Le armi da fuoco necessitano di tre cose fondamentali: un proiettile da scagliare, una carica di lancio con cui spingerlo e qualcosa che faccia accendere la carica di lancio.

Nelle prime armi da fuoco il proiettile era una sfera di piombo fusa talvolta dal soldato stesso, la carica era semplice polvere nera e il meccanismo di accensione era un marchingegno meccanico più o meno complicato.

Esistevano vari tipi di meccanismi di accensione: miccia, ruota, pietra focaia e percussione solo per indicare le quattro famiglie più comuni e senza scendere in dettagli troppo specifici per questo discorso. Il meccanismo che mi interessa descrivere è quello “a pietra focaia”, in cui la pietra batte contro un’apposita piastra di metallo e genera scintille.

L’acciarino a pietra focaia si affermò nella seconda metà del Seicento e rimase in uso fino alle prima metà dell’Ottocento. E’ un marchingegno adatto alla fabbricazione in massa, ma tutt’altro che rozzo: la produzione delle sue parti meccaniche richiede notevole precisione nelle dimensioni e materiali di alta qualità. E poi serve della buona selce, che non è così comune come sembra.

La pietra focaia.

La selce è una roccia sedimentaria di colore variabile dal bianco, al grigio fino al nero. Servono tipi particolari di selce, di buona qualità, e le scaglie vanno lavorate in modo di avere un bordo rettilineo a forma di scalpello per assicurare una maggiore superificie di impatto e una migliore capacità abrasiva. Nelle zone dove si potevano rinvenire selci adatte si svilupparono rapidamente centri di estrazione e taglio, spesso a carattere famigliare.

La qualità di pietra focaia più quotata nella storia è quella proveniente dal Berry francese (Meusnes, Lye, Cuoffy, St. Aignan, ecc…), esportata in tutta Europa e negli Stati Uniti. Una buona pietra focaia deve essere semitrasparente, tanto che una scaglia di due millimetri di spessore deve consentire di leggere i caratteri di stampa su cui viene appoggiata.

L’industria della selce per usi civili e militari portò occupazione e ricchezza in Europa, ma anche una malattia terribile: la silicosi. Ulteriori dettagli vanno però oltre l’interesse dell’articolo, per cui magari ne parlerò un’altra volta.

L’acciarino a pietra focaia.

Il meccanismo a pietra focaia è anche chiamato “acciarino a focile”, perché in origine lo strumento serviva ad accendere il fuoco, e dal nome focile deriva poi l’italiano fucile. Un moschetto a pietra focaia ad anima liscia è quindi un fucile in italiano, ma spesso per motivi storici ci si riferisce chiamandolo moschetto come i suoi predecessori a miccia, riservando il nome fucile per le armi rigate.

In inglese le distinzione è più semplice, dato che musket (moschetto) indica un’arma lunga ad anima liscia mentre rifle (fucile) contiene già nel nome il concetto di “arma rigata”… e poi loro non hanno la questione etimologica del “focile” a confondere le idee.

Nel moschetto a pietra la selce è stretta tra le ganasce del cane che a sua volta è collegato a una forte molla in acciaio. Quando il grilletto viene premuto la molla libera violentemente il cane facendo strofinare la pietra focaia contro la martellina della batteria che si solleva allo sparo rivelando lo scodellino sottostante pieno di polvere nera. Le scintille generate all’impatto precipitano dentro lo scodellino accendendo la polvere che a sua volta dà fuoco alla carica principale stipata nella canna.

I gas sprigionati dalla rapidissima combustione della carica si espandono con violenza e spingono il proiettile fuori dalla canna, con un velocità che dipende dalla lunghezza della canna e dalla quantità e qualità della polvere usata. In pratica se la canna è troppo corta una gran quantità di polvere brucerà fuori, senza contribuire alla spinta del proiettile. Se la canna fosse molto più lunga di quanto richiesto alla polvere per bruciare tutta, la maggiore lunghezza non contribuirebbe alla velocità.

Un po’ di fumo con annessa vampata incandescente esce anche dallo scodellino stesso scottando talvolta il collo del fuciliere, motivo per cui i colletti delle divise erano di norma molto alti.

Fucile a pietra focaia

Schema acciarino a focile

Un esempio famoso: il Brown Bess.

Il caricamento dell’arma non è particolarmente veloce, ma non è nemmeno lento come certi disinformati vorrebbero far credere. È laborioso, questo si, e scomodo perché l’arma deve poter stare più in verticale possibile quando si versa la polvere (quindi è impossibile ricaricare un moschetto stando sdraiati dietro un basso riparo), ma se si usano le cartucce è molto più rapido di quanto non sia ricaricare una balestra da guerra usando i mulinelli o il martinetto.

Prendiamo ad esempio il Brown Bess, nomignolo dietro cui si nascondono le varie versioni da fanteria del moschetto Tower prodotte tra il 1722 e il 1838, un’arma robusta e affidabile simbolo dell’epoca che vide l’affermazione dell’Impero Inglese sul mondo extraeuropeo. È un’arma solida, robusta, fatta per fornire un fuoco prolungato e sopportare lo stress del corpo a corpo. Una bellezza in legno e acciaio lunga un metro e mezzo, con una canna che supera di poco il metro (Short Land Pattern, dal 1768).

In corpo a corpo la lunga baionetta triangolare (43 cm) lo tramuta in una micidiale lancia poco al di sotto dei due metri di lunghezza. Il peso di cinque chili unito alla solidità della costruzione lo rende temibile come clava da usare a due mani per sfondare i crani e le gambe di francesi, indù, turchi e qualsiasi altra feccia osi contrapporsi al glorioso Union Jack.

Brown Bess in diverse versioniGuarda che bellezza: non ti viene voglia di sparare di francesi?

Caricamento e sparo del moschetto.

Vediamo ora come questa meraviglia del genio umano veniva caricata e quanto tempo richiedeva l’operazione.

  1. Il soldato porta l’arma parallela al suolo, all’altezza del proprio ombelico. Se l’arma ha appena sparato allora il cane sarà contro lo scodellino e la martellina sarà parzialmente sollevata. L’arma viene tenuta con la sinistra, in modo che la destra sia libera di lavorare. Alza il cane a mezza corsa, permettendo di accedere così allo scodellino, e si alza del tutto la batteria.
  2. Afferra una cartuccia dalla cartucciera che porta a tracolla appesa alle bandoliere. La porta alla bocca tenendola ribaltata, con la palla rivolta verso il basso, e ne strappa il fondo con i denti. Ha un sapore schifoso di salnitro e zolfo. Sputa il pezzo di carta combustibile in terra.
  3. Versa un po’ di grani di polvere della cartuccia nello scodellino e chiude la batteria per coprirlo.
  4. Quattro.
  5. Mette il fucile in verticale con il calcio piazzato al suolo, tra le gambe, e la canna rivolta al cielo.
  6. Versa la polvere della cartuccia dentro la canna e poi vi spinge la cartuccia stessa (che ormai contiene solo il proiettile, in alto). La palla sottodimensionata scivola senza problemi verso il fondo se l’arma non è dilatata dal calore e otturata dalle polveri mal combuste dei precedenti spari.
  7. Estrae la bacchetta dai supporti sotto la canna, la capovolge, e la infila dentro la canna per spingere il proiettile contro la polvere. Due rapidi colpi sono sufficienti se la canna non è lercia e surriscaldata. Estrae la bacchetta dalla canna, la capovolge di nuovo, e la inserisce nei supporti.
  8. Si porta il moschetto in posizione orizzontale e si arma il cane completamente. Ora è in condizione di fare fuoco.
  9. Si spara tenendo l’arma contro la spalla, come un moderno fucile. Tradizionalmente l’ordine era “arma al petto”, ereditato dai moschetti con la forcella del Seicento che avevano un calcio molto corto da appoggiare appunto contro il petto.

Il caricamento con la cartuccia impiega circa venti secondi, ma un fante addestrato può farlo in meno di quindici. L’addestramento al caricamento rapido, assieme a quello a marciare e manovrare in formazione, era il segreto che rendeva i fanti britannici (o quelli prussiani di metà Settecento) superiori agli altri soldati europei.

Il fumo è molto scarso: probabilmente è stata usata poca polvere.

Tre spari in 46 secondi.

Nel caos e nella paura della battaglia un tipico soldato può fare un gran casino, versando la polvere in terra o magari lasciando perfino la bacchetta dentro la canna, mentre un soldato addestrato a caricare rapidamente sotto il fuoco nemico e usando munizioni vere è in grado di completare l’operazione senza errori. I britannici al tempo della Rivoluzione Francese facevano esercitazioni con munizioni reali regolarmente.

Polvere e palle.

La palla nella cartuccia è sottodimensionata di circa 3-5 centesimi di pollice (0,75-1,25 mm), ovvero una palla .70-.72 per una canna da .75 (come il Brown Bess) e una da .64-.66 per una canna da .69 (come il Charleville francese). Spingere bene in fondo la carta con la bacchetta serve a comprimere i grani della polvere (senza romperli però!) per migliorare l’esplosione della carica.

La carta della cartuccia usata come stoppaccio impedirà alla palla di scivolare fuori e le farà da scudo per sfruttare al massimo la violenta spinta del gas, evitando che i gas in espansione la sorpassino sfruttando il gioco lasciato tra canna e palla.

cartuccia con polvere e palla

La traiettoria instabile è dovuta a quel gioco minimo per cui la palla tende a rimbalzare contro le pareti della canna e a uscire con una traiettoria leggermente angolata. Buona regola per il tiro in formazione è mirare alle cosce dei nemici per essere certi di investirli nel torso (a meno che non si tratti di fuoco a bruciapelo!).

Un altro motivo di scarsa precisione nel tiro può essere la carica di lancio “non precisamente dosata”, ma con le cartucce già pronte e standardizzate questo problema non si pone. Infine, man mano che la canna si riempe di sporcizia, oltre a rendere il moschetto più lento da caricare rende anche più instabile lo sparo: un’accensione della carica con un paio di decimi di secondo di ritardo può rovinare completamente il tiro (vedi il video dei tre spari in 46 secondi più sotto).

La tipica dose di polvere da moschetto nel Seicento-Settecento era tra 1/3 e 1/2 del peso della palla, per cui scalciavano come dei muli, un po’ come i fucili da caccia in calibro 12, molto diverso dal timido rinculo del 5,56 Nato o di altri calibri moderni.

Precisione del tiro.

Cento, forse centocinquanta metri è il limite massimo di tiro utile, perché a centocinquanta metri il proiettile sta volando a 75 cm d’altezza sopra il punto su cui si sta mirando e  sta volando 60 cm più a destra o più a sinistra (dati del Charleville M1777, calibro .69).

Una dispersione di circa 21 MOA.

Approfondimento: Cos’è un MOA?

1 MOA (Minute of Angle) è circa 1 pollice (1,047, per precisione) di diametro del “cerchio” della dispersione di gruppi di 5-10 colpi piazzati ogni 100 iarde, ovvero 2,908 cm ogni 100 metri. Un moschetto che abbia 21 MOA  è poco più impreciso della pistola Beretta 34 d’ordinanza per gli ufficiali italiani nella Seconda Guerra Mondiale (20 MOA). Ma con la Beretta 34 non si spara a cento metri, appunto…

Precisione in MOA tipiche di altre armi (la cifra è sempre senza errore umano, sparando in modo “perfetto” da un supporto fisso), per fare un paragone:

  • Fucile di precisione: 1 o meno
  • Fucili da battaglia della Prima e Seconda Guerra Mondiale, o fucili d’assalto moderni: 2
  • Fucili d’assalto meno precisi o fucili a colpo singolo di fine ‘800 come AK-47, Springfield 1873 o Martini-Henry: 4-5
  • Pistola Colt M1911: 8
  • Fucile rigato Baker delle campagne napoleoniche: 11

Torniamo a parlare di MOA e dei fucili rigati di inizio Ottocento nell’articolo dedicato al fucile Baker, il compagno “rigato” del fucile Brown Bess nell’esercito britannico.

Fino a cinquanta metri la (scarsa) precisione del moschetto è comunque sufficiente per colpire un uomo, con un po’ di fortuna, se l’arma è in mano a un tiratore abituato all’anima liscia. È ancora possibile per un buon soldato predire a sufficienza dove possa andare a finire il colpo e compensare il tiro di conseguenza. Magari non si colpisce al primo tentativo un uomo, ma forse il suo cavallo sì.

Oltre i centocinquanta metri (circa duecento passi, usando il passo militare prussiano) sperare di colpire volontariamente qualcosa è pura fantascienza perché la dispersione diventa troppo ampia per poter essere compensata dalle dimensioni del bersaglio. A meno di non stare tirando a un elefante o a un gigante uscito da un fantasy.

Usando palle della giusta dimensione, aderenti alla canna, il caricamento diventa molto più lento, ma precisione e accuratezza aumentano notevolmente. In fondo anche i moderni fucili da caccia ad anima liscia possono impiegare palle di piombo piene, oltre a pallini e pallettoni: un moschetto caricato con una palla ben calzata non è molto diverso. È possibile unire grande velocità di caricamento con la precisione di tiro dell’aderenza alla canna usando proiettili nessler “cilindro sferici”, ma sono un’invenzione belga che arrivò solo dopo le guerre napoleoniche.

Nel Brown Bess, come in altri moschetti ad anima liscia, manca del tutto la tacca di mira posteriore, ma questo non è molto importante perché il proiettile poco stabile e la corta gittata la renderebbero molto meno utile di quanto sia su un fucile rigato. Per sparare a poche decine di metri di distanza il solo mirino frontale è sufficiente.

Una bella salva di moschetti!

Non è meno preciso di un tipico arco lungo da 150 libbre e richiede molto meno addestramento per impiegarlo correttamente. L’arco da guerra non era un’arma di precisione, ma per il tiro di massa, questione che le fonti storiche hanno ben chiarito. Questo contrasta con la visione romantica di “precisione” dell’arco lungo che ci è giunta dall’Ottocento e che il fantasy ci ha propinato impunemente: levatevela dalla testa perché sono tutte stronzate. Tornerò a parlare degli archi in futuro.

Rispetto ad un arco moderno pieno di fronzoli tecnologici (stabilizzatori, mirini…) o rispetto a una balestra medievale, il moschetto ad anima liscia risulta molto meno preciso: la sua capacità di penetrare le armature e uccidere il nemico era però senza eguali, molto al di sopra di quella delle più pesanti balestre. Tornerò sull’argomento quando parlerò delle armature.

Non è un’arma molto precisa, ma che importa? La guerra la si fa vomitando più fuoco possibile contro il nemico e massacrando i superstiti all’arma bianca, non con i “colpi precisi”! Per quello ci sono gli schermagliatori armati di fucili rigati, che esplorano il territorio e proteggono la fanteria pesante con le loro armi precise, ma più lente da caricare, e le loro doti di tiratori provetti. Rimanendo sugli inglesi: non sono le Giubbe Verdi a vincere le battaglie della fanteria, ma quelle Rosse!

Affidabilità dei moschetti a pietra.

In condizioni di combattimento è piuttosto affidabile, perlomeno rispetto alla visione pessimistica che ne hanno molti: mal che vada ci si può aspettare che solo uno sparo su sei faccia cilecca e in tal caso basta solitamente riarmare il cane e ritentare, perdendo solo un paio di secondi. In un caso su sedici ci si può aspettare che bruci la polvere dello scodellino senza far accendere la carica principale.

I dati vengono dall’esperimento portato avanti dal colonnello Monfort per il governo francese verso la fine del ‘700 e ripresi successivamente nel 1805. Monfort impiegò quattro fucili Charleville M1777. Quelli se ricordo bene sono i dati del peggiore. Le pietre focaie utilizzate durarono mediamente 28 colpi l’una. Con ogni fucile vennero sparati più di diecimila colpi senza che si verificassero cedimenti della canna e, anzi, due di quei fucili arrivarono fino ai giorni nostri: le canne erano ancora in ottimo stato e solo la martellina risultava usurata.

Se l’arma è caricata con molta attenzione e usando polvere fine per lo scodellino (o in grani piccoli) invece della polvere nera in grani più grossi (più ossigenata e quindi più potente) della carica principale, in condizioni di tiro ideali (niente vento, umidità bassa), lo sparo è quasi assicurato. Una combinazione di polvere cattiva, pietra focaia scadente, forte vento e alta umidità può abbassare enormemente l’affidabilità del meccanismo a pietra focaia: in ogni caso la baionetta è lì per ogni evenienza.

Questa è una fumata più realistica!

ATTENZIONE!
Si consiglia la lettura, anche per capire meglio gli svantaggi delle palle sferiche e il caricamento con la pezzuola (usato ad esempio nei fucili rigati dei ribelli americani o delle giubbe verdi inglesi), del nuovo articolo sulla Armi a Percussione dell’Ottocento.

Prossimamente sullo stesso argomento:
Energia cinetica e velocità dei proiettili
Baionette


Link Utili
Maggiori informazioni su affidabilità e precisione delle armi antiche

11 Replies to “Il moschetto a pietra focaia: introduzione e caricamento”

  1. volevo sapere:
    il calibro 69 del moschetto francese Charleville
    a che calibro equivale in italia paragonandolo a tipo
    fucili da caccia calibro 12 di oggi?
    complimenti per il sito

    grazie

    marco valente

  2. Il 0,69 (pollici) del Charleville indica una canna da 17,5 mm ad anima liscia (nei testi italiani che parlano di avancarica o di guerra nel settecento e simili si trova solitamente il riferimento 17,5 mm per il calibro, d’altronde il sistema metrico è più comodo!).

    Un calibro 12 ha una canna con un diametro interno di 18,5 mm (0,729 pollici).
    Il calibro per cartuccia da caccia tipicamente in commercio che più si avvicina è il 16, ovvero 16,8 mm, ma è appunto inferiore al 17,5 mm.
    In teoria esiste il calibro 14 da 17,6 mm ma non ho idea se vi siano armi in commercio che lo impiegano. Non sono molto informato, ma ho letto sempre di armi ad anima liscia da caccia nella tripletta di calibri 12-16-20 (oltre al .410)…

    Maggiori info e tabella sui calibri:
    http://en.wikipedia.org/wiki/12_gauge

    La tipica cartuccia calibro 12 utilizza 36 grammi di piombo (le semi-magnum 40 e le magnum 50, circa), sotto forma di pallini o palla o pallettoni.
    Questa misura di piombo, 36 grammi (diciamo 32-36), è anche quella che ci poteva trovare nel Brown Bess inglese, che nonostante il calibro da 19 mm (0,75 pollici) impiegava palle sottodimensionate di mezzo millimetro o poco più.

    Quindi direi che, come paragone, un Brown Bess da 19 mm è come un fucile ad anima liscia in calibro 12.

  3. potrebbe darmi delle informazioni sul cannone di cuoio in dotazione agli svedesi di Gustavo II Adolfo Vasa e spiegarmi se la pistola fu usata dalla cavalleria svedese efficacemente? Non era possibile essere colpiti dal “fuoco amico” ? Grazie e complimenti per il sito

  4. Ciao Anna.
    Ti rispondo usando i dati della mia fonte principale su questo argomento di nicchia, “La rivoluzione militare” di Geoffrey Parker.

    All’inizio del Seicento si era ben compreso il bisogno di disporre di più artiglieria possibile, anche campale, non solo pezzi pesanti d’assedio e da fortezza. Servivano pezzi agili e leggeri, da spostare rapidamente in battaglia. Essendo il metallo pesante, bisognava inventare un modo per usarne il meno possibile. Si fecero vari tentativi.

    Nel 1622 a Zurigo la tecnica di produzione di questi cannoni leggeri venne perfezionata arrivando al “cannone di cuoio”: una sottile anima di metallo (rame) avvolta in strati di corda e racchiusa in una guaina di cuoio (oppure ben stretta in strisce di cuoio e poi avvolta dalla corda).
    Nel 1627 erano già molto diffusi in Svezia, il paese che più di altri aveva capito l’importanza fondamentale dell’artiglieria campale, anche di piccolo calibro da distribuire a livello di reggimento (per l’uso intelligente del fuoco concentrato della batterie bisogna aspettare il ‘700).
    I cannoni di cuoio svedesi erano pezzi di piccolo calibro, appena 3 libbre, e venivano montati affiancati a due a due o a tre a tre. Costavano poco e pesavano poco: sembravano perfetti. Parteciparono alla terza guerra Svedese-Polacca del 1621-1625, ma con scarso successo.
    Nel giro di pochi anni (anni 1630) gli svedesi si accorsero che i cannoni di cuoio facevano veramente schifo e smisero di usarli.
    Se ne trovano esemplari nei musei di Parigi, Berlino e altre città.

    Qual era il problema?

    Il problema è che il cannone, seppure in sé adeguatamente robusto per sparare i primi colpi, tende a surriscaldarsi troppo a causa del cuoio che impedisce il raffreddamento dell’anima di rame. Nel corso della battaglia, con il tiro continuo, finivano per esplodere se non si smetteva di sparare abbastanza a lungo da farli raffreddare. Smettere di sparare nel mezzo dello scontro, con dei pezzi di artiglieria immaginati proprio per dare volume di fuoco continuo, non ha molto senso. E infatti smisero di usarli.

    Chi continuò ad adoperarli?
    Gli scozzesi. La collezione più vasta di cannoni di cuoio (19 con 42 bocche da fuoco), si trova presso lo Scotland’s National Museum of Antiquities.
    Non furono conservati perché validi, ma perché si dimostrarono inutili in azione per la milizie scozzesi del Covenant a Dunbar (1650) e Worcester (1651) e alla fine vennero catturati dagli uomini di Cromwell.
    Vennero utilizzati un’ultima volta alcuni decenni dopo, simbolo dell’impreparazione del governo dopo la “Gloriosa rivoluzione” del 1688, quando vennero tirati fuori (immagino soffiando sulle ragnatele) per fermare gli scozzesi giacobiti del visconte di Dundee.
    Molti esplosero al terzo colpo e gli scozzesi ribelli fecero un massacro. Non che ci fosse modo di fermare una carica di primitivi scozzesi armati di spada e scudo, eh, perlomeno non fino a Culloden (1746), quando il morale alto, le baionette e, soprattutto, il fuoco a bruciapelo, riuscirono ad aver ragione di quella massa alla carica di pazzi macellai urlanti.

    Passando al tiro con le pistole: si, è facile essere colpiti dal fuoco amico, soprattutto se si spara galoppando, per questo nel caracollo gli unici a far fuoco sono quelli della fila più avanti, per poi girare il cavallo e portarsi in coda. In una carica a fondo immagino che pure lì sparino solo le prime due o tre file e gli altri evitino di rischiare di bersagliare i propri compagnia (tra culi di cavalli, polvere e sudore forse nemmeno vedono bene il nemico poco distante).

    Il modo migliore di usare la cavalleria non è il caracollo o il fuoco con le pistole correndo in tondo come gli indiani attorno ai carri nei film Western, ma è una sana, robusta, carica con la spada sguainata, travolgendo e calpestando un sacco di nemici, sciabolando in faccia gli altri. Peccato che prima di farlo bisogna convincerli a non fare un quadrato di picche ben puntate in avanti… il che non è facile…
    E in ogni caso serve esperienza, addestramento e un alto morale, degno degli svedesi, dei fanatici religiosi di Cromwell (o dei soldati pesantemente irregimentati dell’Ottocento): cosa che non tutti i soldati di cavalleria avevano (gli imperiali quando possibile preferivano un sano e sicuro caracollo, per quanto inefficace, piuttosto che lanciarsi in cariche suicide… poi ci sono anche casi di eroici suicidi a sette cariche come la cavalleria di Pappenheim a Breitenfeld, ma non sono la norma).

  5. Ciao Duca!
    Innanzi tutto ti volevo fare i complimenti per gli articoli: semplici ma geniali.
    Poi ti volevo fare una domanda: in un libro scolastico di storia, in una scheda sugli archibugi si dice che “…i componenti della prima sparavano insieme e quindi si ritiravano per ricaricare, mentre le file successive avanzavano e ripetevano la stessa operazione; in questo modo era possibile tenere il nemico sotto scacco sotto una gragnuola di colpi fitta ed ininterrotta”. Ora il punto è; ma non è un pò troppo complicato svolgere tutta questa operazione con 10 file di uomini che si devono muovere avanti e indietro continuamente? Voglio dire, questa tecnica era diffusa o si preferivano altri modi per il tiro a raffica? se si quali?

    Grazie in anticipo.

  6. È giusta (per il Seicento). Si può anche fare nella versione “avanzata aggressiva”, con un lento procedere unito al massimo volume di fuoco (prima di ogni scarica tutta la formazione avanza di un paio di metri, la fila davanti spara, corre dietro, tutta la formazione avanza di due metri, spara ecc…), in modo da guadagnare terreno poco per volta (sperando di costringere il nemico ad arretrare) mentre non si perde capacità di fuoco.
    Un 10-12 fila di uomini servono se hai soldati con le cariche di polvere separata dalle palle (in contenitori da riporre dopo aver versato: quelli monodose appesi alla bandoliere o il classico “corno”) e che non sono particolarmente abili nel caricare rapidamente. E magari hanno pesanti moschetti con la forcella.

    Se hai soldati con cartucce di carta contenenti tutto assieme palla, polvere e stoppaccio (la carta trattata per essere più infiammabile) e sono ben addestrati al fuoco rapido, puoi ottenere lo stesso effetto di fuoco continuo con appena sei fila di uomini, come faceva Gustavo II Adolfo di Svezia.

    Questo se si ragiona in termini di “fuoco costante” ridotto a una zona ristretta: nel Settecento si allargherà il fronte, arrivando a solo 4 fila (russi, perlomeno a inizio Settecento, dopo non ricordo) o 3 (francesi) o perfino solo 2 (inglesi). Perché?
    Per massimizzare il volume di fuoco in una singola scarica (invece di dividerlo a rate, alla fine la quantità di piombo su tempo è simile… anzi, forse è leggermente in vantaggio il fuoco simultaneo, ma hai in più lo SHOCK della scarica completa a bruciapelo, come contro gli scozzesi a Culloden) e assieme guadagnare la massima larghezza.

    Più è ampio il fronte delle truppe che hai, più puoi sperare di poter manovrare per colpire sul fianco o da dietro il nemico. A pari numero di moschettieri quello che sceglie formazioni a quadrato (forti contro la cavalleria e debolissime contro l’artiglieria, ma qui stiamo parlano di soli moschettieri) è svantaggiato contro quello che si allarga per poi richiudersi su di lui, colpendo da ogni lato e sparando con tutti i moschetti in singole raffiche potentissime che hanno un effetto molto più spaventoso sul morale di un fuoco a rate.

  7. Caro Duca,

    sto realizzando un lavoro ambientato in Etiopia nel 1769-70. In quegli anni era in atto una furibonda guerra civile che fra i suoi protagonisti aveva un ras del Tiigray, Michael Sehul, che poteva disporre di alcune migliaia di moschetti, cosa che gli dava un notevole vantaggio. Credo si trattasse di armi avute dai portoghesi. Sei in grado di darmi qualche delucidazione sul tipo di armi e soprattutto sulla tattica con la quale venivano utilizzate in battaglia in un contesto come quello africano dove gli eserciti avevano un grado di addestramento e di disciplina sicuramente inferiore agli standard europei?

    Grazie.

    Paolo Pobbiati

  8. Salve,
    avrei bisogno di un’informazione.
    sono una studentessa di archeologia e mi sto occupando dello studio di alcune armi da fuoco portatili rinvenute sul sito di un relitto italo-francese affondato nel 1812.
    Sono stati rinvenute due diverse tipologie di armi da fuoco: pistolet de borde 1786 Calibro mm.18,1 e un moschettone da Ussaro modello 1786 calibro 17.1

    Inoltre sono stati trovati numerosi pallini in piombo diametro 16mm, 14mm, 09mm

    Potrebbe aitarmi a capire cosa veniva usato con cosa? Non riesco a capire il rapporto calibro arma con il calibro dei proiettili.
    Grazie

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