Confesso che nonostante la mia decisa adesione alla causa della Donna Nuova, del femminismo, delle suffragette, della riforma del vestiario, nonostante il mio impegno per l’educazione morale e di conseguenza fisica delle fanciulle, perché violare la morale naturale ha ripercussioni sul corpo e troppo spesso si curano i sintomi fisici senza badare alle cause etiche, ebbene, nonostante tutto questo, confesso di trovare divertente, talvolta, certe burle di retrogrado sapore maschilista.

Come questo spot, con il luogo comune della donna che non sa parcheggiare:

 

Luogo comune della “donna al volante pericolo costante” che mi sento di tacciare di infondatezza senza dubbio alcuno, avendo per quasi dieci anni osservato, singola volta per singola volta, il sesso di ogni pilota che si è inserito nelle rotonde che frequento senza badare alla precedenza, anzi, senza neppure guardare nella rotonda prima di entrare, puntando col volto sempre dritto senza esitazione.
Dopo anni di queste empiriche osservazioni posso dire con certezza che queste fandonie sul guidar male sono infondate, anzi, dirò di più: dall’osservazione di codeste infrazioni posso affermare, sapendo che le donne non commettono queste pericolose sbadataggini più degli uomini, che circa il 70% di tutti i guidatori bergamaschi è donna, un 20% è formato da anziani di ambo i sessi e solo il 10% è formato da uomini.

Starà alla Scienza ora scoprire come mai una gran fetta di codeste pilotesse, osservate al di fuori del suddetto reato stradale, tendano ad apparire con fattezze e abiti da uomo, dando l’impressione falsa e falsificatrice che i piloti siano equamente distribuiti tra i sessi (anzi, direi con una prevalenza di maschi). Che siano le rotonde a svelare la vera identità, mentre altrove il veicolo agisce da specchio camuffante? Solo la Scienza risponderà, un giorno, a questo e a ogni altro mistero della Natura!

Les Dames Goldsmith au blois de Boulogne en 1897 sur une voiturette
(Julius LeBlanc Stewart, 1901)

Voglio però sottolineare un pregio di quel video, ovvero come la donna sia molto più bella quando indossa abiti femminili e cura la pettinatura, quando porta con orgoglio la propria indipendenza di pilota senza chaperone e non ha vergogna della propria femminilità, e come il suo aspetto invece sia svilito quando le mettono quegli straccetti da sguattera alla fine (quasi a volerla punire, a farla vergognare per la sua indipendenza di Donna Nuova da ridicolizzare).

Uguaglianza di diritti non deve significare svilimento della donna e colpevolizzazione dell’attenzione al proprio aspetto. Questa è la trappola sciovinista delle infiltrate maschiliste dentro al movimento femminista. Petto in fuori, orgoglio di sé e testa alta: non può esserci Donna Nuova nella vergogna!
In più gli straccetti moderni sono solo un modo con cui le aziende del vestiario hanno fregato la gente, vendendo immondizia a caro prezzo quando prima, per la stessa cifra (bassa: basta sfogliare i cataloghi del 1897 o del 1908 di Sears Roebuck and Co di Chicago), dovevano impegnarsi seriamente e creare abiti davvero affascinanti. Ora per vestirsi con eleganza si sborsano cinque-dieci volte le cifre del passato. Follia!

Dai cataloghi Sears Roebuck and Co: cappelli della migliore qualità e all’ultima moda, da 2,50 a 3,50 dollari (1901); camicette in tessuti di pregio, alla moda, deliziosamente lavorate, da 0,25 a 3,98 dollari (1897); abiti eleganti per la casa, camicetta e gonna di finissima qualità per signore benestanti, entro i 10 dollari (1908); disponibili anche camicette elegantissime a circa 3 dollari o completi extra lusso entro i 18,75 dollari (1908); eleganti completi sartoriali per uscire di casa e per la bicicletta da 2,90 a 18 dollari (1897).
La paga di un tipico lavoratore statunitense, un operaio non specializzato nè benestante né troppo povero, era di 2 dollari al giorno.


 

Ora per decine o centinaia di euro rifilano straccetti senza arte, arricchiti solo dell’etichetta col marchio famoso (che le fa produrre nella stessa fabbrica cinese da cui escono quelle col marchio pezzente, a un decimo del prezzo).
Conciare da sguattere le femmine, con scollature da donnacce di malaffare per risparmiare stoffa: è questo il risultato dell’indipendenza femminile, la sottomessa accettazione di un marchio di inferiorità?

Giammai! Che la Donna Nuova sia davvero tale e non solo una succursale straccivendola, con aggiunta di sesso prematrimoniale, delle antenate suffragette! Proprio per questo io fermamente ritengo che la Donna Nuova debba guidare: bicicletta, automobile, motocicletta, motoscafo o mech bipede che sia! La Donna Nuova è indipendente nel movimento (e nel volume di fuoco anti-molestatore, grazie alle mitragliatrici del mech).
E si approfitti della scusa del veicolo per indossare pantaloni, facendo schizzar sangue dal naso dei vecchietti quando si sfreccia in bicicletta fasciate in tal guisa che nessuna curva dei glutei è nascosta! Rispondendo sbarazzine a chi male dicesse: “Scusate, ma con questi abiti da bicicletta non mi raccapezzo proprio con le taglie! Ih ih ih!”

Eppure, nonostante questa mia convinzione femminista, sono anche un estimatore dell’idea americana che una signora debba sedere alla destra del marito sulla vettura. D’altronde si parla di coppie, non di signorine indipendenti: è un altro discorso. Ed è un’idea certo più sensata rispetto a quella inglese.
Dovete sapere che gli inglesi, nazione di bottegai senza idee e senza onore, ancora percorrono le strade tenendo la sinistra, come gli antichi romani sui cavalli. La loro scusa per offendere le signore, privandole di sedere alla destra, è che così, sfrecciando in automobile o in bicicletta, possono combattere con la sciabola coloro che vengono dall’altra corsia! Ohibò, chissà che disastro il traffico se quegli svampiti bevitori di té decidono precedenze, sorpassi e parcheggi con gran fendenti!

Tipico caos stradale inglese: decidere la precedenza!

Però, però, però, poniamo fine a questa premessa e addentriamoci nella materia di questo mio breve articolo senza pretese di completezza, ma solo di fare un giusto servizio al genere femminile, che nella sua meravigliosa varietà sa unire alla più delicata bellezza lo spirito avventuriero e la capacità di badare a sé anche nelle peggiori situazioni.

Oggi voglio parlare del primo lungo viaggio in automobile della storia, ben 105 km da mattina a sera, compiuto da Bertha Benz nel 1888. Una donna che, come anticipato, coniuga la bellezza con l’intraprendenza e un tocco di follia.

Quando aveva 22 anni, nel 1871, Bertha Ringer, ancora signorina e quindi in grado di firmare contratti senza delegarli a un marito (le leggi all’epoca tali erano), finanziò l’officina del suo fidanzato, Karl Benz, permettendogli di realizzare la sua prima automobile. Con spirito illuminato, con intelligenza che pochi uomini avrebbero avuto, Bertha aveva finanziato la tecnologia del futuro. L’anno successivo Bertha e Karl si sposarono.

Bertha Ringer, futura Bertha Benz, nel 1871.

Karl lavorò a lungo all’automobile. Sedici anni dopo era ancora insicuro della propria opera e continuava a migliorarla, rifugiandosi timoroso nella scusa del perfezionamento per non presentarla al mondo per quello che era: il futuro dei trasporto (mech bipedi esclusi).

Stanca di vedere le automobili relegate a oggetti guardati con sospetto, a cui al più venivano fatti percorrere poche centinaia di metri sotto la supervisione di un meccanico, e stanca di vedere il marito che non aveva le palle di credere nella propria realizzazione, Bertha Benz pensò bene di dimostrare a proprio modo la solidità dell’opera del marito.

La mattina del 5 agosto 1888, stando attenta a non svegliare il marito, Bertha prese i due figli adolescenti Eugen e Richard e partì con l’auto, una Patent-Motorwagen Numero 3. Al marito lasciò un biglietto: “Andiamo a trovare la nonna”. Peccato che la nonna stesse a Pforzheim, a oltre 100 km da Mannheim passando tra le colline della Foresta Nera.
Potete immaginare che faccia deve aver fatto Karl quando vide che l’auto era scomparsa e capì che la moglie non aveva preso il treno!

Sicura e fiera sul bolide da 1660 cm3 creato dal marito, con una potenza di 2,5 cavalli e capace di sfrecciare fino alla velocità di 16 km/h, l’avventurosa signora partì, avviandolo a distanza di sicurezza dalla casa per non essere scoperta.

Benz Patent-Motorwagen No. 3 (1888)

Immaginate Bertha: un mondo senza cellulari, senza soccorso stradale, senza officine e senza pompe di benzina. Tra strade buone al massimo per i cavalli, su e giù di quasi 300 metri di dislivello tra le colline della Foresta Nera, per oltre 100 km. Seduta su un incrocio tra una bomba e un triciclo, roba che non si sarebbe vista di nuovo prima del volo umano o degli astronauti spediti sulla luna sopra una lavatrice spinta da un razzo.

Sfortunatamente non c’erano neppure i navigatori né le mappe del Touring Club, per cui Bertha si accorse di non avere chiara la strada per arrivare a Pforzheim. Decise di puntare verso Weinheim e da lì a Wiesloch, visto che erano strade che conosceva. Naturalmente si trovò a corto di carburante perché l’auto non aveva un serbatoio vero e proprio: teneva al massimo 4,5 litri, dentro al carburatore.

Bertha si fiondò in una farmacia di Wiesloch. All’epoca il carburante era molto costoso e veniva venduto in bottigliette, per usarlo come smacchiatore. Bertha comprò mezzo gallone di etere di petrolio (ligroina), tutta la scorta del negozio. L’incredulo farmacista, con lo strambo e puzzolente veicolo davanti al negozio, era diventato il proprietario del primo distributore di benzina della storia. La farmacia esiste ancora. Altri due rifornimenti vennero fatti a Langenbrücken e a Bruchsal.

Per raffreddare il motore, problema ancora più grave del carburante, prese l’acqua dai pozzi dei villaggi, dai pub e dai ruscelli.

Monumento dedicato a Bertha Benz a Wiesloch, collocato dove fermò l’auto per comprare il carburante, davanti alla farmacia.

Un guaio insormontabile arrivò quando, dopo Durlach, l’auto dovette uscire dalla valle del Reno e affrontare le colline. I poderosi 2,5 cavalli del motore a singolo cilindro non erano in grado di effettuare ripide salite. Bertha e i figli dovettero, quando si bloccava, scendere a spingere. Attività tutt’altro che leggera e alla fine i tre erano sfiniti. Fortunatamente arrivò un contadino, all’inizio spaventato dal veicolo, che diede una mano a spingere nell’ultimo tratto di salita.

In discesa il veicolo raggiungeva velocità elettrizzanti che il freno riusciva a ridurre solo di poco. Sparati come proiettili a cavallo di 360 kg di ferraccio.
Per il troppo attrito nelle folli discese si guastarono pure i freni, costringendo Bertha a ripararli d’emergenza con l’ausilio di un calzolaio di Bauschlott che applicò dei rinforzi di cuoio dove l’erosione era maggiore: Bertha aveva appena inventato le guarnizioni, ancora presenti nei comuni freni a tamburo!
E quando si ruppero le catene, le fece riparare al volo da un fabbro.

Nonostante il carburatore sempre rifornito, all’improvviso l’auto si bloccò. Bertha, essendo l’unico meccanico disponibile in zona, controllò il motore e scoprì che il tubo del carburatore era otturato. Prese uno spillone dal cappello alla moda (spillone probabilmente pregiato anch’esso) e lo usò per scrostare il tubo. Forse il marito non aveva tutti i torti a diffidare del proprio veicolo.

L’auto si fermò una seconda volta. Il materiale di isolamento del cavo di accensione si era completamente eroso in un punto. Senza elettricità il motore non poteva funzionare. Che fare? Serviva il genio di un MacGyver in gonnella per risolvere una situazione di emergenza simile, mai vista. Fortunatamente Bertha Benz aveva il genio necessario: si infilò le mani sotto la gonna, tirò via la giarrettiera dalla coscia e con quella isolò il cavo!

Bertha sul Benz Patent-Motorwagen No. 1 (1886)

Quando era ormai notte, Bertha giunse dalla madre e telegrafò al marito di essere arrivata. Tre giorni dopo ripartì, impiegando solo 90 km a tornare a casa. In totale poco meno di 200 km. La vicenda di Bertha Benz è molto popolare in Germania e ancora oggi il suo itinerario, tramandato per generazioni, è indicato ufficialmente dalla Bertha Benz Memorial Route, approvata nel 2008.

Il viaggio godette di grande notorietà fin da subito, grazie ai passanti terrorizzati dal veicolo che gonfiavano le notizie sui giornali. Ora tutti stavano parlando dell’automobile Benz: era quello che Bertha aveva voluto per il marito.
Gran donna.

Qui un articolo sul viaggio di Bertha Benz da cui ho tratto parte delle informazioni.

 

19 Replies to “Il primo viaggio in automobile della storia”

  1. Donna potente & degna di stima u.u

    Duca, ti sbagli: far sentire le donne inadeguate con abiti ridotti e aderenti che vanno sistemati di continuo non è una questione di risparmio. è una questione di prevenzione.

    Perché non c’è niente al mondo che possa fermare una donna con pargoli appresso, soprattutto quando li porta a scuola. Ho passato anni della mia vita a ripassare i santi del calendario, mentre mia madre firmava le giustificazioni sul volante, possibilmente in curva all’ uscita dalla statale ad un minimo di 60 km/h.

    Hai presente Ponyo sulla scogliera? La madre che guida non è la solita rappresentazione artistica esagerata giapponese: è un documentario! XD


    Sorry, su TuTubi non ho trovato di meglio. Chi ha già visto il film ha sicuramente capito di cosa parlo ;]

  2. Gran bell’articolo.
    Grazie.
    La Bertha che compra l’etere in farmacia mi fa ricordare quando, in occasione dello sciopero dei distributori di un paio di anni fa, gli automobilisti esaurirono le riserve di olio di colza dei discount.

  3. In più gli straccetti moderni sono solo un modo con cui le aziende del vestiario hanno fregato la gente

    Verissimo! Tra l’altro non ho mai concepito la caduta in disuso del mantello.
    Innanzitutto è elegante e in secondo luogo aiuta la salute in quanto la sua protezione dalle intemperie è di molto superiore di moderni giubbotti. Il corpo e in particolar modo le spalle vengono protette in maniera sopraffina dall’umidità serale. Non parlo sulla base di ricerche teoriche, ma perchè, sempre per il GRV, mi è capitato di indossarne in tali condizioni atmosferiche. Ho notato da subito un calore piacevole, la possibilità di usarlo come coperta e di privarsene, come solo un vero Gentleman potrebbe fare, a favore della dama che ne è priva e che sta soffrendo.

    L’apertura del mantello rispecchia l’animo nobile di colui che lo indossa, aperto all’aiuto del prossimo. L’egoistica chiusura a zip, invece, pone nella condizione di chiusura in sè stessi nei confronti del mondo, assumendo la tipica posa del: “Fa freddo, me ne vado per la mia strada, non condividerò il mio calore con il prossimo“.

    Molto bella la storia della donna spericolata. Non la conoscevo e ne approfitto per aggiungere qualche considerazione sul meraviglioso mondo dell’automobile.

    Considerazioni OT vanno sotto spoiler e se non le leggete va bene uguale – Nota del Duca ▼

  4. Senza contare che il mantello è un accessorio indispensabile per chiunque voglia fare il bel tenebroso nell’angolo più silente della taverna xy del mondo fantasy wz. Naturalmente è d’uopo il cappuccio alzato!

  5. Onestamente, Duca, non Vi ho mai preso sul serio come in questo post. Altro che educazione sessuale.
    Entusiasmante il racconto di Bertha, donna la quale, piuttosto che voler affermare una “supremazia” sul suo uomo, l’ha sostenuto credendo in lui.
    Ah, il mantello ci vuole, senza dubbio. È molto più indispensabile ora, coi sedili delle cauto foderati in fredda pelle, che in passato, con i vani delle carrozze rivestiti in velluto.

  6. Bertha e figli sul triciclo a motore che sfrecciano giù dalla collina praticamente in caduta libera su una strada dissestata, sbatacchiati come dentro uno shaker, con le ruote che perdono aderenza a turno col rischio di ribaltare tutto come fosse un trolley a passo spedito che ha preso una botta, magari con gli occhi sbarrati e urlando di terrore, col freno che fuma e si consuma inutilmente, devono essere stata una visione bizzarra per certi contadini…
    … tipo per un secondo, prima di gettarsi fuori dalla strada per evitare la morte e ritrovarsi il cappello nella polvere, schiacciato da una ruota.

  7. Senza contare che il mantello è un accessorio indispensabile per chiunque voglia fare il bel tenebroso nell’angolo più silente della taverna xy del mondo fantasy wz. Naturalmente è d’uopo il cappuccio alzato!

    Allo scorso raduno di ricostitutori c’era un tizio con cappuccio che si divertiva a fare l’assassino silenzioso, sogghignare di sottecchi e incombere sulle fanciulle con aria minacciosa.
    Non so di preciso come gli sia andata con le altre donzelle. Quando ci ha provato con me, il primo riflesso è stato tirargli il cappuccio giù fino al meno. Il secondo sarebbe stata una ginocchiata nelle palle mentre quello spalancava le braccia sorpreso, ma sono una pasta di fanciulla e non picchio i minorati.

    Anyway il mantello è un capo di abbigliamento pratico e di classe, ottimo per i freddi e umidi inverni parigini. E quando la neve comincia a cadere, il colbacco di bestia morta è perfetto per proteggere lo scalpo dall’appicicaticcio clima della Ville Lumière.

  8. Invero Duca, quelle si che erano vere donne! E che donne!
    Non come la degna madre di cotale figlia, mia compagna di giovanili studi, che, rotta la freccia indicatrice destra, per non contravvenire al real codice della strada, cercò di ritornare a casa, dalla scuola dove aveva prelevato la figlia, svoltando solamente a sinistra. Le tapine si ritrovarono senza benzina ad una trentina di chilometri da casa, in epoche in cui le comunicazioni senza fili erano appannaggio di miliardari o radioamatori.

    Quando ci ha provato con me, il primo riflesso è stato tirargli il cappuccio giù fino al meno. Il secondo sarebbe stata una ginocchiata nelle palle mentre quello spalancava le braccia sorpreso, ma sono una pasta di fanciulla e non picchio i minorati.

    Damigella Clio, ora però deve raccontarci cosa ha poi fatto per liberarsi da tale energumeno considerando che non ha usato un po’ di giustificata violenza…
    Invero preferisco la sana violenza gratuita, ma al bisogno anche quella giustificata non guasta mai.

  9. [Typo]
    – Sfortunatamente non c’era neppure i navigatori
    – Il materiale di isolamento dei cavo di accensione si era completamente eroso in un punto
    [/Typo]

    In quell’anno il cherosene già esisteva e veniva usato per le lampade, chissà se la signora Benz avesse messo quello, come carburante, lol.

  10. Non so come mai utilizzassero una frazione leggera (e tossica) più costosa, di nicchia, invece del cherosene economico. Il cherosene in ambito motori d’auto di primo ‘900 so che si usava su certi automobili a vapore, quindi combustione esterna, in cui lo accendi con la fiamma e non con la scintilla elettrica. Forse per la combustione interna non era ideale? Boh!

    Secondo wikipedia veniva usato come combustibile economico a metà del ‘900 per i trattori, ma solo a motore caldo: l’avvio andava fatto con benzina, poi il gas caldo alzava di temperatura il cherosene a sufficienza da permettere l’accensione con la scintilla. Forse il motivo per cui non venne adottato in un motore a scoppio da Benz era quello…

  11. Da quel poco che so, il kerosene dovrebbe avere un basso numero di ottani, e quindi è più adatto per motori diesel… mentre la macchina di Benz aveva un motore con accensione elettrica, e doveva andare a benzina. L’etere di petrolio (nello specifico, ligroin) usato da Berta in realtà non è un etere (nel senso chimico del termine) ma è composto da idrocarburi leggeri, e ha caratteristiche simili alla benzina.

  12. Non conoscevo per niente la storia di questa donna. E che donna! Grazie per l’articolo, Duca.

  13. Damigella Clio, ora però deve raccontarci cosa ha poi fatto per liberarsi da tale energumeno considerando che non ha usato un po’ di giustificata violenza…
    Invero preferisco la sana violenza gratuita, ma al bisogno anche quella giustificata non guasta mai.

    Il tizio ha sguainato il pugnale, gli ho bloccato il polso (bisogna dire che però se l’arma fosse stata affilata mi sarei fatta un bel tagli, non profondo, ma da ricucire). Al che ha cercato di passarmi un braccio attorno al collo, ma avendo alzato l’avambraccio per tempo sono riuscita a divincolarmi alla svalta. Alla fine mi ha detto che se avesse voluto mettermi a terra. Io gli ho fatto notare che se avessi voluto gli avrei potuto spaccare la faccia con una testata non più tardi di trenta secondi prima.

  14. Madamigella Clio

    Io gli ho fatto notare che se avessi voluto gli avrei potuto spaccare la faccia con una testata non più tardi di trenta secondi prima.

    Tutto ciò conferma la mia convinzione che una buona dose di violenza gratuita non guasta mai, mentre quella giustificata è addirittura auspicabile.
    Se reincontra l’energumeno,anche se è un comportamento che poco si addice ad una signorina dabbene, non ponga tempo in mezzo e lo percuota con un badile. Possibilmente mirando al sorriso. se trova poco agevole girare con un badile sotto braccio infili un mattone, di quelli vecchi in cotto e di misura conveniente, in una robusta borsetta da signora, e la usi poi come corpo contundente. Mirando sempre al sorriso.
    Gioverà molto ad entrambi mi creda.

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