Oggi un post diverso dal solito. Come avrete notato in questi nove anni di attività, io non mi occupo di questione di cronaca o alla moda a meno che non riguardino direttamente il mondo editoriale. Quindi un articolo diverso dal solito… ma forse neanche tanto.

Ho parlato molte volte nel corso degli anni della bassa opinione che ho di tanti magistrati incompetenti, identica a quella del giudice Edoardo Mori. Spesso ho parlato della medesima bassa opinione che ho verso troppi giornalisti (anche qui e pure qui), sciacalli irresponsabili che producono menzogne e costruiscono narrazioni inventate (quindi lavaggio del cervello per chi le subisce) nel più puro disprezzo per la verità… e si difendono dicendo che produrre menzogne e propaganda, costruendo realtà che non esistono e convincendo la gente a credervi, sia “diritto all’informazione”. Diritto al plagio, al più.

Ecco un bel link da leggere e studiare:
Perché non è stato il web a uccidere Tiziana Cantone“.

webtizianacantonemedium

Per chi è di memoria corta e non ha una formazione sul concetto di “crescita virale” legata al rilancio di qualcosa da parte di grandi siti, questo articolo potrà rinfrescare la memoria.

Cos’è la crescita virale legata al rilancio di grandi siti? La cosa che fa la differenza per un video di YouTube, per dire, per passare da 3mila misere visioni a 300mila e oltre. Un giornale o simili decide che un video è “virale” perché piace al giornalista e ne ha letto su uno dei blog (o pagine Facebook) minori da cui trae contenuti da rilanciare, e poi lo spinge per autorealizzare la profezia…. boom, in pochi giorni è virale davvero.
Questo è il trucco insegnato anche da grandi costruttori di fenomeni virali, come James Shamsi: affidarsi ai siti piccoli che sono “sorvegliati” dai grandi, per poter così arrivare prima o poi ai grandi e basta una sola volta a fare il botto.

Avete letto l’articolo linkato prima?
Fatelo. Giusto per ricordare che la fama di Tiziana Cantone, il cui video era solo uno tra decine di migliaia di altri video amatoriali italiani, venne praticamente “creata” da Il Fatto Quotidiano che la fece conoscere a gran parte di quelli italiani che senza di lui manco se ne sarebbero accorti (non facciamo finta che non sia così, come fa invece Peter Gomez nel suo post di scuse: si fa solo la figura degli idioti che non sanno cosa sia la viral growth).

Il Fatto Quotidiano ha, per esempio, cancellato solo la sera del 14 settembre l’articolo trionfante che rilanciava divertito il video di Cantone. “Tiziana Cantone, gira un video hard con l’amante e diventa il nuovo idolo del web”. Da apprezzare anche la classe di includere nome e cognome all’inizio del titolo del pezzo e nell’url del sito in modo da ottimizzare al meglio il SEO sui motori di ricerca.

Tramutiamo “il web ha ucciso tizia” in “I giornalisti tradizionali usano il web per massacrare tizia, così poi possono accusare il web di essere pericoloso” ma senza precisare “pericoloso nelle loro mani irresponsabili”? ^__^

fantocritica
Neppure ad alcuni lettori de Il Fatto Quotidiano certe “notizie” sembrano normali da dare.

Con il suicidio ci stanno campando facendo fior fiore di articoli, servizi, tutto minutaggio e parole che si producono senza fatica, non come andare a occuparsi di veri scandali politici, di indagini sul crimine organizzato (col rischio di finire male) o fare reportage in zone di guerra o nei paesi africani (con notizie sia cattive che buone: quanti di voi sanno del fiorire economico del Rwanda?) di cui mai ci giungono notizie.

Del post linkato all’inizio, avete letto questo pezzo qui?

Sembrerà strano, ma negli Stati Uniti non processano il “sessismo” o il “web” su Facebook quando un video privato porno viene diffuso in rete. Processano il tipo che lo ha diffuso. Perché vivono in uno stato di diritto in cui le azioni hanno conseguenze dirette se sono illegali. Pubblicare video privati si chiama revenge porn e ti porta dritto a 18 anni di galera.

[…]

Il paradosso è che continuando con la retorica del è colpa del web e della società chi vorrebbe aiutare le ragazze come la Cantone aiuta in realtà chi distrugge le loro vite. Perché permettono di spostare il mirino dell’attenzione pubblica da chi diffonde il revenge porn, insomma da delle persone vere che potremmo punire e fermare, a dei concetti.

Le reazioni alla morte di Tiziana Cantone sono considerazioni da preti cattolici, anzi, peggio, provengono da persone che probabilmente si vantano di non essere credenti, ma che subiscono inconsapevolmente la morale cattolica. Il male non ha forma umana, non vive dentro una sacca di carne che consuma sangue e ossigeno. Chi ha distrutto la vita di Tiziana Cantone non è una persone che passa il capodanno guardando Carlo Conti su Rai Uno, no, chi l’ha ammazzata è la società moderna. Siamo tutti colpevoli quindi siamo tutti innocenti.

Ma a dare la colpa alle persone si rischia… ops, che pure i giornalisti spregiudicati finiscano nel mezzo per aver diffuso volti, nomi, cognomi e informazioni più che sufficienti per trovare i video! ^_^

C'è più serietà nelle parodie.
C’è più serietà nelle parodie.

E nel frastuono dei giornalisti irresponsabili non verrà fuori, probabilmente, nemmeno quel qualcosa di giusto e civile che sarebbe DA ANNI dovuto uscir fuori:

La morte della Cantone sarebbe potuta servire per introdurre anche da noi una legge sul revenge porn. Ma non avverrà perché nessuno ne parla. Anche quando, se, capiremo chi ha reso pubblici quei video il massimo che si potrà fare sarà una condanna per diffamazione. È infatti un reato diffondere video porno privati in Italia solo quando i protagonisti sono minorenni.

È quello che accade quando a difenderci non abbiamo i “cani da guardia del potere”, ma i social media manager della Ceres.

Alla faccia dell’utilità sociale che i giornalisti millantano di avere. Sì, qualcuno di loro l’ha. Così pochi da perdersi nel frastuono, da non fare spesso carriera perché vogliono dare addosso agli intoccabili o magari finire ammazzati dalla Mafia (mentre tutti gli altri tirano un sospiro di sollievo, rassicurati perché così scemi da fare inchieste vere loro non lo saranno mai!). ^_^

Il Fatto Quotidiano tenta pure lo sciacallaggio pentito facendo le scuse tardive, ché le scuse fanno sempre fare bella figura (altra regola di social marketing che se non conoscete state davvero vivendo arrampicati sui peri). Scusa scritte in modo imbarazzante, con le mani avanti e ipotizzando che in fondo mica si è causato danno, magari capitava tutto uguale lo stesso.
Certo, e in fondo anche se non è il primo fidanzato lasciato che ammazza la compagna persa, magari sarà il fidanzato dopo che la ucciderà, per cui mica è tutta colpa sua se quella muore… Giusto? Ora perfino le supposizioni paracule hanno dignità giornalistica? On Meth Gomez, it is. :-)

On Gomez it is.
On Gomez it is.

Cosa richiede una scusa per avere senso?
Che l’evento sia sfuggito di mano, che non si volesse creare danno e si sia, per stupidità, per distrazione, per quello che vi pare (ma in totale buona fede, ovvero credendo di aver fatto tutto per bene), fatto qualcosa che a conoscere che effetti avrebbe avuto si sarebbe evitato.
L’effetto indesiderato qui non è il “suicidio”, ma la gogna mediatica: d’altronde se teneva duro, se non si ammazzava, e viveva altri anni d’inferno, Il Fatto Quotidiano avrebbe allora “fatto bene” a mettere quell’articolo? No.

Una scusa “vera” implica, in soldoni, la mancata conoscenza di qualcosa.
Per esempio è lecito pentirsi e scusarsi dopo aver fermato con l’uso di qualche cazzotto un presunto stupratore, accorrendo a salvare la presunta vittima, per poi scoprire che lei era una ladra e lui stava lottando per riprendersi il portafogli, ora sparito con la tizia.
L’effetto desiderato era quello di fermare un delinquente, ma l’effetto reale è stato di aiutare una delinquente. Chiaro?

Sono forse dei poveri svantaggiati per non aver capito costa stavano facendo? E non l’hanno capito nei 16 mesi successivi di gogna mediatica subita da Tiziana, il tempo passato prima del suo suicidio… e prima di cancellare il post?

Peter Gomez, 10 aprile 2014. Tredici mesi dopo incita, e praticamente crea, col suo giornale una campagna di odio e supposizioni (la additavano come nuova pornostar con una campagna di viral marketing ben realizzata) con foto, nome e cognome di Tiziana Cantone.

E questo come si collega al fatto che Peter Gomez (direttore responsabile, e quindi nulla si pubblica senza il suo consenso), sia un intellettuale intelligente e un uomo di cultura, come immagino sia l’opinione di tantissimi (anche la mia), se mi state dicendo che ha agito come un fesso che non capisce i più semplici concetti della vita?
Qualcosa non torna…

Sappiamo infatti “cosa” non torna.
C’era la volontà di danneggiare perché danneggiare era la NECESSARIA e OBBLIGATORIA (e quindi CONOSCIUTA) conseguenza dell’articolo, non è stato un effetto collaterale inaspettato (e scusabile, non voluto).
Non è sfuggito perché sono scemi, lo hanno fatto sapendo cosa stavano facendo.

Come lo sa uno che prende una pistola, verifica il caricatore, mette il colpo in canna, toglie la sicura e spara addosso a un altro tizio: non può scusarsi dicendo “oddio, non pensavo proprio che i proiettili facessero male!” perché è chiaro che la scusa, con tanta esperienza nel maneggio, non può reggere. Diverso sarebbe se il colpo sfuggisse a un legionario romano del IV secolo finito qui da noi, incapace di capire cosa sia quella pistola che ha ricevuto già pronta a sparare.

"Oh Cielo! Ti ho fatto male? Non credevo che infilandoti una sciabola nel corpo ti avrei fatto male! Oddio, scusami!"
“Oh Cielo! Ti ho fatto male? Non credevo che infilandoti una sciabola nel corpo ti avrei fatto male! Oddio, scusami!”

Quindi non può esserci scusa accettabile.
C’è la colpa, c’è la volontà di nuocere e ci sono 16 mesi senza nemmeno interrompere l’aggressione iniziata prima che il suicidio renda il tutto “pericoloso” per le chiappe dei carnefici giornalistici. Altrimenti scusiamo pure Stalin, magari sul letto di morte magari ha mormorato “Ehi, non pensavo che le vittime delle mie purghe si sarebbero fatte tanto male…” al massimo scusiamolo in virtù dei suoi baffi molto sexy, non per il mormorio da coccodrillo lacrimevole.

Grazie, Il Fatto Quotidiano, ricordaci ogni giorno che se la responsabilità è “di tutti” in fondo non è “di nessuno”, soprattutto non dei giornalisti e dei loro cosiddetti direttori responsabili. ^_^

11 Replies to “Giornalismo irresponsabile: un fatto quotidiano”

  1. Grazie per la lucida analisi, Duca, un punto di vista non scontato su una notizia di cui sapevo poco ed in maniera superficiale. Vivendo all’estero non avevo idea di cosa avesse subito esattamente questa ragazza (non leggo i giornali) e di come la sua persecuzione fosse stata orchestrata: pensavo fosse azione di uno e credevo anche io alla leggenda del “video virale”. Mi rendo conto di essere molto ingenua.. Incolpare la società è facile quanto inutile, poiché la società non esiste se non come concetto astratto: solo le persone esistono..ed in questo caso certe persone dovrebbero essere punite in maniera esemplare.

  2. Alla fine mi sono limitato a sottolineare le parti importanti dell’articolo originale, che era allungato da troppe cose non connesse: ovvero la responsabilità di Gomez.

    E a fare il passo ulteriore, che magari tra giornalisti e per paura di denunce (un sito grosso, serio, è più in pericolo di un blogghino infimo come il mio) non si fa, ovvero sottolineare l’ipocrisia anche delle scuse di Gomez. Il che ha permesso un excursus sul concetto di “scuse”.

    Di originale alla fine c’era solo questo: le “scuse” spiegate dopo una premessa più compatta rispetto all’articolo originale (per chi, nonostante gli inviti, non lo ha letto).

    Gomez alla fine è solo un giornalista come tanti, non più cattivo di altro. Il guaio è proprio che quello sia il livello diffuso in Italia. Un livello inferiore al minimo per un paese rispettoso dell’intelligenza… ma chi ha mai detto che i giornalisti rispettino l’intelligenza del pubblico che trattano come masse da plagiare? ^___^

  3. Fantastico il copia e incolla fatto male nell’articolo, ahahaha! :-D Il Fatto Quotidiano sa scegliere bene i collaboratori, tanto poi il direttore responsabile Peter Gomez controlla con cura e approva. Fa proprio bene il suo lavoro. :-)

  4. Non avevo pensato al problema delle scuse in questi termini e mi trovo d’accordo totalmente con quanto scrivi.
    Breve, dritto al punto e chiaro. Un tempo avresti pubblicato una pergamena di sedici metri ripercorrendo ogni dettaglio della questione. Vai così!

  5. D’accordo con te al mille per mille, soprattutto riguardo le finte scuse. Si scusano e intanto su questo suicidio ci marciano sopra a più non posso. Ho la nausea.

  6. Vorrei far notare una cosa che ti é sfuggita Duca: Peter Gomez é il direttore della testata online del Fatto Quotidiano online non di quello cartaceo. La responsabilitá della falsitá della notizia divulgata perció, non è del FQ o del direttore Marco Travaglio, ma solo di Gomez. Sono basita per ció che ha fatto.

  7. Sì, non si è infatti mai parlato della versione cartacea, visto che si parlava solo di quella online. Nello specifico si è anche sottolineato ossessivamente la responsabilità di Gomez, in modo che non vi fossero dubbi che è il “direttore responsabile” a essere “direttore responsabile”.

    Non c’è alcuna possibilità per alcun lettore di poter in alcun modo incolpare Travaglio delle mancanze di Gomez, direi. Non è il suo custode, credo. Ma se uno vuole farlo, boh, cioè, i giornalisti veri lo farebbero per cui…. ^__^”

  8. Bell’articolo coniglioso Duca!
    Se non ci fossi bisognerebbe comprarti al negozio di animali! ^^

Comments are closed.