Ho visto una striscia divertente. Pensavo di proporla in un post, così, per divertirsi, con giusto qualche riga di commento come testo. Poi ho pensato a cosa scrivere, ho riletto vecchie discussioni nel web e ho ripescato alcuni brani tratti dai libri sulla scrittura per la narrativa. Ho riflettuto un paio di giorni e ora ho solo voglia di vomitare. ^__^

Ecco la striscia. Segue qualche riga di considerazioni.
Cercherò di essere involuto e intimista. Ci proverò. Almeno un po’. E fallirò.

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La striscia si spiega da sola: se negli altri campi è necessario sfoderare conoscenze tecniche precise e puntuali, nella critica letteraria si possono tirare fuori fiumi di stronzate e, se uno se la sa cavare nel bluffare, riuscire a farsi passare per uno che sa perfino di cosa sta parlando. Magari non un genio, ma comunque uno che “sa qualcosa”. Il trucco sta nel tenersi sul vago, sul filosofico, nel parlare di aria fritta, senza riferimenti precisi e puntuali al testo che viene trattato: proprio come nell’ultima vignetta.

I due volumi sono un’esagerazione, ovvio, ma a livello più basso, tra gente già di suo poco esperta o addirittura formata da altrettanti millantatori (più o meno consapevoli l’uno dell’altro, ma capaci di costruirsi una rete intellettualoide di supporto), è una cosa che funziona.

Se pensate che non funzioni, spiacenti per voi, ma o siete ritardati o siete vissuti al di fuori del mondo per un bel po’: fate due passi sui forum/siti di settore e controllate quanto l’aria fritta (“La libertà dello scrittore!”, “Chi ha detto che mettere quattro aggettivi di fila sia una cattiva idea?”, “Un incipit orrendo non è un buon motivo per criticare l’incipit orrendo”, “Gli avverbi in mente spiegano e specificano l’azione del verbo: solo un idiota ignorante che confonde i libri con il cinema li toglierebbe!”, “Chi può giudicare un testo di narrativa se esso in quanto intrattenimento è personale e quindi basato sul gusto e il gusto è per sua natura ingiudicabile?”, “Parlavo in generale, non di questo libro”, SIGH…) basti a mandare avanti i discorsi, a scapito dei precisi e puntuali riferimenti al testo e a scapito dello studio della scrittura per la narrativa e dei suoi meccanismi.

Anzi, peggio ancora. Chi si macchia del terribile crimine di occuparsi della narrativa dal punto di vista di chi si occupa della narrativa, ovvero con gli strumenti, i metodi e il punto di vista dello scrittore professionista (grazie alle opere in materia che gli scrittori pubblicano) per cercare di capire cosa non vada in un testo che appare “brutto”, viene perseguitato, insultato in modo più o meno velato e cacciato da piccoli nuclei di individui che praticano il “gioco del critico vago”.
In particolare il voler “spiegare e motivare” un problema di scorrevolezza o di immedesimazione PRESENTE nel testo viene ribaltato dichiarando che lo scopo Vero è quello di demolire l’opera A PRIORI: essendo per primi in malafede, accusano di malafede chi è in buona fede per mascherare la propria malafede e instillare il dubbio nel lettore, giacché chi accusa per primo è in vantaggio e l’eventuale accusa identica in risposta appare come semplice ritorsione. Dialettica eristica, la morte del dialogo intelligente e la difesa prediletta per il Giocatore del “gioco del vago”, in particolare tramite l’argumentum ad auditores e la generalizzazione.

Gioco, ecco, questo è il termine che potrebbe calzare.
Tutta la questione mi ricorda molto l’esempio del “gioco dei difetti” spiegato da Eric Berne (medico chirurgo e psichiatra, ufficiale medico nell’esercito statunitense durante la Seconda Guerra Mondiale) in “A che gioco giochiamo“.

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Eric Berne non è OK. Io non sono OK. Tu non sei OK.

Le mogli si riuniscono, bevono il tè e sparlano dei mariti, con il tacito accordo che il divertimento stia nello sparlare dei mariti in sé e non nel dialogare in modo intelligente dei propri problemi di vita coniugale per trovare soluzioni. Quando una nuova signora si aggiunge e invece di “giocare secondo le regole” decide di discutere sul serio dei problemi, cercando anche di giustificare il comportamento dei mariti e analizzare la questione in modo più razionale, le altre donne si irritano per il “gioco rovinato”.
Se la situazione di incomprensione prosegue e la nuova arrivata non capisce che lì nessuna è davvero interessata a discutere in modo razionale e intelligente, le altre smetteranno di invitarla in modo che non rovini più il loro bel “gioco dei difetti”.

Non è molto diverso ciò che succede in certi luoghi pieni di gente capace di parlare di un libro senza occuparsi del libro in sé, parlando “in generale”, chiacchierando “di massimi sistemi”, e quando viene fatto notare che per il libro in questione ciò che dicono non ha alcun valore o attinenza, questi si barricano dietro frasi come “Sì, lo so, ma io parlavo in generale, mica del libro!”.

Pare brutto in una discussione su un libro specifico parlare del libro specifico?
Evidentemente sì, perché questo costringerebbe a citare il testo in modo preciso e puntuale, facendo uso delle conoscenze di scrittura per la narrativa utili in quell’ambito: il problema è che il finto intellettuale e critico NON conosce le tecniche di scrittura (segue affermazione che i manuali sono scritti da falliti, idioti, mentecatti e anche quando non è così sono del tutto inutili “perché sì”) e NON ha le capacità e la maturità critica per discutere in modo intelligente del testo.

Molto più facile fare il Vago, dandosi un’aria da navigato intellettuale, e usando come frasi per far tacere “il rozzo tecnico” qualche roba figa origliata nelle discussioni di qualche genio che per aver preso una laurea in lettere (o star studiando lettere) pensa di sapere tutto della narrativa e di conseguenza snobba gli scrittori e i loro manuali tacciandoli di essere tutti truffatori e tutti coglioni che scrivono solo coglionate… ce ne sono a dozzine, ovunque, fate un giro e li trovate. E dato che molte cose dette dagli scrittori nei “loro manuali” sono le stesse scritte da William Strunk (professore di inglese alla Cornell University per 46 anni) e da Elwyn White (Pulitzer per “l’intero corpo delle sue opere” nel 1978) decenni prima in “The Elements of Style“, ne consegue che Strunk è un coglione e un truffatore pure lui.
E come Scott Card e gli altri pure Strunk e White sono stati traviati dal cinema e dai film d’azione di Sylvester Stallone pieni di esplosioni, per questo non capiscono che la narrativa è Arte “priva di regole” e non ci si può concentrare su stupidi dettagli legati all’immedesimazione e al mostrare. Giusto?

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William Strunk junior, un celebre drogato di cinema e televisione che non aveva idea di cosa fosse la Scrittura secondo molti intellettuali del “parlar vago di narrativa”. E chi lo ha ammirato e ha studiato il suo libro, come King e più di mezzo secolo di scrittori di narrativa (Matheson?), non è meno cranioleso di lui, giusto?

 
Brani da The Elements of Style, detto anche Strunk & White (prima edizione 1959, brani tratti dalla quarta edizione del 1999, ora c’è anche una quinta del 2009).
(Leggetelo in inglese che la versione in italiano è dello Strunk -senza White- del 1918 e mi pare tradotta di merda)


Rich, ornate prose is hard to digest, generally unwholesome, and sometimes nauseating. If the sickly-sweet word, the overblown phrase are your natural form of expression, as is sometimes the case, you will have to compensate for it by a show of vigor, and by writing something as meritorious as the Song of Songs, which is Solomon’s.
[…]
Avoid the elaborate, the pretentious, the coy, and the cute. Do not be tempted by a twenty-dollar word when there is a ten-center handy, ready and able. Anglo-Saxon is a livelier tongue than Latin, so use Anglo-Saxon words. In this, as in so many matters pertaining to style, one’s ear must be one’s guide: gut is a lustier noun than intestine, but the two words are not interchangeable, because gut is often inappropriate, being too coarse for the context. Never call a stomach a tummy without good reason.
If you admire fancy words, if every sky is beauteous, every blonde curvaceous, every intelligent child prodigious, if you are tickled by discombobulate, you will have a bad time with Reminder 14 (NdDuca: Avoid fancy words). What is wrong, you ask, with beauteous? No one knows, for sure. There is nothing wrong, really, with any word — all are good, but some are better than others. A matter of ear, a matter of reading the books that sharpen the ear.
The line between the fancy and the plain, between the atrocious and the felicitous, is sometimes alarmingly fine.


Rule 4: Write with nouns and verbs
The adjective hasn’t yet been built that can pull a weak or inaccurate noun out of a tight place.


Rule 8: Avoid the use of qualifiers
Rather, very, little, pretty — these are the leeches that infest of the pond of prose, sucking the blood of words. The constant use of the adjective little (except to indicate size) is particularly debilitating; we should all try to do a little better, we should all be very watchful of this rule, for it is a rather important one and we are pretty sure to violate it now and then.


No one can write decently who is distrustful of the reader’s intelligence, or whose attitude is patronizing.

Tra gli altri poveri stronzi (perché alcune delle cose che dicono sono le stesse cose dette dai poveri stronzi dei manuali), giusto per completezza, ricordiamo: Gabriel García Márquez (odia gli avverbi in “-mente” e si vanta di non averne messo nessuno in L’Amore ai Tempi del Colera); Ezra Pound (consigliò a Hemingway di non fidarsi degli aggettivi); Voltaire (l’aggettivo come nemico del nome); Gustave Flaubert (suggerì a Guy de Maupassant di cercare sempre la parola giusta e il verbo giusto, le mot juste, senza cedere alle soluzioni più facili e volgari… ovvero correggere un nome/verbo meno adatto di quello “perfetto” tramite avverbi e aggettivi che lo rendano più specifico); John Le Carré (“We went for a bald style… profound suspicioun of adjectives and making the verb do the work”) ecc… ecc…
Tutti citati anche in “How Fiction Works” di Oakley Hall (finalista al premio Pulitzer nel 1958, ha servito nei Marines durante la Seconda Guerra Mondiale).

Chi si presenta a parlare di narrativa di un certo tipo (fantasy e fantascienza) pensando che sia lecito far uso di conoscenze tratte dai manuali scritti proprio dagli autori di quel tipo di narrativa (ma le cui considerazioni e consigli vanno al di là del mero genere, e chi ha letto i manuali lo sa: ma i grandi letterati non si sporcano leggendo questi orribili manuali scritti da stupidi scrittori che magari non sono nemmeno laureati in lettere!) viene a rovinare il gioco dei critici da due soldi.

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Gene Wolfe (1931 – vivente)
Stimato e apprezzato autore di fantasy e fantascienza, veterano della Guerra di Corea e ingegnere… è una delle grandi menti dietro la macchina che produce le patatine Pringles.
Non è laureato in lettere, ma conosce la scrittura più di tanti gonzi con un pezzo di carta.

Questi “critici dell’aria fritta” magari per due o tre anni si sono divertiti in qualche comunità online a costruirsi un pubblico, delle amicizie e una reputazione da tizi che sanno quel che dicono: che qualcuno venga a rovinare tutto facendo capire che loro non sanno di che parlano è una cosa che non possono tollerare. E fanno i gruppetti di squadristi, usando tecniche tra il borderline e la palese violazione delle regole della community, per isolare, offendere e scacciare chiunque osi contestarli “con motivazioni valide”. Non posso fare a meno di vomitare di fronte a tutto ciò. ^_^

Gamberetta ha rotto il gioco a molti due anni fa, portando con ammirevole testardaggine un diverso modo di parlare di fantasy, più serio, a imitazione di quello che si può leggere all’estero, nelle discussioni che noi possiamo solo invidiare. E in tanti si sono incazzati perché anche se è stato possibile cacciarla dal proprio adorato forum, non è stato possibile cacciarla dalla “sala da tè del web”. E la sua semplice esistenza è ancora un atto di accusa contro di loro.

E il fatto che anche altri stiano cominciando a capire che si può e si deve studiare la narrativa di genere per parlarne con cognizione di causa (scartiamo quelli che cercano di fare commenti precisi e puntuali senza aver prima studiato… ho già accennato una volta agli imitatori di Gamberetta che fanno più danni che altro, smerdando così anche i commentatori più seri e accorti), fa sentire questi “truffatori del discorso” sempre più minacciati e spaventati. E urlano contro i critici puntigliosi. Urlano contro il mondo. Urlano in realtà contro la propria ignoranza e stupidità, che li soffoca e li fa sentire impotenti, ma non possono privarsene perché “studiare” significherebbe darla vinta al Nemico.

gamberetta_shunya
Gamberetta in una immagine utilizzata dai fan per adorarla.
L’immagine non è idealizzata: la Vera Gamberetta è molto più bella. PUNTO.

46 Replies to “Il gioco del parlare di narrativa in modo vago e la voglia di vomitare”

  1. Bell’articolo. Son cose che non fa mai male ripetere e grazie al cielo tu e Gamberetta siete qui a ricordarle.

    Grazie.

    Venedo al tema dell’articolo: in fondo ha a che fare con il discorso d’istruzione del lettore dell’altro articolo sui negri.

    Chi non sa nulla di come si scrive, o fa finta di non sapere, non ha modo di dire la sua, se non quello di sparare a caso (perlopiù stronzate).

    L’unica cosa che coniglierei a te e Gamberetta è di non prenderla così a male. Tanto chi non vuol sentir ragione non vi darà retta comunque. L’importante è che invece qualcuno a cui potete dare una mano c’è.

    Poi, riguardo a chi vi segue, ricordatevi che non tutti sono allo stesso livello di istruzione riguardo lo scrivere. Quindi magari essere meno intransigenti aiuterebbe più gente a migliorare.

    Ancora grazie di tutto e buon lavoro.

  2. Letto per la seconda volta con grande piacere.
    La parte che m’interessa di più è quella riguardante gli “imitatori di Gamberetta che fanno più danni che altro, smerdando così anche i commentatori più seri e accorti”. Ecco, io credo che parte dell’astio che gente come Gamberetta suscita su di sè non dipenda tanto da quanto scritto sul proprio sito, quanto proprio dalle mele marce. Vado con ordine.

    Di mele marce ce ne sono di tutti i tipi, anche di stampo buonista. Il fatto è che una recensione alla “volemosse bbbene” (di quelle che, anche in caso di giudizio negativo, non si sbilanciano mai per non rischiare di offendere qualche anima candida) non fa paura. A buona parte degli scrittori interessa il giudizio positivo, anche se poi le argomentazioni della recensione di turno sono cretine. Dopotutto, avete mai sentito uno scrittore (ma volendo anche un attore, regista, cantante ecc.) lamentarsi dei suoi fan, di quegli imbecilli che strillano anche solo alla vista del gomito del bello di turno e che sono pronti ad accettare qualsiasi minchiata? (basta vedere la politica per averne la prova: abbiamo più criminali in parlamento che nelle carceri, eppure gli estimatori pronti a soprassedere su tutto non mancano, anzi)
    Quando però si tratta di recensioni negative, la storia cambia. Ora, tralasciamo pure il discorso dei due pesi e due misure sopra accennato. La questione è che in effetti il 90% dei blog (ma anche il 95 o più) è gestito da gente che non ha la più pallida idea di quanto scrive. E sono loro quelli che davvero fanno danni, non certo gente come Gamberetta. Tuttavia, soprattutto qui in Italia, abbiamo il brutto vizio di confondere la causa con l’effetto, ma soprattutto di badare più alla forma che alla sostanza. Per quanto mi riguarda non ho mai fatto mistero di essere talvolta in disaccordo con alcune uscite di Gamberetta (in particolare quando gli attacchi vanno alla persona e non all’autore) o su alcune sue argomentazioni, ma nonostante ciò la SOSTANZA di quanto scritto su GF surclassa e di molto i lati negativi (lati negativi che, comunque, trovo in qualsiasi sito, giornale o libro, per il semplice motivo che nessuno può essere sempre d’accordo con un’altra persona, a meno di essere un fan celebroleso senza capacità critiche indipendenti).

    Ultima nota prima di concludere. Gamberetta (ma non solo lei) si è creata uno stile. Il problema è che molti identificano questo stile negli attacchi e negli insulti. Non sono d’accordo: per come la vedo io, alla base di GF c’è l’attenzione alla documentazione, la precisione nei commenti, oltre a un’ironia di fondo da far invidia a molti comici italiani (e che ha il mero scopo di non annoiare il lettore all’interno di articoli di lunghezza ben superiore alla media). Ora, questo cosa ha comportato? Ha comportato la nascita di imitatori che invece di soffermarsi su ciò che davvero conta (documentazione e precisione nelle argomentazioni) partono in quinta mostrandosi come gente navigata, quando invece è già tanto se sanno tenere una penna in mano, pensando che a colpi di sfuriate isteriche prive di capo e di coda potranno aumentare le visite ai propri siti (come se poi quello fosse l’obiettivo del blogger). E invece, così facendo, non fanno altro che farsi del male da soli, oltre a farlo a chi in questo campo ci mette davvero passione, impegno e preparazione.

  3. Bello il paragone con il gioco dei difetti. L’unica variante è che lì il gioco è farsi i complimenti a vicenda, di difetti manco a parlarne. Cito Gamberetta:

    ********** può piacere, non lo metto in dubbio – in fondo pure la ****** piace –, ma è possibile che non venga rilevato alcun difetto? Niente, è tutto perfettissimo, potentissimo, fantasticissimo, mai visto prima, eccezionale, ultramegasuper, ** sei un genio! Che schifo.

    Qui l’intruso che rovina il gioco è quello che dice: sì, ma scusate, il POV, questo sconosciuto…

    La falsità dei complimenti si riconosce appunto dalla genericità: aggettivi buoni per qualsiasi circostanza, che non parlano mai davvero della sostanza. Basta cambiare il titolo del romanzo e va sempre bene.

    Chi invece è un genio di sottile perfidia è Claudio Tassitano: ho riletto la sua recensione de La Rocca dei Silenzi e ho potuto gustare la sua abilità nel parlar male di qualcosa facendo finta di parlarne bene. Questo passaggio in particolare mi ha messo la pulce nell’orecchio e convinto a rileggere il resto guardando bene fra le righe:

    Ma sono piccolezze, soprattutto perché c’è la Rocca; […] tanto che se i viaggi per raggiungerla fossero stati cinque o sei invece di due, li avrebbe meritati tutti ampiamente.

    Evidentemente ha letto la recensione su La Barca dei Gamberi, dove si diceva che già il tema del viaggio nel fantasy è una sucata pazzesca, e che l’idea di farlo compiere due volte avanti e indietro è diversamente furba. Bene, basta esagerare un po’ ed ecco che il sarcasmo viene fuori in tutta la sua sfolgorante potenza:

    Ma sono piccolezze, soprattutto perché c’è la Rocca; […] tanto che se i viaggi per raggiungerla fossero stati cinquanta o sessanta invece di due, li avrebbe meritati tutti ampiamente.

  4. Dimenticavo di dire che Tassitano è un professionista: usa la tecnica del sandwich. C’è la prima fetta di pane di complimenti generici, poi c’è la sostanza, difetti rilevati puntualmente, e poi l’altra fetta di pane (“Ma sono piccolezze”). Uno legge, e il gusto che gli resta in bocca è quello della parte centrale, non quello delle fette di pane.

  5. Cazzo. A parte negli articoli di oplologia in cui mi ingobbisco e imparo in silenzio penso che sia la prima volta che mi trovo d’accordo dalla prima righa fino a “b: grassetto, i: corsivo, ins: sottolineato, strike: sbarrato, blockquote: citazione/quote”. Bell’articolo

  6. Ah, gli avverbi in -mente. Mi hai deliziato facendomi scoprire che anche Marquez ne fa strage (sapevo di King, ovvio). Ma davvero c’è qualcuno che sostiene che farne a meno è “cinematografico”?
    Scusate se mi soffermo su questo punto, fra i molti dell’articolo, ma mi sta a cuore: è che la scrittura cambia, e cambia in meglio, non solo perché è più netta, più pulita, più ritmata. Ma perché per sostituire il dannato avverbio sei costretto a inventare un’alternativa: e, no, l’alternativa non è sostituire “dolcemente” con “con dolcezza”. Si può fare una volta, massimo due. Poi, devi trovare un’immagine che mostri lo stesso concetto.
    (sul fatto che le risse fanno aumentare i contatti ma sono dannose per chi scrive, quoto Okamis)

  7. io mi bagno più con wolfe che con gamberetta. Perchè metà dei suoi libri giacciono intradotti?

  8. @Okamis

    Tuttavia, soprattutto qui in Italia, abbiamo il brutto vizio di confondere la causa con l’effetto, ma soprattutto di badare più alla forma che alla sostanza.

    Citando Eric Berne, che non impone per primo la stretta di mano di saluto ai pazienti perché:
    ci troviamo tutti lì con uno scopo ben più serio che non dimostrarci reciprocamente che siamo delle persone educate, in grado di scambiarsi una serie di cortesie convenzionali.

    E anche la narrativa e la sua discussione è uno scopo serio: la sostanza conta più della forma e delle cortesie tipo “non ti dico che fa schifo” o “temo di offenderti se dico quel che penso” o “non vorrei offendere i tuoi gusti con un parere troppo netto e motivato”.
    Ma forse per i sostenitori della forma a scapito della sostanza, anche Eric Berne è un cafone imbecille ignorante, no? ^__^

    Ultima nota prima di concludere. Gamberetta (ma non solo lei) si è creata uno stile. Il problema è che molti identificano questo stile negli attacchi e negli insulti. Non sono d’accordo: per come la vedo io, alla base di GF c’è l’attenzione alla documentazione, la precisione nei commenti, oltre a un’ironia di fondo da far invidia a molti comici italiani (e che ha il mero scopo di non annoiare il lettore all’interno di articoli di lunghezza ben superiore alla media)

    Concordo: spiegazione ottima del fenomeno GF.

    Ora, questo cosa ha comportato? Ha comportato la nascita di imitatori che invece di soffermarsi su ciò che davvero conta (documentazione e precisione nelle argomentazioni) partono in quinta mostrandosi come gente navigata, quando invece è già tanto se sanno tenere una penna in mano, pensando che a colpi di sfuriate isteriche prive di capo e di coda potranno aumentare le visite ai propri siti.

    Verissimo.

    Faccio un parallelo militare.
    L’elemento che più colpisce l’occhio nell’esercito di di Alessandro Magno, anche perché legato alla tradizione della fanteria vittoriosa greca precedente, è la falange irta di lance e protetta da scudi che agisce come un lento rullo compressore impenetrabile “frontalmente”. Gli scopiazzatori di Alessandro Magno nei tre secoli successivi imitarono questo, e vennero sconfitti dall’esercito romano più agile e manovrabile, capace di sfruttare le debolezze della formazione “fortissima”, ma rigida della falange.

    Cosa dimenticavano gli imitatori di Alessandro Magno?
    Che non era il rullo della falange a vincere le battaglia, ma la sua cavalleria. La falange garantiva una incudine, un punto di impenetrabilità, una “certezza” di difesa e di distruzione del nemico se l’avesse affrontato frontalmente, ma era la cavalleria di altissima qualità di Alessandro Magno a manovrare, colpire il nemico, costringerlo contro il rullo per essere devastato.
    Incudine (falange) e Martello (cavalleria).

    Con la sola incudine si può fare molto poco. Con il solo martello il colpo non trova la base d’appoggio che ne potenzi l’effetto. Uniti valgono più della somma delle loro forze, perché collaborano producendo qualcosa di “nuovo”.

    @Lara

    Mi hai deliziato facendomi scoprire che anche Marquez ne fa strage (sapevo di King, ovvio).

    Prego! ^_^
    Citare l’opinione di Márquez al posto di quella di King può essere un buon trucco per far capire il concetto agli intellettualoidi che snobbano “gli scrittori di intrattenimento”.
    E farli pure sembrare scemi perché considerano solo il nome di chi dice una cosa e non cosa dice: d’altronde riconoscere l’Auctoritas e inchinarsi è più facile che studiare e imparare a riconoscere le buone idee.

  9. Il figlio di una scrittrice diceva: “La verità passa per tre gradini: viene ridicolizzata, viene contrastata, viene accettata come ovvia.”

    Molti sono alla fase due, chissà quanti saranno ancora in fase uno a ridicolizzare le regole della scrittura di genere :p.

    In ogni caso un po’ di conflitto fa bene alla salute, non ci vedo nulla di male… se fossimo tutti d’accordo allora mi preoccuperei :).
    Ma ormai il livello sta salendo.
    Alcuni giovanissimi secondo me inciampano alla ricerca di approvazione (come gli imititatori di gamberetta), ma tutto sommato rispetto a quando sono usciti i primi libri della Troisi mi sembra che la situazione sia migliorata. E potrà solo continuare a migliorare.

  10. rispetto a quando sono usciti i primi libri della Troisi mi sembra che la situazione sia migliorata

    Io sono un nostalgico e un arretrato, che guarda con rimpianto al mondo europeo degli Imperi Centrali, ma su questo ti do ragione: negli ultimi due anni le cose sul web in Italia dal punto di vista della “consapevolezza della narrativa” sono migliorate grazie al passaggio di Gamberetta che ha portato buone idee pronte per alcuni, instillato il dubbio in altri e roso il fegato dei lecchini-intellettualoidi-ignoranti.

    Ha mostrato che c’era un popolo silenzioso a cui le cose non stavano bene. E che aspettava solo che qualcuno organizzasse bene le idee per loro e le esponesse in modo comprensibile e chiaro per “rispecchiarvisi”.

    Se il fantasy vuole uscire dal Ghetto dei Fessi deve dimostrare di non essere una scemenza degna solo del Ghetto dei Fessi: serve qualità, originalità e impegno. E un pubblico critico e smaliziato capace di dare un BASE forte e intelligente al settore.

    Gamberetta, come anche Licia Troisi, ma per motivi molto diversi, rimarrà nella storia del fantasy italiano.

  11. @porco
    Niente commenti sessuali su Gamberetta, per favore.
    “Quanto mi attizza Gamberetta” va bene. Anche “Voglio le sue mutandine” è accettabile. “Per sborrarci sopra” mi pare un’aggiunta evitabile.

  12. salve a tutti.
    Passo qui di tanto in tanto per sollevarmi l’umore, e di tanto in tanto per erudirmi un po’. Frequento pure la gambera da qualche mese a questa parte e in generale mi trovo d’accordo con le sue e le tue disamine – e parlo di sostanza: non ho il background tecnico che avete voi, ma avendo la pazienza di capire quello che dite (perché tranne quando vi avvitate in citazioni di manuali vari, bisogna dire che spiegate con grande chiarezza di cosa parlate) riesco anche a rendermi conto di quando sono d’accordo e quando meno.
    Ora, dalla mia ho una trentina d’anni di esperienza continuata di lettore, e quando commento un testo non lo faccio da addetto ai lavori ma da lettore che ha avuto la fortuna di crescere con i mostri sacri (o perlomeno con coloro che sono riconosciuti come tali più o meno universalmente). Personalmente, ma credo la cosa sia vera anche per altri, io “mi accorgo” quando qualcosa non va; quando un testo non scorre, quando inciampo nella lettura, quando una frase stona, quando c’è uno squilibrio o una confusione non voluti. E confrontandomi con le vostre analisi sono spesso nel giusto, nel senso che rilevo il “cosa” ma non il “perché”, sul quale invece voi profondete particolari. E ripeto, lo dico di me ma presumo sia lo stesso per tanti altri lettori accaniti con una buona base. tutta ‘sta premessa per dire che, ecco, non arriviamo per forza alla conclusione che o sei del ramo oppure è meglio che ti stai zitto se no rovini la piazza a chi sa davvero: mi pare limitativo e pure ingiusto. Sarà un’analisi diversa, da lettore e non da esperto di tecnica di scrittura, e l’importante è che sia chiaro: ma è comunque un’analisi spesso valida. Che non va nel dettaglio, se vuoi. Ma che è comunque in grado di distinguere robaccia da ROBBA BBONA, diciamo così. Argomentando con gli argomenti del lettore, che non sono indubbiamente i vostri ma con i vostri possono corrispondere.
    Scusate la lunghezza. (E’ che quando uno è dotato… arrotolare pare brutto).

  13. @Ema

    tutta ’sta premessa per dire che, ecco, non arriviamo per forza alla conclusione che o sei del ramo oppure è meglio che ti stai zitto se no rovini la piazza a chi sa davvero: mi pare limitativo e pure ingiusto. Sarà un’analisi diversa, da lettore e non da esperto di tecnica di scrittura, e l’importante è che sia chiaro: ma è comunque un’analisi spesso valida. Che non va nel dettaglio, se vuoi. Ma che è comunque in grado di distinguere robaccia da ROBBA BBONA, diciamo così. Argomentando con gli argomenti del lettore, che non sono indubbiamente i vostri ma con i vostri possono corrispondere.

    Questo è perfettamente lecito. Se si commenta un libro “parlando del libro”, anche se in modo poco approfondito perché si ha difficoltà a cogliere i motivi di un problema percepito, si sta comunque facendo la cosa giusta.

    L’importante è non fare come i “fanfaroni intellettualoidi”, che tirano fuori parole contorte e idee dementi, condite con trucchi dialettici, per discutere di tutt’altro senza concentrarsi sul libro. E vantandosene di averlo fatto.

    Finché si parla “del libro”, è tutto ok, che sia una critica approfondita e motivata o una meno approfondita e più “a senso/a istinto”, ma che segnala a suo modo problemi e pregi presenti.
    Magari tutti i lettori lo facessero! ^__^

    Altra cosa invece è, come segnalava Okamis, l’imitare lo stile Gamberetta solo nel lato più facile, trascurando l’argomentazione e l’attenta documentazione: è il cercare facile polemica e visibilità SENZA fornire pareri motivati e intelligenti a creare “danno” a chi invece usa un pizzico di polemica e di umorismo per rendere piacevoli dei commenti al libro altrimenti “lunghi e noiosi”.

  14. Concordo con il Duca. Un lettore che conosce i suoi limiti, e che quindi si sforza di colmarli avvalendosi del supporto altrui, è un OTTIMO lettore, perché è proprio questo l’approccio corretto. Il lettore, a prescindere che possegga o meno un’ampia conoscenza dell’argomento DEVE partecipare alla discussione. L’importante è che non finga di possedere qualità che in verità non ha, altrimenti casca nel ridicolo. Ma questa critica la faccio anche a molti scrittori che spesso si lanciano in discorsi sui quali non hanno le conoscenze adatte (tranquillo Duca, non faccio nomi ;-). E’ la stessa ragione per cui, per fare un esempio, io non mi metterei mai a parlare di ingegneria nucleare nel dettaglio, nonostante abbia un mio pensiero riguardo l’uso dell’energia atomica: proprio perché non dispongo delle conoscenze tecniche capaci di supportare il mio pensiero. Al contrario, tu hai esposto l’approccio ideale di qualsiasi lettore: quello che non si ferma a leggere le parole di un libro in sequenza, ma cerca, anche con l’aiuto altrui, d’indagare sul loro reale senso.

  15. Bene così allora ;)
    Le vostre recensioni in realtà non assomigliano molto a quelle “standard” dei vari giornalisti che si possono trovare in giro. Nel senso che sono molto più approfondite e dettagliate, e forse sfiorano la cura di un editor piuttosto che di un recensore (e sono quindi più utili per chi legge). Tralasciando gli inserti comici, ecco.
    E pure le parti astiose, che almeno a me personalmente guastano la festa, per quanto non mi facciano dubitare della bontà dell’analisi (attenzione parlo di parti astiose non di passaggi semplicemente “pesanti” o “molto pesanti”, che sono estremamente gustosi). Non tanto in questo blog comunque.

  16. @Duca

    A proposito di discutere e argomentare: avresti qualche libro da consigliare su come evitare gli errori logici più comuni?
    Cose come il libro che ha citato Gamberetta sulle stronzate.

    Chiedo perché a volte son cose che si commettono anche senza accorgersene e mi farebbe piacere studiare qualcosa al riguardo.

    Grazie

  17. @Ema:

    E confrontandomi con le vostre analisi sono spesso nel giusto, nel senso che rilevo il “cosa” ma non il “perché”, sul quale invece voi profondete particolari.

    Esatto, il punto è proprio quello. Non è che prima nascono le regole e poi si decide che tutto quello che non rispetta le regole è brutto, questo è solo ciò che vorrebbero far credere quei mentecatti di cui si parla nell’articolo. La genesi è invece: questo libro mi annoia. Come mai? Andiamo un po’ a vedere. Ah, guarda, i dialoghi sono ridondanti, pieni di infodump, e si dilunga in particolari inutili solo per imbrattare pagine. Ah, sarà mica per quello? E come mai perdo sempre il filo? Uh guarda, il punto di vista salta di continuo.

    Ecco, le regole nascono da questo: capire come mai un romanzo è brutto e evitare di scriverne altri. Se un romanzo è bellissimo infrangendo tutte le regole (perché l’autore è un genio), a nessuno verrà in mente di dire che fa schifo perché non rispetta le regole. “Analizzati in quel modo tutti i romanzi fanno schifo” è la solita lagna che viene fuori quando si parla delle recensioni di Gamberetta. Non è vero: solo i romanzi che fanno schifo hanno bisogno di essere analizzati in quel modo.

  18. Penso che uno dei problemi alla base del parlare in modo vago e superficiale dei libri sia il fatto che molto spesso i libri non si leggono. Si commenta – in positivo – dopo aver sfogliato qualche pagina e dato uno sguardo alla quarta di copertina.
    E non mi sento di condannare questo modo di fare, perché:
    * Ci si risparmia di leggere schifezze.
    * Non avendo letto, è più facile mentire. E in fondo, sto davvero raccontando bugie? Non lo so, non posso saperlo finché non leggo. Basta che non ci provo mai e sono a posto.

    Rimane da chiedersi perché commentare sempre in positivo o quasi. Be’, direi che ci sono due ragioni:
    * Gli “scrittori” o aspiranti tali sono convinti che leccare sia utile, o come minimo eviti guai. Mi scriveva mesi fa un autore (pubblicato):

    Intanto trovo noioso […] il buonismo che dilaga, troppo italiano, questo voler essere tutti amici di tutti, non dire mai male di un libro perchè sta male.
    Che palle!
    Purtroppo mi tocca essere buonista pure a me perchè nell’ambiente dell’editoria ho imparato questa regoletta “se parli male di qualcuno nel momento sbagliato, poi quello lo fa di te, ma nel momento giusto, e sei fottuto”

    Altri mi hanno mandato mail con contenuti simili. Ora, io non so se sia vero o no, se siano timori concreti o paranoie, sta di fatto che molti preferiscono non rischiare e leccare incondizionatamente.
    * Chi non è scrittore o aspirante tale o amyketto, spesso parla bene di un libro per sentirsi accettato. Un sacco di gente partecipa a forum e comunità varie non per discutere seriamente gli argomenti alla base di tali forum e comunità, ma solo per trovare qualcuno con cui scambiare quattro chiacchiere. Basta vedere che spesso la discussione su un libro magari interessantissimo ha 20 commenti, il topic “Allora, organizziamo la pizzata?” ne ha 650.
    In un clima del genere, se i 19 nel topic del libro dicono che è strabello, anche tu dici che è strabello – senza neanche averlo letto – così ti invitano alla pizzata.

  19. Se un romanzo è bellissimo infrangendo tutte le regole (perché l’autore è un genio), a nessuno verrà in mente di dire che fa schifo perché non rispetta le regole. “Analizzati in quel modo tutti i romanzi fanno schifo” è la solita lagna che viene fuori quando si parla delle recensioni di Gamberetta.

    Il problema è che i critici del metodo dei commenti “precisi e puntuali” sono tali per tre motivi: ignoranza (non sanno e non possono capire: si risolve con la conoscenza), stupidità (sanno, ma non capiscono le implicazioni logiche o non hanno una mente in grado di ragionamenti razionali: non ha una soluzione semplice) o malafede (fingono di non sapere e/o di non capire per vari motivi, dall’odio personale al divertimento del trolleggio allo spirito di casta alla difesa degli amichetti: non ha soluzione).

    Chi non è scrittore o aspirante tale o amyketto, spesso parla bene di un libro per sentirsi accettato. Un sacco di gente partecipa a forum e comunità varie non per discutere seriamente gli argomenti alla base di tali forum e comunità, ma solo per trovare qualcuno con cui scambiare quattro chiacchiere. Basta vedere che spesso la discussione su un libro magari interessantissimo ha 20 commenti, il topic “Allora, organizziamo la pizzata?” ne ha 650.

    È una cosa disgustosa.
    L’incapacità di instaurare rapporti sociali in modo più adulto non è una scusa per cercare di distruggere alla base la qualità della discussione pubblica della narrativa in Italia, fondamentale per spingere il settore e favorire i (pochi) libri di qualità col passaparola non inquinato da “falsi giudizi”.

    Gli “scrittori” o aspiranti tali sono convinti che leccare sia utile, o come minimo eviti guai.

    Anche questa è una cosa disgustosa. Bisognerebbe leccare solo quando si è sicuri di ottenere risultati, non stile bombardamento a tappeto.

    Non condanno del tutto uno che lecca direttamente il culo di Lord Mondador o di un suo Ministro (un editor? un lettore interno?) perché così è quasi sicuro che il Lord pubblicherà il suo libro (in fondo il mondo editoriale è una pozza di piscio in cui galleggiano stronzi, per usare un’immagine edulcurata), ma leccare scrittorucoli dementi che non hanno alcun peso nelle decisioni dell’azienda è patetico e umiliante.
    È da merdacce (beh, quanto meno si è in tema col mondo editoriale a cui si punta). ^_^

  20. Se un romanzo è bellissimo infrangendo tutte le regole (perché l’autore è un genio), a nessuno verrà in mente di dire che fa schifo perché non rispetta le regole.

    Questo è essenziale. Il risultato è la cosa importante. Il modo in cui arrivarci non conta, diciamo: puoi scrivere un capolavoro o sfruttando i metodi di scrittori navigati, o vendendo l’anima al diavolo (come Paganini).
    Servirebbero degli esempi, secondo me. Perché parlare in questo modo è giusto, sappiamo di non dire cazzate, ma contestualizzare coi fatti sarebbe meglio.

  21. @Federico: un esempio è Firmino di Sam Savage. E’ pieno zeppo di riflessioni e divagazioni, ma tenendo conto che sono le riflessioni di un ratto nato e in una libreria (è lui, Firmino, a scrivere in prima persona), direi che ci sta ^__^

    Poi la bravura dell’autore si sente, non è certo uno che non sa quello che fa. Tieni anche presente che è nato nel ’40 e ha pubblicato il primo romanzo nel 2006.

  22. Io, come esempio, avevo pensato al Vecchio e il mare di Hemingway. Il “problema” è che proprio Hemingway seguiva le regole del buon scrivere – ergo, non potremmo catalogarlo tra gli scrittori che non seguendo le “regole” scrivono bene comunque.
    Il vechcio e il mare, però, sarebbe stato un romanzo assai noioso se scritto da qualcun altro. La storia, in fondo, è scarna: un vecchio pescatore non pesca più una mazza, e un bambino lo sprona a resistere. Nel mezzo del romanzo breve, mille pensieri e riflessioni del vecchio, che sente di essere arrivato ormai alla fine dei suoi giorni, il suo rispetto per la natura, e tutta la filosofia che ne deriva.
    L’opera sarebbe una palla infinita, se non fosse che è scritta come Dio comanda – semplice, diretta, chiara.

    Un’altra opera degna di nota – ma che al contempo non segue le direttive della buona scrittura, non eccellendo dal punto di vista dell’ “immediatezza visiva” e cose di questo genere – è La coscienza di Zeno di Svevo – permettetemelo. È l’ironia la chiave fondamentale, il motore che muove il racconto, secondo me. E non altre ipotetiche menate interpretative – che avranno anche il loro perché, ma che io personalmente giudico secondarie.

  23. Federico, quanto ti arrabbi se ti dico che, a mio modestissimo parere, La coscienza di Zeno è molto, molto sopravvalutata?
    Angra, e ti confesso che anche Firmino mi ha lasciato molto fredda.
    Credo che uno che infrange le regole, ma davanti al quale mi inchino, sia forse Lovecraft. Forse.

  24. @Alex Frost, Tutti

    ehi.. a parte gli scherzi, l’idea della pizzata non è mica male XD

    Qualcuno viene per caso a Lucca Comics?

  25. @ Lara: Su Svevo posso darti manforte se vuoi, visto che in generale lo considero il “classico” italiano più sopravvalutato di sempre ;) Dopotutto è uno a cui è riuscito un romanzo (e nemmeno del tutto, IMO) su tre. Un po’ pochino a mio modesto parere.

    @ Angra: Temo che quest’anno, a meno di trovare fondi imprevisti, dovrò saltare :(

  26. @ Angra

    Sarai li tutte è due i giorni?

    Io ci sto pensando, ho un amico che deve portare una storia a fumetti e mi potrebbe dare un passaggio e un alloggio.

    Il problema è che tra lavoro ed esami non so ancora per certo. Cazzo, non ho quasi neanche tempo per leggere e scrivere ciò che voglio.

    Comunque un “raduno” non mi dispiacerebbe, anche perché dal vivo si comunica molto più velocemente e si capiscono meglio le persone (per quanto precisa possa sembrare l’idea che ci si fa qui dal Duca o da Gamberetta è solo un'”impressione di personalità”).

    Solo che se non è a Lucca allora dove? Ho idea che il Duca sia lombardo, ma Gamberetta?

  27. Lara, non mi arrabbio per niente: se consideri la roba di Zeno una schifezza, son cazzi suoi. Non l’ho mica scritta io, quella roba, LOL!
    Scherzi a parte. Trovo più sopravvalutati altri vecchi autori italiani, ma boh: quello di cui parliamo è un concetto molto astratto. Perché stiamo cercando qualcosa di buono che travalichi l’uso delle buone tecniche. E non abbiamo veri e propri punti di riferimento per definire il “genio” e il “capolavoro”.

    Parli di Lovecraft? Sì, se prendiamo il meglio della sua produzione, concordo. Vi affiancherei, sempre nell’ambito “strano ma genio”, Poe. È del ‘900 ma scrive come un oscuro romantico. E benché certi racconti siano asfissianti e difficilmente leggibili, altri sono capolavori.

  28. @???: probabilmente sabato 31, non so se anche la domenica ma non credo (a meno che non ci sia qualcosa di particolare). Altrimenti si potrebbe organizzare una pizza e vedersi nel baricentro esatto dei luoghi di provenienza di tutti quelli che partecipano (che sarebbe sicuramente un posto del cazzo, tipo una discarica). Be’, diciamo nella pizzeria più vicina al baricentro.

    @Lara: NON IN QUEL SENSO!!!!!!!!

  29. Io il sabato dovrei esserci quasi sicuramente, ma devo ancora organizzare tutto tutto..

    comunque lucca dura 4 giorni, non 2 ;)

  30. Io non contavo gli altri due fuori dal week-end perché lavoro. C’è qualcun altro? Come ci si roconosce? Tutti con il pickelhaube? ^______^

  31. Sai una cosa? Sono d’accordo. Io gestisco un forum di aspiranti scrittori e i loro testi, per un buon 85-90%, sono pieni di inutili barocchismi che appesantiscono il testo. E sono vuoti, benché vogliano spacciarli per carichi di emozioni. E non c’è verso di fargli capire il contrario, nonostante tutte le recensioni del team di critici del forum siano fortemente negative, al limite del distruttivo!

    Giusto ieri sera uno dei recensori ha criticato negativamente un testo. Dopo cinque minuti s’è presentata una sua amica a difendere il testo a spada tratta dicendo che non avevamo capito il testo. Non era mai successo in più di un anno e mezzo, sono rimasta così -> O.O

  32. Secondo me capita perchè in linea di massima noi esseri umani siamo pigri :p. chi ha voglia di mettersi a studiare le regole della fiction?

    Ma qui io vedo 2 tipi di scrittori:
    – Quelli che scrivono per ottenere approvazione -> odieranno le regole della fiction perché dimostra che loro sbagliano e loro vogliono essere approvati… NON migliorare.
    – Quelli a cui la fiction effettivamente piace -> sì, all’inizio faranno resistenza come tutti, la pigrizia è una brutta bestia, ma quando si trovano davanti le regole della fiction queste gli piaceranno e ne rimarranno attratti. Basta solo dar loro una mano e spingerli sulla retta via.

    E’ tutta questione di spirito :).

  33. – Quelli che scrivono per ottenere approvazione -> odieranno le regole della fiction perché dimostra che loro sbagliano e loro vogliono essere approvati… NON migliorare.
    – Quelli a cui la fiction effettivamente piace -> sì, all’inizio faranno resistenza come tutti, la pigrizia è una brutta bestia, ma quando si trovano davanti le regole della fiction queste gli piaceranno e ne rimarranno attratti. Basta solo dar loro una mano e spingerli sulla retta via.

    Eh eh eh, già, i vari Stadi degli scrittori. Eh eh eh. :D

  34. Qualcuno mi spiega perché nell’edizione italiana il capitolo V non c’è? Insieme al primo e al secondo, è il più utile. Lo hanno sostituito con un’appendice che è un mix fra alcuni consigli del capitolo cinque (write is rewriting) ed elementi striminziti di Dialogo e POV. Le note del curatore però sono interessanti: non avevo ancora letto l’edizione italiana.

    9. Do not affect a breezy manner.

    The volume of writing is enormous, these days, and much of it has a sort of windiness about it, almost as though the author were in a state of euphoria. “Spontaneous me,” sang Whitman, and, in his innocence, let loose the hordes of uninspired scribblers who would one day confuse spontaneity with genius.
    The breezy style is often the work of an egocentric, the person who imagines that everything that comes to mind is of general interest and that uninhibited prose creates high spirits and carries the day. Open any alumni magazine, turn to the class notes, and you are quite likely to encounter old Spontaneous Me at work — an aging collegian who writes something like this:
    Well, guys, here I am again dishing the dirt about your disorderly classmates, after pa$$ing a weekend in the Big Apple trying to catch the Columbia hoops tilt and then a cab-ride from hell through the West Side casbah. And speaking of news, howzabout tossing a few primo items this way?
    This is an extreme example, but the same wind blows, at lesser velocities, across vast expanses of journalistic prose. The author in this case has managed in two sentences to commit most of the unpardonable sins: he obviously has nothing to say, he is showing off and directing the attention of the reader to himself, he is using slang with neither provocation nor ingenuity, he adopts a patronizing air by throwing in the word primo, he is humorless (though full of fun), dull, and empty. He has not done his work. Compare his opening remarks with the following — a plunge directly into the news:
    Clyde Crawford, who stroked the varsity shell in 1958, is swinging an oar again after a lapse of forty years. Clyde resigned last spring as executive sales manager of the Indiana Flotex Company and is now a gondolier in Venice.
    70
    This, although conventional, is compact, informative, unpretentious. The writer has dug up an item of news and presented it in a straightforward manner. What the first writer tried to accomplish by cutting rhetorical capers and by breeziness, the second writer managed to achieve by good reporting, by keeping a tight rein on his material, and by staying out of the act.

  35. Perché, come si può desumere dal libro italiano (e come avevo sottolineato in questo articolo), l’edizione italiana è lo Strunk del 1918 e non lo Strunk & White del 1959, che poi è arrivato alla quarta edizione.

    Credo che dipenda da questo. Lo Strunk & White in inglese mi è sembrato tutto un altro pianeta quando l’ho letto un bel po’ di tempo fa.

  36. Aaaaaaaaahhh ecco. Mi sembrava strana. Il libro in italiano però era del 2008 e la quarta edizione di Element of Style era dell’Aprile 2003. Pensavo avessero preso l’ultima quando ho comprato il libro.
    Comunque le integrazioni sulle normative italiane e le note del curatore non sono malaccio. L’edizione inglese è ancora il meglio.
    Grazie per la risposta

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