello interno della canna (0,615 pollici per una canna da 0,625, nel caso del fucile Baker) che con l’aiuto della pezzuola unta (spessore 0,010 pollici), che agisce sia come lubrificante che come sabot, aderisce alla rigatura senza permettere il passaggio dell’aria.

Questo è il sistema di caricamento usato dalle Giubbe Verdi inglesi durante le guerre napoleoniche e dai miliziani americani della Guerra d’Indipendenza che usavano i temibili fucili da caccia Kentucky (derivati dai fucili da caccia tedeschi) in calibro 0,40-0,50 pollici.

Con canne rigate e pezzuola è preferibile usare proiettili in piombo morbido al posto di quelli standard militari in piombo indurito col 5% di antimonio, in modo che possano seguire al meglio la rigatura anche quando inizia a riempirsi di feccia.

  1. Si versa la polvere nella canna con una fiaschetta, un corno dosatore oppure una cartuccia senza palla.
  2. Si poggia al centro della bocca dell’arma la pezzuola, un quadratino (o un tondino, nel caso del Baker) di cuoio ben lubrificato con olio vegetale, cera o grasso animale.
  3. Si poggia la palla sopra la pezzuola e si spinge dentro col pollice: la pezzuola deve essere abbastanza grande da coprire più di metà della palla (in modo che aderisca sui lati contro la rigatura), ma non più dei due terzi (per non interferire con la traiettoria ed essere “scartata” agevolmente all’uscita dalla canna, come se fosse un sabot).
  4. Quattro.
  5. Con la bacchetta si spinge la palla giù per la canna, fino a farla poggiare contro la polvere (distanza nota, registrata per comodità con un segno sulla bacchetta): la palla, per quanto aderente grazie alla pezzuola, scivolerà aiutata dal lubrificante senza costringere a sforzi sovrumani. Lo sforzo e il tempo di caricamento diventano sempre maggiori a mano a mano che le rigature della canna si riempono di “feccia”, ovvero polvere da sparo mal combusta, piombo e residui di pezzuole bruciate. Non bisogna spingere di più perché altrimenti la palla per scendere spezza i grani di polvere, modificandone le proprietà esplosive e quindi il comportamento balistico della palla. La spinta deve essere lenta, per piccoli tratti, tramite colpetti.
  6. Se a circa dieci centimetri dalla polvere la palla offre una maggiore resistenza alla discesa bisogna fermarsi subito. Il focone potrebbe essersi otturato, impedendo all’aria di fuoriuscire. Se si spinge con forza l’aria verrà compressa aumentando la pressione e la temperatura fino a far esplodere la carica di polvere (e infatti la bacchetta si maneggia per sicurezza tenendola di lato e non spingendo da sopra, così se viene “sparata” non colpisce la mano). Bisogna prendere lo spillo (che fa parte del set di pulizia dell’arma) e scrostare il canale che collega lo scodellino alla canna prima di proseguire il caricamento.
  7. Finito: ora si carica lo scodellino con 10 grani circa di polvere fine (minimo FFFg, preferibilmente FFFFg).

Se la canna non è troppo sporca e non oppone resistenza al caricamento, un soldato ben addestrato può fare tutto in 30 secondi o poco meno.

Il caricamento con palle sottodimensionate e cartucce richiede invece dai 12 ai 20 secondi. Con un minimo di esperienza tutti i soldati devono poter caricare un Brown Bess in 20 secondi, arrivando a 12-15 secondi quando diventano degli esperti di ricarica veloce.

Il tempo di ricarica per un soldato esperto è quindi il doppio, o poco meno del doppio, del tempo necessario per caricare un moschetto ad anima liscia con palle sottodimensionate (o un fucile rigato con palle minié, che arriveranno mezzo secolo dopo).

Due posizioni per il tiro da sdraiati tratte dal libro di Baker. Quella a pancia sotto era criticata perché, non disponendo di un bipiede o di un caricatore sporgente sotto l’arma, mancava un solido appoggio fornito invece dai piedi e dalla cinghia nella posizione “ortodossa” (qui mostrata nella variante con entrambe le gambe distese). Interessante l’idea di usare il pesante copricapo in cuoio bollito come appoggio.

La precisione dell’arma

L’accuratezza dipende, come sottolinea lo stesso Baker nel suo libro (e come veniva detto nel manuale sulla carabina dei Bersaglieri), dalla capacità del tiratore di calcolare con estrema precisione la distanza del bersaglio e compensare il tiro verticalmente di conseguenza. E ovviamente, è implicito, dalla capacità di tirare per colpire proprio dove si desidera, senza introdurre errore umano.

Baker dice che per la carabina rigata c’è una tacca di mira fissa azzerata a 200 yarde: per tiri prima o dopo quella distanza bisogna compensare mirando più in basso o più in alto rispetto al punto che si vuole colpire (oltre alla correzione verso il basso per compensare il rilevamento della canna, se necessaria).

Sulla precisione, ovvero la dispersione dei colpi attorno al punto mirato, il tiratore non può fare nulla. Il tiratore migliore del mondo è quello che azzera l’errore umano, lasciando solo l’errore della combinazione arma-munizione scelta. La dispersione dei colpi al giorno d’oggi si misura in MOA.

Un singolo MOA, usando la definizione più semplice, equivale a un cerchio largo 1 pollice (1,047, per precisione) entro cui ricadono tutti i colpi sparati (in gruppi di 5 o 10) alla distanza di 100 iarde (91,4 metri), ovvero una dispersione di tutti colpi sparati entro un cerchio di diametro di 2,908 cm a 100 metri.

  • Un moschetto come il Brown Bess o il Charleville sta sopra i 20 MOA. Non è una bella cosa, se stai sparando a un bersaglio molto oltre i 50 metri.
  • Una pistole Beretta 34 usata dagli ufficiali italiani a metà Novecento aveva 20 MOA. Si, non è granché: è fatta per sparare con ottimi risultati entro i 25 metri.
  • Una pistola Colt M1911 stava sugli 8 MOA. Anche un AK-47 un po’ scassato, con munizioni raffazzonate artiginali, stile passo Khyber, può viaggiare su valori simili.
  • Un fucile da battaglia o d’assalto con munizioni standard militari ha circa 2-3 MOA.
  • Un vecchio fucile monocolpo del 1870-1880 (o un AK-47 in buone condizioni) stava sui 4-5 MOA.
  • Un fucile militare per tiratore scelto deve poter ottenere gruppi da 1,5 MOA o meno (lo standard è possibilmente 1 MOA) con munizioni match grade.

Riguardo alle munizioni match grade bisogna dire che quelle militari sono (erano?) delle schifezze rispetto a quelle commerciali di ultima generazione, per cui un civile col suo superfucile nuovo può ottenere anche 0,25 MOA in condizioni ideali. Avevo già parlato un po’ di questa cosa in passato.

Cosa significa in concreto una precisione di 2 MOA? Che a 400 metri i tuoi colpi finiranno tutti da qualche parte dentro un cerchio del diametro di 23-24 cm per cui non puoi colpire con adeguata sicurezza qualcuno in un occhio nemmeno se sei il miglior tiratore dell’Universo e hai un mirino telescopico per mirare con esattezza assoluta la pupilla. E se hai un Martini-Henry e tiri a 4,5 MOA entro la massima distanza utile, circa 800 metri, devi essere già estremamente contento se colpisci in generale un essere umano (dispersione dei colpi in un diametro di un metro).

Che dispersione aveva il fucile Baker?

Bella domanda. Ci sono alcuni test dell’epoca, ma riguardano combinazioni di canne e cariche di polvere diverse, per cui vanno valutati con le pinze. Nei test del 1800 dela Board of Ordnance, usando una canna da circa 0,75 pollici con palle da 31 grammi piazzò 11 colpi su 12 in un cerchio del diametro di 4,5 piedi a 300 iarde (consideriamoli come se fossero tutti i colpi sparati: il 12esimo non si sa che fine ha fatto, se era un tiro di prova o se era un malfunzionamento dello scodellino). Sarebbero 18 MOA. Forse un po’ troppo. Considerate che la pistola Beretta 34 faceva 20 MOA.

Cosa non mi convince in questo test? L’arma era immobile su un affusto, e questo azzera l’errore umano, ma la carica era inferiore a quella ideale testata da Baker: solo 110 grani per un proiettile da 480 grani, con una velocità alla bocca probabilmente pari o poco superiore a quella del suono (330 m/s). Dose decisamente inadeguata.

Nonostante tutto fu il fucile che si comportò meglio, battendo armi americane e tedesche che usavano un passo della rigatura più rapido (tre quarti di giro o un giro intero ogni quattro piedi… lui usava appena un quarto di giro per tutta la canna da due piedi e mezzo!), forse troppo rapido per delle palle sferiche con pezzuola.

Abbiamo anche altri test. Quello a 200 iarde per il Principe del Galles è inutile considerarlo: il Baker si comportò molto meglio del fucile concorrente Nock (non c’è paragone), ma l’arma usata era una versione stile carabina da cavalleria con canna da appena 20 pollici (invece dei 30 dei fucili usati dalle Giubbe Verdi) pensata per i Dragoni Leggeri, con carica ridotta di conseguenza ad appena 84 grani per palle da 350 grani. Inadeguato per rappresentare la vera precisione del fucile Baker (e infatti fece circa 20 MOA).
Altrettanto inutile è il test a 12 iarde, sempre per il Principe del Galles, in cui il Baker piazzò tre palle nello stesso foro.

Molto più interessante il test con l’eunuco. No, non ha sparato al custode castrato di un harem: l’eunuco è il nome tecnico di un tipo di bersaglio alto sei piedi (un metro e ottanta) con disegnato un uomo eretto i cui genitali sono proprio nel centro del bersaglio.

Baker sparò alla distanza di 200 iarde, con l’aiuto di un appoggio (ma senza un affusto, quindi un minimo di errore umano c’era), calcolando da solo come compensare la caduta in base alla distanza visto che le mire andavano ancora sistemate (i primi due colpi vennero belli affiancati, ma subito sopra i capelli dell’eunuco).

Dopo aver capito come compensare l’errore delle mire, piazzò 18 colpi dentro al torso e al braccio dell’eunuco, più altri due nella coscia, uno sopra l’occhio sinistro e uno nell’inguine al fianco dei genitali. Se non consideriamo i colpi mirati apposta (o per errore) più in basso o più in alto e consideriamo solo la dispersione orizzontale come indicatore, abbiamo ben 18 colpi in un cerchio del diametro di 1,8 piedi al massimo, pari a poco meno di 11 MOA. Con 11 MOA la fama di miglior fucile a pietra focaia per uso militare della storia è assolutamente meritata!

I risultati a 100 iarde però non sono altrettanto straordinari, visto che la dispersione non si mantiene di 11 MOA. Con 34 colpi piazzati si avvicina di più ai 15 MOA. Sempre ottima per un’arma del 1800 che usa palle sferiche, credo superiore a quella dei famosi fucili Kentucky, ma meno straordinaria. Risultati bizzarri comunque: la dispersione non può “aumentare” a distanze minori e “ridursi” dopo. Ritengo i risultati a 200 iarde più affidabili e ragionevoli.

Un’arma in grado di colpire con sicurezza un uomo a 200 iarde (182 metri) e con buone possibilità, in mano a un tiratore esperto, fino a 300 iarde (274 metri). Davvero buono per l’epoca! La stessa opinione è espressa anche da Ezekiel Baker che scriveva:

I have found 200 yards the greatest range I could fire to any certainty. At 300 yards I have fired very well at times, when the wind has been calm. At 4 and 500 yards I have frequently fired, and I have sometimes struck the object

L’analisi balistica del caso Colbert-Plunkett

Dopo aver visto qual è la dispersione dei colpi a 300 iarde penso che nessuno possa sostenere che il tiro di Plunkett sia avvenuto a 800 iarde, giusto? Lo scopo dei conti che seguiranno è valutare qual è la massima distanza possibile a cui potrebbe essere avvenuto il tiro.

Immaginiamo che i due colpi consecutivi a segno siano dipesi da una notevole fortuna, ovvero che Plunkett abbiamo calcolato la distanza con un errore ridottissimo (meno di 10 iarde) ed effettuato un tiro perfetto, azzerando l’errore umano. Anche se si azzera l’errore umano, rimane presente l’errore dell’arma.

Colpire un bersaglio quando la dispersione dei colpi, pur mirando perfettamente nel centro, è maggiore del bersaglio stesso, non è questione di abilità nel centrare o meno: entra in gioco anche il “culo”, ovvero tutte le variabili del volo del proiettile non governabili dall’uomo. Valutiamo la distanza massima possibile a partire quindi dalla ferita inflitta: se poi dovesse rimanere una distanza molto lunga, daremo per scontato il fattore “culo”.

Io però, a quanto so delle palle sferiche (come ricorderete dagli articoli precedenti, perdono circa metà dell’energia nei primi cento metri e dimezzano la velocità entro i duecento), scommetto che non avremo bisogno di appellarci a nessuna distanza estrema. ^_^

Calcolare la distanza massima del tiro

Come procedere? Semplice. Valutiamo la perdita di velocità della palla nel bersaglio (cervello, ossa del cranio, pelle) per sapere a che velocità minima deve averlo colpito, poi calcoliamo qual è la distanza massima a cui può essere arrivata la palla per possedere ancora quella velocità.

Non è difficile. Per la ferita utilizzeremo le formule di Sellier per la velocità limite sulla cute, la velocità residua dopo la penetrazione di uno strato noto di osso e la penetrazione nel cervello (tessuti molli). Per la distanza utilizzeremo la tavola di decelerazione di Journée (quello famoso per il calcolo della gittata massima dei pallettoni).

Non avete bisogno di spulciare complicati libri di balistica pieni di formule strambe (quello di Sellier e Kneubuehl, Wound ballistics and the scientific background, è introvabile a quanto so): le formule per la penetrazione nel corpo sono descritte qui e quelle per la decelerazione sono invece qui. Ringrazio Edoardo Mori per le ottime spiegazioni fornite.

www.earmi.it di Edoardo Mori, uno dei miei siti preferiti: le nuove generazioni di appassionati di oplologia sono cresciute con lui.

Balistica della ferita

La prima cosa che il proiettile incontrerà è la pelle, un materiale molto elastico e resistente in grado di ammaccarsi senza perforarsi contro proiettili arrotondati a bassa velocità. La formula per calcolare la perforazione della pelle considera solo la densità sezionale per cui non importa qual è la velocità di impatto della palla (a differenza della formula per la penetrazione dei tessuti molli, dove più sei veloce e più bruscamente deceleri nei primi centimetri). L’unica cosa che conta è la densità sezionale. Facendo due conti viene 32,65 m/s che possiamo arrotondare a 33 m/s per semplicità.

Dopo la pelle c’è il cranio. Un cranio maschile adulto è spesso mediamente 6,5 mm. Per motivi un po’ lunghi da spiegare, magari ci tornerò un giorno con un articolo di introduzione sulla balistica delle ferite, ho considerato lo spessore dell’osso da penetrare maggiore di quanto fosse.

L’ho fatto  per simulare il’impiego di palle in piombo morbido invece di proiettili blindati (ho usato come guida la diversa costante presente nell’altra formula per la penetrazione in osso). Invece di 6,5 mm di osso ho stimato 9,5 mm. Non è cambiato praticamente niente: la formula pare tarata su ossa umane di spessore ridotto, non più spesse delle vertebre, per cui la differenza tra bucare 5 mm o 2 cm è di pochi metri al secondo (si vedano gli esempi di Mori sul sito).

Credo dipenda dal crack che si trasmette nell’osso, come un vetro che si frantuma. Dato che questo forse può rendere problematico fare i conti con la formula della velocità residua in caso di grandi spessori (vengono cose strane, IHMO, come un 9×19 che perfora 32 cm di osso!), ovvero spessori molto superiori a quelli umani per cui pare tarata, penso che in futuro manderò una mail a Mori per chiedere consigli: altrimenti come faccio a simulare il tiro di una Luger 08 contro il cranio di un drago lungo venti metri? ^_^

Per sapere con che velocità dobbiamo colpire il cranio, dobbiamo prima sapere che velocità vogliamo avere dopo averlo perforato. Andiamo sul sicuro: circa 12 cm di penetrazione nel cervello. A meno di un miracolo dovrebbe assicurare una ferita mortale. Per ottenere questa penetrazione, come spiegherò in futuro quando parlerò della balistica delle ferite, basta che la formula dei tessuti molli ci dia 6 cm di penetrazione.

Spiego in breve il problema. La formula prevede che il risultato venga moltiplicato per la densità sezionale, ma gli studi di Fackler hanno dimostrato che proiettili del peso di “una sola palla di quel calibro” penetrano il doppio di quanto la formula preveda. Fackler ha effettuato esperimenti di tiro nella gelatina balistica sia con una palla grossa e pesante (17,5 mm a 165 m/s, in piombo) che con una palla piccola e veloce (6 mm per 1031 m/s, in acciaio), in entrambi i casi la penetrazione è stata doppia rispetto al previsto.

La cosa dipende dal fatto che la formula è tarata per mostrare la maggiore penetrazione di proiettili ad alta densità sezionale, avvantaggiati nello scavarsi una via nell’aria o nei tessuti molli, senza però tenere conto che al di sotto di un peso pari a “due palle dello stesso materiale di quel calibro” non vi è però alcuno svantaggio per il proiettile.

Correggere il conto per le palle sferiche è molto semplice. Basta saperlo. La velocità necessaria risultante è quindi di 95 m/s per 5,96 cm di penetrazione, pelle inclusa. Dato che la pelle l’abbiamo calcolata prima, non va conteggiata due volte. Sono quindi 62 m/s per il solo cervello.

Ok, ora possiamo usare la formula per la penetrazione nelle ossa. Vogliamo una velocità finale di 62 m/s circa. Con 133 m/s otteniamo una velocità residua poco inferiore a quanto richiesto. Con 134 m/s otteniamo una velocità poco superiore, con 71 m/s per sfondare il cranio e 63 m/s per spappolare il cervello.
Sommiamo il tutto: 33 m/s per la pelle più 71 m/s per il cranio più 63 m/s per il cervello, ovvero un totale di 167 m/s.

La distanza del tiro di Plunkett

A quale distanza massima la palla del Baker poteva ancora disporre di 167 m/s? Le velocità alla bocca la stimiamo di 500 m/s quindi possiamo perdere al massimo 333 m/s. Facendo due conti possiamo notare che la massima distanza a cui possiamo disporre ancora di 167 m/s è quella in cui la somma dei due valori (R e il coefficiente balistico Cb moltiplicato per la distanza stessa) è circa 5,2446. Con 500 m/s otteniamo un valore R di 0,8240 per cui rimane solo 4,4106 da sommare. Questo equivale a una distanza di 334 metri (365 iarde).

Dal punto di vista della dispersione è una gittata che richiede una grossa quantità di culo per permettere un bel centro nel cranio. Fate due conti voi: un bersaglio cranico largo 20-25 cm quando i colpi si disperdono a caso in un cerchio del diametro di 100-150 cm? Sembra molto più ragionevole delle fantomatiche 800 iarde, ma se dovessi valutare la vicenda solo dal punto di vista della dispersione considererei molto più credibile una distanza di 200 iarde.

L’eroismo dell’azione sta nell’essere avanzato a metà strada tra le proprie forze e i nemici per abbattere il generale avversario, non in cento metri in più o cento metri in meno di tiro. A 200 iarde ci vorrebbe meno culo e più coraggio: non sarebbe un brutto scambio. Non credi?

Comunque non si stava parlando di quale fosse la gittata più probabile dal punto di vista della dispersione dei colpi, ma solo quale era quella massima a cui si poteva uccidere Colbert ed è 334 metri.

Se consideriamo l’uso di cariche maggiori, magari una dose maggiorata del 50% di polvere, si può guadagnare ulteriore gittata, ma l’ampiezza della dispersione e la caduta verticale del proiettile diventano sempre più ridicole e diventa eccessivo poter ipotizzare due colpi mortali di seguito (il secondo, quello sull’aiutante, non si sa dove è finito: immagino nel torso).

Fine. Soprattutto per Colbert.

 


Approfondimenti.
The 95th Rifles & Royal Horse Artillery
Twenty-three Years Practice and Observations with Rifle Guns di Ezekiel Baker (1804)

 

Il Duca di Baionette

Sono appassionato di storia, neuroscienze e storytelling. Per lavoro gestisco corsi, online e dal vivo, di scrittura creativa e progettazione delle storie. Dal 2006 mi occupo in modo costante di narrativa fantastica e tecniche di scrittura. Nel 2007 ho fondato Baionette Librarie e nel gennaio 2012 ho avviato AgenziaDuca.it per trovare bravi autori e aiutarli a migliorare con corsi di scrittura mirati. Dal 2014 sono ideatore e direttore editoriale della collana di narrativa fantastica Vaporteppa. Nel gennaio 2017 ho avviato un canale YouTube.

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