La birra e io: una storia con fatine

Il mio rapporto con la birra è stato strano.
Considerate che prima di qualche anno fa tendevo ad andare pochissimo in pub o simili, anche perché provavo scarsissimo interesse verso gli alcolici. Preferivo farmi i cazzi miei, sfondarmi di videogiochi al PC, seguire questo blog (dal 2007) e leggere (o organizzare piuttosto un paio di serate al mese di GURPS col mio gruppo, prima del 2009).

Ho cominciato a uscire la sera per bere con un minimo di ritmo (2-4 volte al mese) solo da quando la passione per il vino mi si è accesa, nel 2012, col corso per sommelier. Alla fine approfittare delle uscite con gli amici per bere, invece di prendere una birra solo per passare il tempo come prima, mi serviva anche per formazione didattica! ^_^

Sì, il titolo è corretto: la vicenda include delle fatine.

La birra da giovanissimo mi attirava a livello puramente teorico, non a livello pratico. Sarà che in casa avevamo solo Moretti o Peroni base in lattina, o la von Wunster, insomma roba che quando provavo a berne una mi domandavo: fa pietà e sono calorie inutili… perché la sto bevendo? Pensiero condiviso anche da mio fratello, che non beve proprio niente di alcolico, e da mio padre, che in pratica le teneva in casa solo nel caso servissero per cucinare o se prendevamo la pizza. Io con la pizza usavo l’acqua, o al massimo la Coca Cola.

Ecco, bevande gassate: ne ho sempre bevute pochissime, in gran parte per evitare gli zuccheri. Ho usato in alcuni periodi parecchio schifoso tè in bottiglia senza zuccheri (ma con dolcificanti che incasinavano la dieta anche senza fornire calorie), ma ho sempre evitato l’acqua frizzante e consumato pochissime bevande effervescenti. Qui si inserisce il mio secondo problema con la birra, dopo il gusto: le bollicine mi disturbavano lo stomaco, per cui se bevevo 3-4 birre da 33 cl mi sentivo infastidito, leggermente nauseato. Mi scombussolavano. Se considerate quanto sono gasate le birracce tipo Heineken, potete capire come fossi assolutamente disinteressato a quelle schifezze. Magari un whiskey o un cognac, o anche uno stinger, ma birre no. A meno che non fosse la Guinness.

Come mi venne in mente la Guinness?
Ho detto che non bevevo praticamente birre e nemmeno la conoscevo, di conseguenza. Non che ci fosse granché da conoscere, all’epoca, quando stavo tra la quarta liceo e l’inizio dell’università (2001-2003). Una birra però mi era rimasta impressa già da quattro-cinque annetti, grazie a un dettaglio trash tratto da Azione Immediata di Andy McNab:

L’ufficiale istruttore capo si chiamava Peter.
Era alto un metro e sessantacinque e sembrava lo zio preferito di una qualsiasi brava famigliola borghese. La notte stessa della Danza del Fan venne a fare un giro negli alloggi. Esaminò l’assurda varietà di bevande pseudo-energetiche ammucchiate sulle cuccette e negli armadi metallici, annuendo con aria comprensiva e paziente.
«Tutte queste sono stronzate,» commentò alla fine in quel suo lento, quasi sonnacchioso accento di Birmingham. «Bevetele pure, se proprio vi piacciono. La scelta è vostra. Da parte mia, in chiusura di giornata, rimango su due boccali di Guinness e un sacchetto di patatine fritte.»
Non ce lo facemmo ripetere. Ci precipitammo in massa allo spaccio del centro, ingollammo la Guinness e divorammo le patatine. Forse avrebbe funzionato. E forse invece no.

Grazie di esserci stata al tempo in cui non si trovava niente di passabile.

Questo mi fece incuriosire verso la Guinness.
Non avevo idea che fosse servita nei pub da bombole con azoto, senza effervescenza. Sapevo solo che era un pochino meno acquosa e che il sapore era diverso dal solito, più accettabile per me, e berla non mi dava fastidio. In più c’era la sorpresa inaspettata: non era frizzante! Così sì che potevo berla senza fastidi. I sapori tostati, il colore nero e la schiuma beige invitante, cremosa, fecero il resto.

‘Fanculo le bionde, meglio il negro. Così, diciamo, dal 2000 al 2008 quando potevo scegliere una Guinness alla spina, la prendevo. Tanto non capivo un cazzo di birre e se non ero in vena di sperimentare seguendo il consiglio di un amico al tavolo, andavo sul sicuro.
Qualche volta provavo altro anche senza consigli, per esempio è così che ho bevuto per la prima volta la Bulldog Strong Ale a pranzo nel pub davanti al liceo (ero in quarta mi pare), mentre leggevo l’inizio di quel delirio retard di Così parlò Zarathustra di Nietzsche. Schopenhauer l’ho sempre trovato più interessante, almeno faceva finta di usare il cervello.

I “consigli” degli amici mi fanno ricordare cosa bevevano alcuni miei compagni di classe in quarta-quinta liceo: Tennent’s Super da 9,3% di alcol. Motivo per cui la bevevano? Era forte. Motivo più del cazzo non si può. Almeno aveva un sapore, a differenza di una Moretti base alla spina o di una Peroni, seppure fosse un sapore di vomiticchio e amaro sgradevole legato all’alcol fuori controllo di una pessima birra. Non l’amaro piacevole di una forte, moderna, luppolatura.

Erano gli anni in cui la Du Demon da 12% (un altro “mito” dell’epoca) ancora si vantava di essere la birra più forte del mondo, se ricordo giusto… oggi deve scrivere di essere solo “una delle più forti” e anche parecchio dietro le vere birre fighe: senza contare certi Barley Wine da 20% e oltre, perfino io che non amo le birre troppo alcoliche ne ho provate alcune che fanno impallidire la Du Demon, come la Zombination della De Struise Brouwers, una Imperial Stout da 17% che ha il profumo e il sapore di un buon Pedro Ximénez e l’alcol non lascia nessuna nota sgradevole. A non sapere il grado alcolico, potrebbe sembrare una Imperial Stout da 8-9%. Capolavoro.

Tennent’s Super, con la sua delicata nota di vomito. Mmmh-mmmh, fenomenale!

Facciamo un salto avanti.
Siamo nel luglio 2010 e ho ripreso a interessarmi un po’ alle birre, grazie a mio fratello che mi portò in regalo da Porretta Terme due confezioni da tre birre alle castagne di Beltaine. Mi pare fossero due confezioni, non una. Comunque, con Beltaine ho avuto il mio primo incontro sicuro con il prodotto di un microbirrificio italiano.
Mi capitava ogni tanto di provare birre “artigianali”, o comunque birre diverse dalle classiche Pale Lager industriali, portatemi in regalo, e prendevo volentieri birre “artigianali” quando andavo al pub accanto al comune di Seriate, dove spesso sceglievo il bottiglione La Binchoise Biere des Ours (la birra degli orsi, al miele: per froci ursini con gusti da fatine), ma non ricordo di aver bevuto prodotti italiani prima di Beltaine.

Il 2010 è anche l’anno in cui ho incontrato la Pale Ale di John Martin, presa alla spina al Keller di Curno. L’unico posto in cui l’ho trovata alla spina. Una rossa che mi stupì per i sentori dolci, che ricordavano un po’ il caramello e il miele, assieme a uno sfondo fruttato. Col fatto che per diversi motivi non mi capitava mai di andare lì, è stata una birra che ho bevuto solo due o tre volte e poi non ho più bevuto dal 2011 al 2016.

Ma il 2010 è soprattutto l’anno in cui ho incontrato il birrone scrauso Splügen della Poretti. Questo è stato il mio birrone da combattimento tra l’agosto del 2010 e primi mesi del 2012, in bottiglia da 66 cl, assieme alla lattina da 50 cl di Bavaria e alla DAB. Ma solo Splügen aveva la marcia in più della bionda ignoranza, sottolineata anche dal formato per rumeni (come disse Zwei) e muratori, i 66 cl. In più la bottiglia di vetro mi piaceva molto di più delle lattine, anche se era più scomoda da buttare.
Di Splügen  avevo adorato anche quella pubblicità super retard con i tre coglioni che simboleggiano i tre luppoli e Angelo Poretti che li guarda dalla finestra e ha l’intuizione. WTF! Torneremo a parlare di Splügen in futuro, quando dedicherò un post alla Poretti, perché a distanza di anni ho scoperto cosa è successo al mio birrone trash da combattimento preferito mentre “non guardavo”. E non mi è piaciuto. Per niente.

A parte le birre di merda, al supemercato compravo anche qualche birra bianca (non sapevo ancora la differenza tra Weissbier e Witbier/Blanche, e all’epoca in Italia si diceva ancora “bianca” a cazzo di cane). Mi pare fosse quella di HB, che tra i grandi birrifici industriali di Monaco è ancora il mio preferito nel complesso. Ne parleremo di sicuro in futuro, a parte la Weiss ha diverse altre birre dignitose, facili da trovare e spendendo meno di 3 euro al litro.

L’evoluzione di Splügen dalla tre luppoli col nuovo design Poretti del 2009, alla tre luppoli revisionata del 2011, fino alla scomparsa del nome Splügen nel 2013. Vergogna! Vergogna! Vergogna!

La birra che volevo assaggiare e non trovavo era la Alpen.
Sì, la regina indiscussa delle birre di merda italiane, il cui primato era seriamente contestato solo dalla Finkbräu. La Alpen era prodotta dagli stessi stabilimenti che producevano anche la Finkbräu, oggi proprietà di Birra Castello, ma mentre la prima è distribuita verso Esselunga, la seconda (oggi estinta causa rebrand) era per LIDL.
Ecco, io all’epoca andavo qualche volta all’Iper o al Carrefour o al massimo all’U2, al LIDL o all’IN’S, e non trovavo mai questa Alpen. Non sapevo che fosse un prodotto che si trovava/trova in certi posti e basta. Mi dovevo accontentare della Spgen, seconda scelta anche del mio amico (che mi invogliò a provarla, quindi è colpa sua pure questo), e ogni tanto anche io mi prendevo come lui una Moretti Baffo d’Oro per bere qualcosa di meno peggio delle solite bionde (in fondo non era malaccio…).

Come mai volevo provare la birra più merdosa della penisola?
Per via di un mio amico (di Milano) che la usava in quantità degne di un reenactors dell’inghilterra vittoriana, di quelli che devono farti capire che l’acqua è tutta contaminata e si può bere solo dopo averla bollita a lungo, come tè, o sotto forma di birra. In più, parlandone con Gamberetta, era proprio la birra da morti di fame degna di Astride nel primo capitolo di Assault Fairies.
Peccato che non la vendano in lattina d’acciaio sottile senza linguetta, come quelle negli USA tra 1935 e anni 1970, e che si aprivano con l’apribottiglie a church key facendo un buco triangolare per bere da una parte e uno da quella opposta per far entrare l’aria in modo che la birra potesse uscire facilmente:

Volare abbracciata alla lattina di birra mi mozza il fiato. Lascio cadere la lattina sul tavolo. Mi avvinghio all’apribottiglie e lo premo contro l’alluminio finché i denti dell’arnese non aprono i due fori. Dal foro più grosso sprizza fuori la schiuma, che mi imbratta dalle ali ai piedini.
Mi lecco le dita. Adoro la birra!
Ora, dove diavolo ho messo le cannucce?
Frugo nella credenza. La confezione da party – centodieci cannucce, dieci omaggio! – è vuota. Una cannuccia piegata in due spunta tra i piatti sporchi accatastati nel lavello. È unta di olio e puzza di arrosto di maiale. Be’, con la birra ci sta bene.

Assault Fairies, Chiara Gamberetta

La birra Alpen, la regina delle acque frizzanti camuffate da birra, con il suo prezzo basso in modo ridicolo (oggi sta a 0,89 euro al litro, è salita, mentre nel 2010-2014 costava 0,49 euro per 66 cl), era un mito del trash.
L’ho bevuta solo nel 2016, col rimpianto di averla incontrata con la nuova etichetta “Alpen 7 Plato” al posto della vecchia grafica storica. Sigh.

Vecchio e nuovo design.

Concludiamo con il 2013.
L’anno dell’incontro con il birrificio Le Fate, nelle Marche, di cui il caro amico della Alpen di cui ho parlato sopra mi portò in regalo a settembre, o forse a ottobre, una bottiglia di Lalcina (birra rossa). Era davvero ottima e l’idea di collegare le diverse birre a dei personaggi di fate/fatine era geniale.
Mi sono informato e ho comprato tutte le birre disponibili, tranne Lunilia e Neverina. All’epoca stavo frequentando il secondo livello del corso per sommelier e di birre capivo ancora troppo poco, ma anche senza saperne molto riuscivo a capire, valutando soprattutto gli aromi, la persistenza e il corpo, che quelle birre non erano niente male.

Questo è stato il primo birrificio artigianale italiano a cui mi sono interessato e affezionato, e di cui compro volentieri ogni tanto le bottiglie, anche se poi di regola bevo Brewfist o Bevog come birre “artigianali” (sì, tra una settimana parliamo anche di questa definizione stupidotta) ricorrenti e solo ogni tanto Le Fate. Quando c’è stato il terremoto ho subito controllato su FB come stessero i titolari del birrificio, per esempio.

Dal 2014 ho cominciato a occuparmi di birre, seppur lentamente, e dal 2016 ho iniziato a farlo seriamente (incluse parecchie letture a tema da giugno a settembre). Gli ultimi sei mesi hanno visto una notevole accelerazione di degustazioni, studio e sperimentazione Sì, ok, per ora produco birra in casa usando solo Kit modificati e al massimo un lavoro ulteriore coi luppoli sia in bollitura che in dry hopping, e non so se passerò alle all grain già nel 2017 o se sarà nel 2018, ma mi diverto anche così…

Riguardo le degustazioni, proprio ieri ho schedato la birra numero 216. Non siamo ancora ai 274 tè schedati o ai 250 vini (163 fermi e 87 spumanti, e sia col tè che coi vini mancano credo 15-20 prodotti che non ho mai schedato per dimenticanza o scarso interesse), ma è un inizio nella costruzione della mia biblioteca di sensazioni legati ai moltissimi stili di birre esistenti.
Da un po’ comincio a capire meglio cosa analizzo e, devo dirlo, il corso per sommelier seppur basato sul vino è stato molto utile anche con le birre, come lo era stato col tè e col caffè. A proposito: seppure ridotto, il mio consumo giornaliero di tè sembrerebbe ancora molto elevato a qualsiasi individuo normale. ^__^

Ho dovuto montare cinque scaffali nuovi nel mio garage per gestire la mia passione per le birre e la voglia di produrne. Nei due davanti alla mia auto ci sono le birre comprate e nei tre laterali le birre realizzate… al momento scaffali di sole bottiglie vuote, in attesa delle prime tre cotte (due su a casa già imbottigliate e una ancora nel fermentatore) di nove che ho previsto entro inizio aprile.
Qualche foto della mia cantina nel giorno 6 dicembre 2016, con il fantastico pavimento sconnesso che fa pendere a caso gli scaffali:

  • In alto a sinistra le birracce da supermercato, da quelle peggiori (Budweiser, Kirin, Poretti 3 e 4 Luppoli) a quelle quasi decorose (Poretti 5 e 6 Luppoli, Guinness Draught, Asahi… notare il corsivo solo sui marchi per cui nutro un briciolo di rispetto tecnico).
  • Nei livelli centrali tutte le birre buone, sia in bottiglia che in lattina (incluse le Guinness diverse dalla Draught): Bevog, Birrificio del Ducato, Le Fate, Aviator, Birrificio Italiano, Toccalmatto, Menaresta, Brewfist ecc.
  • Sul fondo quello che non sono riuscito a mettere in mezzo: alcune birre buone (Hop Skin, Valcavallina, Forst Sixtus e Forst Kronen) assieme ad altre appena sufficienti (Poretti 9 Luppoli sia Witbier che Porter) o un po’ mediocri (Forst Premium, Forst 1857), e un paio di bottiglie di una marca di sidro che mi sta piacendo molto.
  • Nei tre scaffali laterali abbastanza bottiglie per le 7 cotte ancora da imbottigliare (se ogni cotta sono 21 litri, viene facile calcolare quanto sarà il totale imbottigliato dopo 9 cotte, ad aprile ^_^).

Ah, qualcuno potrebbe pensare: ma se hai problemi con le bollicine come fai a bere così tanto? Beh, il problema non ce l’ho più, ora posso bere a oltranza. Sarà stato anche grazie ai litri e litri di tè bevuto ogni giorno per tutto il 2015 e, prima, al riavvicinarmi gradualmente alle bollicine grazie agli spumanti. Non so. Comunque, a sorpresa, nei primi mesi del 2016 mi sono accorto che ero “guarito” e potevo tracannare anche due litri di roba senza alcun fastidio. Ho accelerato sul consumo di birra anche grazie a questa scoperta. ^-^

Per ora basta così: l’articolo amarcord è finito.
Non è però finita la condivisione: la tua esperienza con le birre qual è stata, quando hai cominciato a berne, quali compri, come le hai scoperte?

La prossima settimana parlerò della definizione di “birra artigianale”.

Buona giornata e buona birra! ^_^

P.S.
Ho una Alpen in frigo, l’ultima rimasta, e questa notte farò l’insano gesto di berla!
Prosit, Astride!

Il Duca di Baionette

Sono appassionato di storia, neuroscienze e storytelling. Per lavoro gestisco corsi, online e dal vivo, di scrittura creativa e progettazione delle storie. Dal 2006 mi occupo in modo costante di narrativa fantastica e tecniche di scrittura. Nel 2007 ho fondato Baionette Librarie e nel gennaio 2012 ho avviato AgenziaDuca.it per trovare bravi autori e aiutarli a migliorare con corsi di scrittura mirati. Dal 2014 sono ideatore e direttore editoriale della collana di narrativa fantastica Vaporteppa. Nel gennaio 2017 ho avviato un canale YouTube.

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